Il ritorno del Dottor Stranamore: deterrenza nucleare e proliferazione
La bomba atomica è al centro dell'attenzione internazionale. Sono sempre più i Paesi che hanno deciso di dotarsi dell'ordigno per scoraggiare chiunque dall'attaccarli.

La bomba atomica è al centro dell'attenzione internazionale. Sono sempre più i Paesi che hanno deciso di dotarsi dell'ordigno per scoraggiare chiunque dall'attaccarli.

I recenti eventi bellici e, in particolare, l’attacco di Israele contro l’Iran, che aveva come obiettivo primario la distruzione o almeno il rallentamento del programma iraniano finalizzato alla costruzione di un sistema bellico nucleare, hanno riportato all’attenzione di tutti decisori politici la questione della bomba atomica o, più precisamente, dell’opportunità di dotarsi di un sistema offensivo nucleare. Su questo tema sono usciti alcuni articoli e riflessioni che partono da alcune considerazioni: i Paesi che si sono dotati di un arsenale nucleare negli ultimi cinquant’anni si sono messi al riparo da attacchi. Certamente questo è quello che avranno pensato i dirigenti iraniani quando sono stati bombardati e, in molti casi, uccisi nel recente attacco subito da Israele.
Anche la recente e brevissima guerra tra la Repubblica islamica del Pakistan e l’Unione indiana porta a questa conclusione: la guerra si è risolta in un tempo breve e solo con alcuni scontri di frontiera perché entrambi questi Stati sono in possesso di armi nucleari e sanno che invadere l’altro Paese sarebbe estremamente pericoloso. Se uno dei due vedesse messa in pericolo la propria esistenza potrebbe usare l’arma atomica in un momento disperato. Come ha detto Yaroslav Trofimov in una sua recente intervista: “La deterrenza nucleare ha un aspetto fondamentalmente psicologico”. Di fatto rappresenta per alcuni Stati (democrazie o dittature non importa) una garanzia assicurativa sull’esistenza del proprio regime. Se facciamo un rapido giro d’orizzonte vediamo che anche in questi ultimi anni chi ha potuto si è dotato di armi nucleari.
Un esempio tipico è la Repubblica democratica popolare di Corea (DPRK o Corea del Nord) che ha portato avanti un programma segreto di costruzione di un abbastanza ampio arsenale di bombe atomiche a partire dagli anni ’80, quando ancora governava con pugno di ferro Kim il-sung, il nonno dell’attuale dittatore Kim Jong-un. Il programma era iniziato con la costruzione di una centrale nucleare civile sostenuta dai sovietici e si era poi sviluppato a partire dagli anni ’80 in gran segreto.
Per tutti gli anni Ottanta la DPRK ha negato recisamente che stesse cercando di costruire armi nucleari. Grazie ad un sostenuto programma che vedeva impiegati migliaia di scienziati nordcoreani e alla protezione della Cina, che nel frattempo si era sostituita all’Unione Sovietica ormai scomparsa come Stato protettore della Nord Corea, nel 2003 la Corea del Nord raggiunge la produzione di una quantità sufficiente di Uranio 235 arricchito al 90% per passare alla produzione delle prime testate nucleari che sperimenterà in un sito sotterraneo.
Negli stessi anni la DPRK lancia un programma intensivo di costruzione di missili che sono ad oggi l’unica piattaforma di cui si serve la Corea del Nord per il lancio di ordigni nucleari. Dopo i primi esperimenti nel sottosuolo (che costeranno alcune vittime) si procede alla miniaturizzazione delle testate nucleari: processo indispensabile per renderle trasportabili su vettori missilistici. La dottrina di utilizzo delle armi nucleari resta ambigua. La Corea dei Kim dispone di missili ICBM (intercontinentali) in grado di colpire il Giappone e anche le maggiori città degli Stati Uniti. Durante la prima presidenza Trump gli Stati Uniti hanno fatto dei tentativi per convincere il regime nord coreano a rinunciare a questo dispositivo, ma le trattative non sono andate a buon fine.
Un altro Paese che con l’assistenza di uno scienziato pakistano, formatosi in Europa, lo scomparso Abdul Qadeer Khan, ha tentato di raggiungere lo status di potenza nucleare, è la Libia, quando ancora si trovava sotto la dittatura di Mu’ammar Gheddafi. Grazie all’aiuto dei pachistani il programma procedeva abbastanza speditamente e il dittatore libico aveva già iniziato a lanciare le sue minacce contro Israele, potenza nucleare molto discreta. Però la necessità di riavvicinarsi all’Occidente e di superare la crisi provocata dall’attentato terroristico di Lockerbie impone la decisione di rendere pubblico il programma di armamento nucleare libico e di interromperlo.
Dopo questa decisione le relazioni con l’Occidente migliorano anche per la decisione di riconoscere la responsabilità nell’attentato di Lockerbie e di ricompensare in sede civile i parenti delle vittime del volo Pan Am 103. Questo accordo durerà fino al 2011, quando le manifestazioni legate al diffondersi della c.d. “primavera araba”, porteranno all’intervento franco-britannico, sostenuto dagli americani, durante il quale verrà abbattuta la dittatura di Gheddafi e lui stesso verrà ucciso.
Israele si è dotata di armi nucleari con un programma che inizia con la sua fondazione. Con la collaborazione della Francia che dà ad Israele il materiale fissile e nonostante la contrarietà del governo degli Stati Uniti. Israele in alcuni anni raggiunge la costruzione di un ottimo arsenale atomico di cui negherà sempre l’esistenza mostrando così di avere capito bene il concetto di “ambiguità strategica”. Altrettanto riescono a fare l’India e il Pakistan nei primi anni Novanta quando notificano al mondo di avere raggiunto la capacità di costruire un arsenale atomico. Il Sud Africa è l’unico Paese che, dopo aver sviluppato la bomba atomica, durante il governo razzista della minoranza bianca, decide unilateralmente di smantellare i dispositivi nucleari. La motivazione, in questo caso, è duplice: siamo agli inizi degli anni Novanta e la guerra fredda finisce anche in questa parte di Africa.
Non c’è più bisogno del Sud Africa in funzione anti comunista e, anzi, la minoranza bianca deve rinunciare al regime dell’apartheid e consegnare il governo in una transizione concordata al partito che rappresenta la maggioranza di colore: l’African National Congress. Nell’incertezza sugli orientamenti futuri del nuovo governo meglio evitare il rischio di far cadere questo arsenale in “mani sbagliate”. Dopo la Seconda Guerra Mondiale ad alcuni Paesi, tra questi principalmente quelli dell’Asse (Germania, Giappone e Italia), viene sostanzialmente impedito di costruire armi atomiche e di dotarsi di vettori, anche se tecnologicamente ne avrebbero avuto la capacità. A questa pressione esterna si aggiungono dei vincoli pacifisti che vengono inclusi nelle Costituzioni postbelliche di questi Paesi.
Per congelare la situazione alcune delle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale nel 1967 concludono il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) che stabilisce che nessun Paese che non abbia sviluppato l’arma nucleare antecedentemente al primo gennaio 1967, potrà dotarsi dell’arma atomica. Inoltre il Trattato stabilisce che le potenze nucleari (Cina, Francia, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Stati Uniti) si impegnano a ridurre il loro dispositivo nucleare attraverso negoziati. Aderiscono nel 1968 Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica. Francia e Cina, che possiedono ordigni nucleari, aderiscono nel 1992.
La Corea del Nord aderisce nel 1985 ma, da subito, è sospettata di violare il Trattato e si ritira definitivamente nel 2004. È anche sulla base di questo Trattato che l’Ucraina, divenuta Stato indipendente nel quadro della CSI (Confederazione degli stati indipendenti) organizzazione nata dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica, subisce pressioni dalle potenze nucleari, in particolare da Stati Uniti e Gran Bretagna, perché “restituiscano” l’arsenale atomico (che in gran parte era stato costruito in Ucraina) alla Russia che si presenta come il legittimo erede dell’Unione sovietica.
Si trattava del terzo arsenale nucleare per grandezza (circa 1900 testate nucleari con i relativi vettori) dopo quelli di Stati Uniti e Russia. In cambio di questo atto di buona volontà la Russia, gli Stati uniti e il Regno unito garantiscono la sicurezza dell’Ucraina e il rispetto delle frontiere con il Memorandum di Budapest. Nel 2014, dopo l’aggressione russa e l’annessione della Crimea, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno ritenuto che questo documento non implicasse un impegno a difendere le frontiere dell’Ucraina. La Russia ha invece sostenuto che il Memorandum, non essendo stato ratificato, fosse solo uno scambio di promesse diplomatiche giuridicamente non vincolanti. In pratica l’Ucraina è stata abbandonata di fronte al vicino russo. Cosa possiamo imparare da tutto questo?

La prima lezione è questa: chi ha la bomba atomica non la cede. Il Sud Africa rimane un caso unico ed è stato necessario un cambio di regime e di Costituzione. Il possesso di armi nucleari è un’assicurazione sulla vita di dittatori e anche di democrazie: se hai la bomba non vieni invaso. La seconda lezione: ambiguità strategica. Non bisogna mai vincolarsi a decisioni altrui sullo scacchiere internazionale, si deve far pensare ai potenziali nemici che gli ordigni nucleari potrebbero entrare in campo ad un certo punto secondo la propria dottrina militare, naturalmente non dichiarata. In altri termini la bomba deve agire come un tarlo nella testa dell’avversario. La terza lezione: i trattati non servono. In caso di guerra ognuno si sente autorizzato a violarli: resta solo l’equilibrio del terrore.
Imparate queste lezioni non c’è da sorprendersi se oggi molti Paesi stanno pensando di ritirarsi dal TNP. In un mondo in cui le guerre si moltiplicano e le assicurazioni delle grandi potenze, a partire dagli Stati Uniti, non hanno più valore, molti Paesi che non si sentono più garantiti dalle alleanze come la NATO, stanno prendendo seriamente in esame l’idea di dotarsi di dispositivi strategici nucleari. Per realizzare questo piano sono necessarie alcune premesse: disporre di impianti di arricchimento dell’uranio, avere un certo quantitativo di materia prima, avere già o poter costruire un sistema di vettori (missili, bombardieri, sottomarini strategici o altro) per dispiegare in tempi molto brevi le bombe atomiche, avere un sistema tecnico e industriale abbastanza avanzato per poter costruire le armi necessarie, disporre di almeno 26 miliardi di euro, avere un sistema politico effettivo e centralizzato che consenta l’esecuzione del compito, mostrare una deterrenza credibile. Forse oggi ci sono venti Paesi nel mondo che potrebbero avere queste caratteristiche. In Europa potrebbero essere Germania e Polonia.
La situazione è certamente in veloce evoluzione e le sfide sono elevate. Inoltre, in questi ambiti, diventa difficile distinguere la causa e l’effetto: sicuramente possiamo vedere che dall’invasione dell’Ucraina la questione della bomba atomica è tornata d’attualità. In Europa il dibattito è stato stimolato nel momento in cui il Presidente Macron ha ventilato l’idea di poter sostituire la garanzia americana con una francese ai Paesi della NATO. Proposta immediatamente abbandonata perché avrebbe implicato un cambiamento troppo radicale della dottrina francese e che sarebbe stato impossibile farla digerire alla dirigenza militare e civile di quello Stato. In tutto questo naturalmente l’Unione europea non ha assolutamente la possibilità di decidere su queste materie che restano di competenza degli Stati membri che, per dimensioni e per capacità politica non sono in grado di dare una risposta.
Pierangelo Cangialosi
Articolo pubblicato per gentile concessione di Unità Europea, organo ufficiale del Movimento Federalista Europeo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
