La Croazia ha alzato le sbarre delle linee frontaliere per sempre. Dal 1° gennaio è a tutti gli effetti un membro dell’Unione europea. Ciò significa, molto banalmente, che non si faranno più code alla dogana per andare a godere del mare croato.E se si ordina qualcosa al bar o in un qualsiasi ristorante, non ci sentiremo più chiedere “Kuna o Euro?” al momento del pagamento.

Proprio come è successo il primo gennaio al Primo Ministro croato Andrej Plenkovic, che ha voluto concludere simbolicamente la breve visita a Zagabria della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, offrendole un caffè in un bar all’aperto, insieme a vari altri vari Ministri e al Governatore della Banca centrale croata. Certo, non aspettiamoci che anche a noi ci applaudano al momento del saldo del conto, neppure se usiamo banconote da venti euro, fresche di stampa.

Dieci anni di preparazione

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Alla Croazia ci sono voluti dieci anni per completare tutti i punti della “to do list” che ogni stato membro deve onorare per poter essere ammesso a pieno titolo nell’Unione. Mancava solo un ultimo punto: l’entrata nell’Area Schengen, che permette la libertà di movimento al suo interno per chi ne fa parte.

C’è grande soddisfazione da parte di tutti quindi: dei cittadini croati in primis, che sperano in un generale abbassamento del tasso di inflazione nazionale, in una mobilità facilitata per chi lavora oltre confine e in un aumento di flusso turistico per gli operatori del settore.

C’è soddisfazione anche da parte dell’Europa che vede rafforzata la propria identità politica, in un momento in cui non sta facendo una bellissima figura (vedasi il caso Qatargate o la difficoltà di fare fronte comune nei rapporti con la Russia).

Eppure c’è qualcuno che guarda a tutta questa libertà di circolazione, con un certo grado di timore. Come se dietro tutto questo sfavillare di sorrisi, strette di mano e speranze di benessere diffuso, ci fosse un punto oscuro, volutamente non illuminato.

Droni, telecamere, polizia di frontiera

Le organizzazioni umanitarie croate che si occupano di immigrazione, hanno accolto la notizia di Schengen con asprezza. Secondo il Centro studi sulla pace “Zagabria ha ricevuto un premio per anni di violazioni dei diritti umani“, riferendosi al comportamento della polizia croata ai confini esterni del paese.

L’ingresso della Croazia in Schengen renderà la frontiera meridionale e orientale croata il nuovo confine dell’area di libera circolazione. Tra le montagne della Lika e di Segna, la polizia croata si appresta a sorvegliare il confine installando telecamere termiche, disboscando lunghi tratti di foreste e ampliando significativamente l’organico. Tutto grazie a fondi europei freschi di erogazione.

Dal punto di vista storico, pare quasi che la frontiera militare che separava gli imperi ottomano e asburgico sia tornata in vita. Le organizzazioni umanitarie in tutto questo, temono una nuova impennata di violenze contro i migranti.

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Le telecamere, infatti, servono a rispedire indietro le persone avvistate, prima che entrino in Croazia. Si tratta di fatto di respingimenti illegali, pushback spesso accompagnati da violenza fisica, furto di telefoni cellulari e denaro, uso di elettroshock, colpi di pistola sparati vicino alle orecchie o alle gambe.

Tutti episodi già successi in passato, documentati e che le organizzazioni umanitarie temono si ripetano dopo un 2022 apparentemente tranquillo, in cui la polizia croata sembrava essersi ammorbidita. Forse in vista dell’approssimarsi dell’importante data del 1° gennaio 2023.

O forse come conseguenza della condanna arrivata nel 2021 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per la morte di Madina Hussiny, una bimba afgana di 6 anni, travolta da un treno al confine tra Serbia e Croazia, dopo che la polizia croata l’aveva respinta indietro con la sua famiglia.

Nel corso del 2022 la polizia croata aveva persino cominciato a distribuire sempre più spesso dei fogli di via, che davano a migranti e rifugiati sette giorni di tempo per lasciare il territorio della Croazia. Ai migranti si dava quindi il permesso di usare i mezzi pubblici che questi prendevano sì, ma non per tornare indietro. Al contrario si dirigevano spediti verso Zagabria o Fiume, prima di proseguire verso la Slovenia e quindi il resto dell’Unione europea.

L’ultimo tassello preoccupante secondo le associazioni croate, arriva dalla figura di Terezija Gras, segretaria di Stato agli Interni a Zagabria e una delle artefici della strategia di controllo delle frontiere dal 2017 in poi. Gras è una dei tre candidati alla guida di Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Europa. Se dovesse essere nominata capo, “il modello Croazia”, per usare le parole della stessa Gras, verrà ulteriormente premiato e sulla rotta balcanica (la via più usata per raggiungere l’Europa con quasi 140mila attraversamenti nei primi 11 mesi del 2022, contro 93mila per il Mediterraneo centrale secondo la stessa Frontex), rischia di esserci una nuova virata restrittiva.

Frontex ha qualche problema con l’Europa

Anche in Italia, già a novembre 2022, alcune organizzazioni umanitarie avevano iniziato a mandare messaggi di allerta, in merito alla futura gestione dei migranti nella rotta Balcanica.

In particolare RiVolti ai Balcani, una rete di circa trenta realtà associazionistiche italiane, nata nel 2019 con l’obiettivo di tutelare i diritti di chi percorre la Rotta Balcanica, sollevava delle perplessità proprio in merito a Frontex.

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Il 18 novembre 2022 infatti, il Consiglio Europeo ha deciso di autorizzare l’avvio di negoziati con l’Albania, la Bosnia-Erzegovina, il Montenegro e la Serbia per ampliare gli accordi sulla cooperazione con Frontex. Cioè con altri quattro partner dei Balcani occidentali, non appartenenti alla Comunità Europea, ma con cui la polizia di Frontex può di fatto collaborare.

«Le sfide migratorie sulla rotta dei Balcani occidentali non iniziano alle frontiere dell’UE. La cooperazione con i nostri partner, anche attraverso l‘invio di personale Frontex, è essenziale per individuare e bloccare tempestivamente i movimenti migratori irregolari. Ciò migliorerà la protezione delle frontiere esterne dell’UE e contribuirà agli sforzi compiuti dai paesi dei Balcani occidentali per impedire ai trafficanti di utilizzare i loro territori come tappe di transito», ha rimarcato Vít Rakušan, ministro dell’Interno della Repubblica Ceca, salutando con favore l’avvio di questi accordi, siglati proprio mentre la sua nazione era alla presidenza del Consiglio.

Gli accordi negoziati nell’ambito del nuovo mandato di Frontex consentiranno all’agenzia di assistere questi Paesi nei loro sforzi per gestire i flussi migratori, contrastare l’immigrazione clandestina e combattere la criminalità transfrontaliera in tutto il loro territorio. I nuovi accordi consentiranno, inoltre, al personale di Frontex di esercitare poteri esecutivi, quali le verifiche di frontiera e la registrazione delle persone. Ed è proprio questa registrazione dell’identità a sollevare problemi di tutela della privacy e della sicurezza personale, per esempio.

Stesso problema che aveva sollevato l’uso di droni al fine dell’identificazione dei migranti. Tanto che la stessa Frontex aveva lamentato come fosse proprio il regolamento europeo sulla tutela della privacy a impedirle di svolgere i compiti che la stessa UE le aveva affidato.

Sopra sta Trieste, sotto c’è la Bosnia

Nel frattempo a Trieste sono aumentati gli arrivi. Da novembre 2022 si stima che arrivino una media di almeno 80 persone al giorno, con picchi fino a 200.

“O Europa o Morte”. Foto di L. Cappellazzo, durante l’incontro “Deja vu Rotta Balcanica”, di Rivolti ai Balcani e Altreconomia

Ma non se ne parla molto,  perché l’unico dato ufficiale che esiste in Italia, pubblicato dal Ministero dell’Interno, tiene conto solo del numero dei migranti arrivati via mare, quindi degli sbarchi. D’altronde si sa, gli sbarchi sono più esteticamente attrattivi e immediatamente fruibili per la stampa, rispetto a chi arriva a piedi in una regione piccola e spesso dimenticata, come il Friuli Venezia Giulia.

In Bosnia al contrario, è diminuita la pressione sui campi profughi, che tanta indignazione avevano provocato negli inverni scorsi, proprio per la maggior facilità di transito verso la Croazia e poi la Slovenia.

Inoltre si dovrà poi vedere se e quali cambiamenti porterà la nuova Strategia nazionale su migrazione e asilo 2021-2025, approvata solo a fine 2022, forse sull’onda della possibilità di ottenere lo status di Paese candidato all’UE, che di fatto è stato approvato il 15 dicembre.

Insomma, sembra quasi che la motivazione attualmente più incalzante per entrare in Europa non sia tanto la prospettiva di un benessere economico più elevato, quanto che i migranti diventino problema di qualcun altro.

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