La parola “respingimento” è una parola che si associa immediatamente a due zone a noi molto vicine: i Balcani e il Mediterraneo. L’argomento è stato posto al centro di una serata organizzata dal Centro Astalli di Trento, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati-JRS. Il suo nome è dovuto al fatto che la prima sede nel nostro Paese dell’associazione era ubicata in via Astalli a Roma. In questi quarant’anni le sedi italiani sono diventate sette e due di queste si trovano in Veneto: a Padova e Vicenza.

L’accompagnamento dei rifugiati e la condivisione delle loro esperienze è al centro di tutti i servizi del Centro Astalli, da quelli di prima accoglienza fino alle attività di sensibilizzazione e all’impegno di advocacy, che ha l’obiettivo di modificare le politiche ingiuste a livello locale, nazionale o internazionale. Le tre parole che sintetizzano il loro modus operandi sono accompagnare, servire e difendere.

La sede di Trento sta proponendo un percorso di formazione dal titolo “Persone che scavalcano muri” e in quella che è stata la terza serata si è parlato, per l’appunto, di rotta balcanica e rotta del Mediterraneo, entrambe sotto il focus di quell’azione illegale, ma tacitamente accettata dall’Europa, che sono i respingimenti.

Padre Stanko Perica, foto di L. Cappellazzo, durante il collegamento online

Particolarmente interessante è stato l’intervento di padre Stanko Perica, direttore del Jesuit Refugee Service Europa Sud Est, in collegamento da Zagabria. Il JRS è presente nei Balcani dal 1993, negli stati di Croazia, Bosnia, Serbia e Kosovo. Sul piano emergenziale si occupa di distribuzione di alimentari e beni di prima necessità, dell’assistenza medica e del procacciamento di legna e collegamenti all’elettricità per i profughi che si trovano nei molti campi sorti durante questi anni.

Inoltre, è riuscito ad attivare corsi di lingua, informatica e altri laboratori manuali, a cui partecipano i profughi durante il periodo di attesa. Offre anche il servizio di traduzione, facendo da ponte tra le istituzioni locali e le richieste dei profughi di nazionalità molto diverse tra loro.

Il punto di vista della popolazione locale

Foto di archivio

È qui che è emerso il primo innovativo spunto di riflessione sui respingimenti: ovvero come sono visti dalla popolazione locale. Le due popolazioni che più sono provate dal flusso migratorio che passa per i Balcani, sono senza dubbio quella bosniaca e quella croata.

Tra questi due paesi scorre la frontiera europea più lunga e difficile: 1000 km in cui l’illegalità detta le regole del gioco. Secondo le statistiche, quasi la metà di tutti i respingimenti che avvengono i territorio europeo, succedono lungo questa frontiera.

Il primo nuovo spunto su cosa siano i respingimenti è il punto di vista della popolazione locale che si divide tra chi odia profondamente i migranti e chi teme di aiutarli per paura delle ripercussioni della polizia.

In Bosnia la gente è per lo più stanca di questa situazione: da 4 anni subiscono gli arrivi dei migranti, stipati in campi profughi enormi, allestiti in zone politicamente calde.

Padre Perica ha infatti spiegato che la Bosnia è ancora molto divisa internamente, e che i migranti che vi si trovano, sono usati dai vari leader politici come mezzo per continuare una guerra silenziosa, che nella realtà dei fatti non è mai finita.

Foto di Ali Kazal, from Pexels

Un esempio è il nuovo campo di Lipa, nome che compare spesso nelle cronache quando si parla della rotta balcanica. Il campo di Lipa è stato costruito in una zona geografica non adatta all’accoglienza degli immigrati. La zona è per lo più abitata da persone di origine serba, estremamente infastidite per la presenza dei profughi.

In Bosnia inoltre c’è una grave carenza di lavoro. Sono molti i bosniaci che lasciano il loro paese in cerca di un’occupazione all’estero. Anche questo malcontento è cavalcato dalla politica populista, che dirige tutta la frustrazione verso i migranti, colpevolizzandoli di essere la causa delle difficoltà economiche del Paese.

Dentro questa realtà JRS cerca di creare un ponte tra i migranti e la popolazione. Un’attività molto apprezzata, è la pulizia dei boschi (luogo in cui vivono e si nascondo moltissimi profughi clandestini).

Con l’aiuto di migranti volontari accolti nei campi vengono organizzate giornate di raccolta dei rifiuti. I migranti si sentono utili, la popolazione locale apprezza la pulizia e la cura verso il proprio territorio naturale.

Il punto di vista di chi subisce

Il secondo punto di vista inedito è quello di chi i respingimenti li vive. Spesso i migranti che vengono respinti, ricordano mal volentieri l’esperienza. La vergogna e la frustrazione sono così grandi, che si preferisce non rievocarle.

foto di L. Cappellazzo

Padre Perica porta però la storia di Titi Khati, una storia che nell’estate del 2021 ha scosso l’opinione pubblica croata.

Titi arriva in Croazia a giugno del 2021. Di origine iraniana, a dodici anni è stata data in sposa ad un uomo di 36 anni più vecchio.

«Una donna in Iran non conta nulla. Il suo valore va tutto all’uomo a cui è legata: il padre, il marito, un fratello. Non può uscire di casa da sola, non può firmare contratti da sola, non ha in custodia i propri figli. Non può andare i bicicletta, non può leccare un gelato per strada. Per preservarne la purezza viene fatta rimanere in casa, lontana dai mezzi di informazione. Titi è stata data in sposa a dodici anni: la prima volta che ha visto suo marito nudo, è svenuta.»

Dopo tre anni Titi riesce a convincere suo padre e suo marito a divorziare. È un atto grave in Iran, significa coprirsi di vergogna ed essere stigmatizzati da tutta la società. L’onta è talmente grande che tutta la famiglia di Titi ne risente, tanto che lei si vede costretta ad accettare un secondo matrimonio per togliere la famiglia da quella situazione.

Il secondo marito approfitta della sua situazione vulnerabile, e agisce su di lei le peggiori violenze. Da quest’uomo Titi avrà due figli. È proprio pensando a loro che la giovane donna, trova la forza di scappare.

«Titi era diventata una persona indesiderata in Iran, perché era riuscita a dimostrare la violenza e i vari tradimenti del secondo marito e ad ottenere il divorzio anche da lui. Si è sentita costretta a fuggire, per non far cadere i propri figli, dentro un destino di miseria e ripudio sociale.»

Compie il viaggio sola con i due figli e riesce ad arrivare in Bosnia. Dove inizia l’inferno.

Padre Perica. Titi e i suoi due figli. Foto di Laura Cappellazzo

«Eravamo nascosti ne bosco. Quando chiedevo aiuto alla gente che vedevo passare, questi arretravano pieni di paura. Tutti mi dicevano che non potevano darmi niente, che la polizia gliel’avrebbe fatta pagare. Avevo un solo pensiero: portare i miei figli al sicuro. Immagina di essere con i tuoi figli da qualche parte nel bosco, hanno fame e sete e non hai niente da dargli. Immagina che tua figlia, al termine delle sue forze, dica: mamma, teniamoci per mano, buttiamoci da questa montagna e mettiamo fine a questa prova. Immagina tuo figlio che si butta ai piedi di un poliziotto chiedendo di non riportarlo indietro. Immagina che la polizia lancia addosso a tua figlia di sette anni un pastore tedesco per scacciarla. Ancora adesso ha attacchi di panico…» (dalla testimonianza di Titi raccolta da JRC Croazia).

Titi è stata respinta 22 volte. Per 22 volte lei e i suoi figli hanno vissuto il trauma di venire caricati sui furgoni della polizia ed essere lasciati al di là del confine. Fino a quando non è stata notata da qualcuno. Fino a quando la voce, non ha incuriosito qualche giornalista. Allora per lei e i suoi due figli, si è aperta la possibilità di essere accolti in un campo profughi.

«Ora Titi ha fatto domanda di protezione internazionale. Si è messa a disposizione come volontaria. La sua forza è incredibile. Il suo scopo ora, non è più solo dare un futuro ai suoi figli, ma impedire, che anche solo un altro bambino viva quello che hanno vissuto loro.»

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