Le vicende che, nel corso degli ultimi vent’anni, hanno ridotto in cenere quella che un tempo era il fiore all’occhiello della nostra città, una finanza poderosa con banche e assicurazioni di primissimo livello, è al centro del libro di Ivano Palmieri dal significativo titolo “Schei in fumo”.

Con uno sguardo ben affondato nel passato dell’economia veronese, Palmieri ci permette di capire con la sua opera cosa siamo stati in passato e soprattutto cosa siamo oggi. Ben poca cosa, a dirla tutta. Già perché se da un lato ormai è chiaro che fino a qualche decina di anni fa Verona era la più importante città finanziaria del nord-est e una delle più importanti d’Italia, con due forti banche, un’assicurazione di respiro nazionale e una fondazione fra quelle di maggior peso nel nostro Paese, è altrettanto chiaro dall’altra che oggi non è più così.

E per coloro che pensano a un programma di rilancio e di crescita della città non avere alle spalle quella “corazza” finanziaria rappresenta un limite non da poco. Tanto che il mancato impegno nei confronti dei vari progetti cittadini da parte della Fondazione Cariverona targata Mazzucco – prosciugata dalle precedenti gestioni – è diventato ultimamente terreno di scontro con Palazzo Barbieri, che sperava di avere un maggior aiuto dall’istituto.

La copertina del libro di Palmieri

Il libro di Palmieri è diviso, sostanzialmente, in tre macro capitoli, uno per ognuna delle tre grandi realtà cittadine ormai disperse. Viene anche fatto un quadro della storia economica della nostra città, che si sviluppa soprattutto a partire dalla seconda metà del XIX secolo – in coincidenza con l’Unità d’Italia – e proprio grazie alla presenza di quelle istituzioni finanziarie e a una forte etica amministrativa presente al loro interno, che permise all’intera città di crescere nel corso dei decenni. E se da una parte quella “storia” proseguì e si sviluppò per tutto il XX secolo, è un dato di fatto che nei primi anni del XXI, sotto l’Amministrazione Zanotto, si presentavano addirittura i progetti per costruire ai Magazzini Generali quello che veniva definito “Polo finanziario” o più pomposamente “City” di Verona. A nemmeno 20 anni di distanza, oggi, se anche si avesse voglia di creare ancora quel polo a Verona, di fatto non si avrebbe “nulla” da metterci dentro.

Perché se la Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona è confluita da tempo in Unicredit, dall’altra parte l’allora Banco Popolare di Verona e Novara si è fuso prima, nel 2007, con la Banca Popolare di Lodi formando il Banco Popolare e poi ancora, nel 2017, con la Banca Popolare di Milano, fondando il Banco BPM che ha la sua “testa” principale nel capoluogo meneghino. E, dulcis in fundo, è notizia di questi ultimi mesi, Cattolica Assicurazioni è ormai “preda” di Generali, il colosso triestino che difficilmente lascerà a Verona la gestione di importanti settori dell’azienda.

Insomma, una disintegrazione di un sistema che rappresentava l’orgoglio della città e che ora – nel silenzio totale delle istituzioni politiche cittadine – è volato altrove.

Un passo dei tempi, di sicuro, e quello che è successo a Verona è solo un’anticipazione, se vogliamo, della tendenza generale ad accentrare in pochi grandi colossi il potere finanziario ed economico, specie di alcuni settori.

Quello che è successo a Verona sta succedendo ovviamente anche altrove e anche volendo “contrastare” questo processo non si sa bene cosa avrebbero potuto fare davvero il Comune e le altre istituzioni veronesi. Però è un fatto che Verona si è vista “scippare” i suoi gioielli “senza colpo ferire”, anzi… con l’accondiscendenza del tessuto economico e sociale cittadino. 

Un frame dalla diretta in streaming di Traguardi dedicata al libro di Palmieri

«Fino al 2000 Verona era una delle piazze finanziare più importanti d’Italia – spiega l’autore del libro Ivano Palmieri nel corso della diretta di presentazione del libro online organizzata dal movimento civico Traguardi -. Aveva la Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona che aveva contribuito allo sviluppo di tutto il Veneto, ed era ben diramata e capitalizzata; poi c’era la Banca Mutua Popolare, una banca cooperativa, dove anche il piccolo socio veniva valorizzato con diritto di voto e di contribuire alle decisioni; e, infine, un’importante compagnia assicurativa, Cattolica Assicurazioni, che si collocava in un’ideale classifica nazionale intorno al quinto posto fra le più importanti del settore.»

Oggi, di fatto, ci ritroviamo soltanto la Fondazione Cariverona, “estratta” nel corso dell’operazione-Unicredit, fondazione che per fortuna è rimasta profondamente veronese, ma il cui patrimonio – dopo essere accresciuto fino alla fine degli anni Novanta e agli inizi degli anni Duemila – successivamente è stato fortemente ridimensionato. «Quella che è considerata la vera mission di una Fondazione, essere cioè fonte di erogazioni sul territorio, oggi non può più essere perseguita come invece avveniva dieci o quindici anni fa – prosegue Palmieri -. La Fondazione fungeva da vero e proprio impulso a tante piccole iniziative imprenditoriali e territoriali, con un versamento enorme di milioni e milioni di euro all’anno. Ora quel versamento è stato ridotto notevolmente a circa 60 milioni, distribuiti peraltro nell’arco di tre anni. La gestione della Fondazione, negli ultimi anni, è stata sicuramente migliore rispetto a quella precedente, così come Banco BPM non ha più più patito le perdite che al contrario pativa all’epoca del Banco Popolare. Al di là di questi aspetti positivi, comunque, non vedo alcuna possibilità al momento di un recupero per la città della situazione precedente. La finanza, di fatto, ce la siamo giocata. Quando la piazza alternativa è Milano non puoi più pensare di riprenderti la banca e ormai la direzione per le banche arriva solo dal capoluogo lombardo, vera capitale italiana della finanza, mentre per Cattolica arriverà certamente da Trieste, visto che Generali vuole entrare e contare. Non è un caso se ha richiesto la trasformazione in SpA della nostra assicurazione. La Fondazione Cariverona, però, con investimenti adeguati potrebbe ricostruire il suo patrimonio, anche se prima di recuperare le ingenti perdite, due miliardi e mezzo, ci vorrà molto tempo. Ma la vera domanda è: avremmo preferito all’attuale situazione le cooperative come sono state gestite fino a pochi anni fa, con quei disastrosi risultati? Io penso di no. Anche se il cooperativismo può sembrare un modello virtuoso e democratico, il resto del mondo va da tempo da tutt’altra parte. E bisogna adeguarsi.» 

La risposta di Verona a questo “saccheggio”, secondo Palmieri, in ogni caso non c’è mai stata davvero. Mentre si consumava quello che lui definisce un vero e proprio “rogo della finanza veronese”, la classe dirigente scaligera non si è mai espressa e le voci critiche relativamente ai piani di sviluppo e le scelte aziendali non sono mai state davvero forti.

Un’immagine dei Magazzini Generali

Nel primo capitolo del libro, intitolato “Una finanza, una città”, Palmieri fa un ritratto di Verona, descritta sostanzialmente come realtà mercantile e crocevia di scambi, anche per la sua felice posizione, che dopo una fase di industrializzazione e de-industrializzazione, oggi poggia gran parte del suo benessere sulla bellezza del suo territorio e la possibilità di essere ancora oggi un nodo strategico.

«Commercio e turismo: questo ha conferito alla personalità della città un carattere particolarmente disponibile ai compromessi o incline a girarsi dall’altra parte – prosegue Palmieri – perché comunque una fetta consistente di benessere è garantita dai doni del territorio e della storia. Anche per questo i veronesi, anche se toccati nelle loro tasche (ma non ancora in modo decisivo, perché Verona rimane una delle città più ricche d’Italia e del mondo), rimangono come adagiati, quasi ipnotizzati dal proprio benessere. Di queste cattive o mediocri gestioni, di queste perdite che vengono avvertite come marginali o non decisive, sembrano non preoccuparsi molto. A destra e a sinistra, non si è mai fatto un dibattito approfondito su queste tematiche, su come la città si facesse sfilare una o due banche e ora anche una assicurazione. In un futuro non tanto lontano, invece, queste perdite potranno riflettersi in maniera negativa sulle effettive possibilità di sviluppo della città, che per ora rimane abbastanza apatica a questi cambiamenti. Al di là di tutte le possibili analisi sofisticate, rimane il fatto che la città tace.»

La sede di Fondazione Cariverona

Per Palmieri il veronese ha un legame affettivo viscerale con la città, che è una sorta di “zona del cuore”, oltre che un’area fisico-geografica. Può essere anche che questo “sentirsi veronesi” abbia contribuito a far perdonare o comunque far passare sotto silenzio gli errori madornali che venivano compiuti. Perché se da un lato sono gli istituti finanziari veronesi a perdere, dall’altra il motivo va ricercato fondamentalmente nel fatto che sono stati gli amministratori veronesi a non essersi rivelati, nel tempo, all’altezza…

A Verona, a essere onesti, non si sono mai rilevati i profili penali che al contrario si sono riscontrati nella vicina Vicenza, dove i processi per bancarotta della locale Banca Popolare sono ancora in corso. «Le perdite di Verona non sono riconducibili a comportamenti di reato, però la cittadinanza potrebbe idealmente chiamare quei dirigenti a rispondere del loro operato, perché hanno mancato, a mio avviso, a un principio etico. Non c’è dolo, non c’è coscienza di reato, insomma, ma senza dubbio si potrebbe eccepire un rilievo etico importante: aver dissipato un patrimonio importante della città», conclude Palmieri.

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