Martedì 21 dicembre le Caritas della Delegazione Nord-Est (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto) hanno organizzato un incontro sulla situazione dei migranti lungo la Rotta Balcanica.

L’incontro seguiva un primo appuntamento avvenuto a febbraio, in cui veniva descritta l’emergenza nel pieno della sua esplosione.

Laura Stopponi, responsabile dell’Ufficio Europa di Caritas Italiana, ha presentato l’attuale situazione politica nell’area balcanica, che sta complicando enormemente le condizioni dei migranti presenti in quel territorio.

L’instabilità politica e i giochi di potere in corso tra stati, infatti, si intrecciano in modo drammatico con la situazione dei migranti bloccati nei Balcani, accentuandone le difficoltà.

Locandina dell’evento

Prima tappa: Grecia

L’analisi di Stopponi è partita dalla Grecia che effettivamente conta molti meno arrivi dalla Turchia rispetto gli anni precedenti.

Ma se da un lato diminuiscono le persone che cercano di attraversare il confine turco-greco, dall’altra è aumentata enormemente la violenza con cui i migranti sono respinti.

Caritas Hellas ha segnalato che spesso i migranti respinti in mare vengono privati degli strumenti necessari a poter tornare nelle coste turche, consegnandoli di fatto all’annegamento.

Va ricordato inoltre che in Grecia si contano 5mila minori non accompagnati e le strutture in cui vengono accolti non sono affatto adatte, trattandosi di fatto di grandi capannoni abbandonati.

Seconda tappa: Bosnia

La situazione in Bosnia è cambiata rispetto all’emergenza esplosa giusto un anno fa. Anche qui, da un lato non si sta assistendo all’aumento drammatico di migranti bloccati nella neve, come si vedeva l’inverno scorso. D’altro canto stanno continuando delle enormi difficoltà nell’accoglienza.

Attualmente la tensione politica in Bosnia è altissima: ci sono venti di guerra, si ventila di una possibile secessione della parte serba del paese, conferma che i vari trattati messi in piedi non hanno avuto efficacia.

Distribuzione di beni di legna e
acqua potabile a Lipa, Bosnia.

Anche la commissione europea ha lanciato l’allarme, per tenere alta l’attenzione e scongiurare un nuovo conflitto armato. Purtroppo però le varie alleanze tra partiti secessionisti e Serbia, e tra Russia e Turchia, contribuiscono ad alimentare la tensione in nome di interessi che vanno oltre quelli della popolazione bosniaca.

Terza tappa: Polonia e Bielorussia

Altra situazione politica che rende ancora più difficile il percorso dei migranti attraverso la Rotta Balcanica è quella tra Polonia e Bielorussia, che ha occupato i giornali fino a poco tempo fa.

I migranti sono stati attratti dalle autorità bielorusse con la possibilità di arrivare in aereo a Minsk e poter poi entrare in Europa. In migliaia si sono recati quindi in Bielorussia, pensando che così avrebbero evitato di dover percorrere a piedi un lungo e pericoloso viaggio attraverso i Balcani.

Molte persone si sono così trovate intrappolate tra Bielorussia e Polonia. Quest’ultima ha collocato più di 20mila agenti di polizia lungo il confine, creando un’area di oltre 3 chilometri in cui nessuno può entrare e dove i militari hanno via libera a qualsiasi tipo di azione di respingimento.

Sia la Bielorussia che la Polonia, di fatto, stanno impedendo a quelle persone di accedere a diritti fondamentali: il diritto alla vita (sono numerosi i morti nei boschi), il diritto alle cure sanitarie (i malati non ricevono nessun tipo di assistenza, il diritto al cibo (si stanno contando morti per fame, anche tra i bambini.)

Solo dopo che i fari della comunità internazionale si sono accesi sul dramma, i due paesi hanno costruito dei campi di fortuna per accogliere i migranti. Di fatto quei campi sono dei centri di detenzione che non permettono a nessuno di accedere ad un altro diritto fondamentale: quello di ricevere protezione internazionale.

Muri anti migranti nel mondo. Fonte Fonte: University of Quebec in Montreal

Sappiamo purtroppo che la Polonia si sta preparando per costruire un muro lungo 180 chilometri e alto 5 metri, per contrastare le migrazioni. Spenderà centinaia di milioni di euro, sia per costruire quel muro, che per pagare i militari che lo dovranno sorvegliare. La riflessione di Caritas è molto semplice: tutti quei soldi potrebbero essere investiti in progetti di accoglienza o per l’avvio di corridoi umanitari, evitando che delle persone muoiano di freddo e di fame, in attesa di poter passare un confine.

Anche tra Turchia e Iran è stato costruito un muro con gli stessi scopi, ma non sta funzionando.

Costruire muri è una tendenza molto in voga purtroppo. Attualmente ci sono 63 muri nel mondo, creati proprio per evitare che le persone migranti entri in determinati Paesi. Un enorme spreco di soldi e di vite umane.

Quarta tappa: Ucraina

Infine non si può non nominare l’Ucraina e le tensioni con la Russia. Ci sono 120mila militari russi posizionati lungo il confine tra i due paesi, pronti a invadere l’ucraina.

Tutte queste crisi politiche hanno l’effetto di rendere spaventosa la sopravvivenza dei migranti presenti lungo la rotta balcanica, che rimangono schiacciati dai problemi tra uno stato e l’altro.

Dopo questa panoramica ha preso la parola, in collegamento da Sarajevo, Daniele Bombardi, coordinatore di Caritas Italiana per l’area balcanica.

Distribuzione di pasti a Lipa 3, Bosnia

Bombardi ha annunciato che a breve uscirà un Rapporto Caritas sulla crisi scoppiata in Bosnia proprio un anno fa, nell’accampamento di Lipa.

Ha ricordato l’incendio esploso nel campo, che ha costretto 1500 migranti a rimanere esposti al freddo, senza cibo né assistenza.

Un focus sulla situazione a Lipa, Bosnia

Il governo bosniaco, con molti ritardi, aveva ricostruito un secondo campo, denominato Lipa 2, però inadeguato all’accoglienza. Tuttavia, in condizioni difficili, i migranti hanno passato in quel luogo tutto l’inverno. In primavera, sempre il governo bosniaco, ha costruito un campo più adatto, fatto da container e prefabbricati, il Lipa 3.

Caritas ha però criticato questa costruzione. Innanzitutto il governo bosniaco ha mantenuto la stessa posizione geografica: un luogo non adatto all’accoglienza di persone perché totalmente isolato.

In secondo luogo vengono messi assieme sia adulti che famiglie che minori non accompagnati. In un posto lontano 25 chilometri dalla prima scuola e 30 dal primo presidio sanitario. Come faranno i bambini a studiare? Come faranno le donne, le madri, ad accedere all’assistenza sanitaria? Senza contare che non esiste nemmeno un collegamento di acqua potabile. L’acqua arriva tramite bottiglie o autobotti.

Ora in Bosnia sembra che il problema migranti non esista più. L’anno scorso i giornali erano pieni di notizie sull’emergenza che era esplosa. Oggi sembra tutto risolto, quando invece è stato solo reso meno visibile.

I progetti di Caritas

Caritas ha scelto di operare con progetti di diverso respiro. Nei primi mesi in cui l’emergenza era assoluta ha procurato beni di prima necessità.

Ora, invece, sta puntando su progetti che hanno l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica, di influenzare le decisioni della commissione europea, di formare gli operatori delle Caritas locali che sono stati letteralmente buttati dentro un’emergenza a cui non erano preparati.

Ha scelto anche di appoggiare progetti in favore della popolazione bosniaca, non solo dei migranti presenti in quei territori.

Un progetto che si sta concretizzando, è quello di creare una sorta di museo itinerante sull’esempio del War Childhood Museum di Sarajevo, in cui la guerra viene raccontata tramite oggetti di bambini che l’hanno vissuta.

Il sogno è di portare questa esposizione anche in Italia, a metà dell’anno prossimo.

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