Una settimana per spegnere il rogo, notti e giorni invasi oltre che dalle fiamme anche e soprattutto dai fumi, che hanno raggiunto località relativamente distanti dal salumificio Coati. Ora restano le macerie e un’area di 25mila metri quadri posta sotto sequestro dalla Procura della Repubblica.

Ieri mattina si è tenuto il tavolo di coordinamento tra i comuni interessati, quello di Negrar di Valpolicella e quello di Verona, per fare il punto sulla sicurezza sanitaria e ambientale. Alla riunione erano presenti anche la presidente della seconda circoscrizione del capoluogo scaligero, Elisa Dalle Pezze, il pubblico ministero titolare delle indagini, la vicaria del prefetto, i Vigili del fuoco, i Carabinieri e la Polizia locale dei due comuni, Arpav per il monitoraggio di acqua e aria, l’Ulss 9 Scaligera, Acque Veronesi, lo Spisal, i tecnici dell’azienda Coati e un rappresentante della Provincia.

Parametri ambientali sotto controllo

«Tutti gli operatori hanno lavorato per limitare al massimo le ripercussioni sulla salute della comunità – ha dichiarato il sindaco di Negrar Roberto Grison – e fino ad oggi i rischi per la popolazione e l’ambiente sono stati contrastati e contenuti». Un plauso per il coordinamento che ha consentito di gestire l’emergenza è giunto anche dall’assessore all’ambiente del Comune di Verona Tommaso Ferrari, presente alla riunione, il quale ha parlato anche di «mitigazione dei possibili futuri rischi derivanti dall’incendio», la cui possibile manifestazione è sotto osservazione.

I dati raccolti in questi giorni dovrebbero tranquillizzare: la qualità dell’aria anche nei giorni di maggiore gravità dell’incendio non ha mai sforato i limiti di guardia per quanto riguarda i Voc, mentre i Pm10 sono tornati ai valori rilevati in Pianura Padana. Le acque sono sotto controllo da parte di Arpav, Ulss 9 e AcqueVeronesi, i cui dati confermano l’assenza di anomalie.

Una foto notturna dell’incendio al salumificio Coati scattata domenica 12 febbraio. Foto di Osvaldo Arpaia.

I dati Arpav

Arpav subito dopo lo scoppio del rogo ha proseguito i rilievi: gli ultimi dati ufficiali risalgono al 13 febbraio (sul sito istituzionale è possibile leggere il comunicato più recente). Con strumenti a celle elettrochimiche, collocate nei pressi del salumificio, alle scuole di Parona e di Arbizzano e per due giorni anche a Santa Maria di Negrar, è stata rilevata la presenza di inquinanti propri di eventi di questa natura, ovvero formaldeide, ossido di etilene, acido cianidrico, diossido di cloro. A queste sostanze si uniscono le rilevazioni di polveri sottili, Pm10 e Pm2.5.

A poca distanza dallo stabilimento andato in fiamme il campo pozzi in località Terminon risulta attualmente nella norma: Acque Veronesi informa che gli impianti per l’acqua potabile sono già dotati di filtri che neutralizzano eventuali inquinanti che potrebbero esserci in futuro.

Insomma, ora si deve attendere che si ricostruiscano i fatti per risalire alle responsabilità, continuando nel contempo a verificare la presenza di inquinanti nelle zone circostanti. Per questo è già stato predisposto un laboratorio dedicato e in loco, anche perché la bonifica è fase molto delicata e richiede diversi interventi, ergo tempi non proprio rapidi.

Disastro ambientale scampato?

Tra i residenti che per giorni sono stati raggiunti dalle pesanti esalazioni, che notte e giorno hanno respirato sostanze su cui vorrebbero chiarezza per la propria salute, sono molte le domande. Oltre a capire le responsabilità dell’accaduto, c’è chi si chiede se ci sarà mai una risposta chiara su quanto l’evento abbia inciso sulla salute pubblica.

A fronte di parametri che non hanno superato la soglia di allarme, è vero che comunque per giorni l’aria è stata irrespirabile, con un tipico odore di combustione plastica, cui si uniscono i materiali di cui erano fatti i capannoni, le sostanze chimiche utilizzate nell’impianto produttivo e anche le carni lavorate, le quali non sono state completamente bruciate.

Lo stabilimento posto sotto sequestro dalla Procura della Repubblica. Foto Roberto Filippini.

Il rischio biologico

Infatti, l’ordinanza numero 12 del Comune di Negrar, emanata in data 14 febbraio, intima all’azienda di asportare e smaltire nel più breve tempo possibile il materiale organico ancora presente (la carne di lavorazione che si trova nel sotterraneo, in area dedicata alla stagionatura) e che non essendo adeguatamente conservato potrebbe generare in tempi brevi un “rischio biologico, di sicurezza ed igiene pubblica per le parti non interamente combuste”.

Attualmente, sempre sul territorio comunale, sarebbero state individuate due aree di smaltimento, ma va tenuto conto che l’accessibilità al materiale organico rimasto tra i resti dello stabilimento è complessa per la presenza di macerie e detriti.

Salviamo Parona e Arbizzano

Oltre alle istituzioni, anche la cittadinanza si sta attivando: un’ottantina di abitanti si stanno mobilitando per costituire un comitato “Salviamo Parona e Arbizzano”, le due località più coinvolte dall’incendio. La prima riunione è stata comunicata per il 1 marzo, in sala civica di Parona, in Largo Stazione Vecchia 10, alle 21. Oggetto, lo statuto del comitato e le candidature del consiglio direttivo, e soprattutto le azioni da intraprendere nei lunghi mesi che verranno.

In questi giorni il salumificio Coati ha raccolto la solidarietà dell’azienda concorrente Pavoncelli, con la quale ha sottoscritto una collaborazione che le consentirà di riprendere la produzione e far fronte alle commesse andate letteralmente in fumo.

Ora si vedrà se anche gli abitanti saranno capaci di ottenere una pari solidarietà per le loro domande di sicurezza.

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