Siamo oramai a un passo dall’esame di Stato e molti alunni si affacceranno all’appuntamento con contenuti simili a chi lo ha fatto dieci, venti, trent’anni fa. Per quanto riguarda l’italiano si arriverà fino agli anni Sessanta, per la storia fino alla Guerra fredda. Non molto per un cittadino che dovrebbe comprendere il suo tempo con gli strumenti che solo la scuola può dare: se un ragazzo decidesse di fidarsi dei social e delle fonti online potrebbe davvero, non sapendo selezionare le fonti, vivere in una bolla parallela rispetto alla realtà.

Uno dei problemi è senz’altro il fatto che la scuola è sempre meno palestra di formazione del cittadino e più contenitore di istanze non omogenee e non coordinate dettate dalla politica dell’emergenza. Si riduce lo spazio per la didattica e crescono le attività collaterali e accessorie: il CLIL (ovvero lezioni in lingua inglese), la PCTO (ex ASL, ovvero l’alternanza scuola lavoro), l’educazione civica, più tutti i progetti dell’offerta formativa, che servono ad invogliare i ragazzi a preferire un istituto piuttosto di un altro.

Un fenomeno, questo dei progetti, che se da un lato rende più vivace la vita scolastica e caratterizza meglio gli indirizzi dei vari istituti, dall’altra sottrae tempo alle lezioni curriculari che, nella percezione di molti docenti, sembrano quasi non più al centro dell’azione didattica e di attività che, per affrontare questioni complesse, richiedono una profonda elaborazione.

Lezioni in ostaggio della fretta

Oltre alla riduzione del tempo da un punto di vista quantitativo, abbiamo anche un suo deterioramento in termini di qualità. Elemento essenziale per comprendere il crescente disagio della scuola è la fretta, la velocità nella diffusione e nel consumo di un’informazione il cui volume è in perenne aumento mentre, di contro, il tempo necessario per una sua piena consapevolezza si riduce.

Una mera constatazione: chiunque superi gli anta conosce bene la differenza tra un mondo in cui le notizie uscivano sul giornale del giorno dopo, mentre ora tutto è disponibile in tempo reale. Si determina quindi un conflitto tra questo fiume di informazioni e il mondo dell’istruzione, legato al fatto che l’apprendimento e la comprensione richiedono attenzione e concentrazione senza distrazioni. Così non è, non solo per l’onnipresente telefonino o per contenuti che diventano velocissimi e quasi esclusivamente visivi, ma pure per le continue e pressanti nuove esigenze che riducono il tempo, anche dei giovani, che permetterebbe la sedimentazione dei contenuti e la nascita di un pensiero strutturato.

Una lezione frontale, foto di Stefan Meller da Pixabay

Invece, in ogni momento del loro percorso scolastico, si richiede ai nostri ragazzi di sapere cosa essere da grandi, di crescere in fretta per avere gli oggetti e i sogni dei grandi, di pensare al lavoro ben prima di poterne avere uno, mentre riempiono scartoffie autoreferenziali: un vivere perennemente proiettato in avanti che compromette la lucidità del radicarsi nell’esistente.

Da aggiungere che l’avvento della Didattica a distanza, di cui parliamo già da tempo, non ha che accelerato un processo già in atto: i nostri alunni non scrivono più a mano, gli scritti diventano sempre più spesso test a crocette – ora online – anche perché specie nelle classi prime della secondaria di secondo grado il numero di alunni crea una mole di compiti incompatibile con il tempo a disposizione di un docente, che deve far fronte a una progressiva burocratizzazione. Risultato: l’OCSE-Pisa certifica livelli di comprensione del testo sempre calanti, con effetti, pure, sulla qualità dei docenti di domani.

La quasi assenza della contemporaneità nei programmi

Oltre a sottolineare le tante criticità finora segnalate – che richiederebbero come risposta una riforma complessiva tale da coinvolgere anche gli obiettivi sociali a cui la scuola dovrebbe tendere – possiamo però cominciare a introdurre qualche proposta pragmatica per invertire la rotta.

Ad esempio, per materie come storia e letteratura il tempo che si accumula è materiale aggiuntivo per la didattica, che si somma sino a rendere poco spendibile, nell’ottica della formazione di un cittadino consapevole, l’attuale cadenza dei tempi della storia e della letteratura insegnata in molti istituti scolastici italiani delle superiori. Nella didattica della scuola superiore italiana siamo di fronte approssimativamente a questa scansione:

  • storia Antica: fino al 476 d.C.
  • Medioevo, fino al 1492 (per alcuni, in Italia, pace di Lodi, 1454)
  • storia Moderna, fino al 1815
  • storia Contemporanea, fino ad oggi.

L’esperienza di molti confermerà che, a scuola, la loro cosiddetta età contemporanea è giunta al massimo al caso Moro in storia, a Saba o Pasolini in letteratura.

Sembra una questione assolutamente marginale, ma alla luce del discorso appena svolto non lo è. Come evitare che i nostri ragazzi, i cittadini di oggi e di domani, distinguano le differenze ideologiche di questa politica liquida se il loro panorama di conoscenza politica si ferma a Stalin e Kennedy?

Un rinnovamento ufficiale delle scansioni della storia costringerebbe il mondo dell’istruzione (dalla primaria all’università) a rivedere lo spazio e la scansione dei propri contenuti e, quindi, a ridefinire le priorità.

Apriamo la riflessione

Prendiamo un programma tipo di storia della IV superiore: ha più rilievo la Rivoluzione francese, la fase napoleonica o, relegata in fondo all’anno, l’Unità d’Italia? Proviamo ad immaginare, quindi, una scansione diversa, come questa:

  • Storia antica: fino al 476 d.C.
  • Medioevo: alto (476 d.C.-1000), basso (1000-1492), moderno (1492-1788)
  • Storia moderna: 1789-1918 (o 1945)   
  • Storia contemporanea: 1918 (o 1945)-oggi.

La ratio di questa proposta è la seguente: come elemento caratterizzante la storia moderna, la Rivoluzione francese per l’Occidente è un passaggio epocale per la costruzione del nostro modo di intendere i diritti e i doveri in senso universalistico e che ci definisce come civiltà. Per la storia contemporanea, invece, entrambe le guerre mondiali hanno imposto un riassetto politico ed economico dell’Europa, così come d’altra parte la Rivoluzione russa ha in sé elementi di lungo periodo ancora attuali nella politica del XXI secolo.

Il celebre motto “Liberté, egalité, fraternité” associato alla Rivoluzione francese e divenuto motto nazionale della Repubblica di Francia. Foto di falco da Pixabay

Questa proposta di impostazione, discutibile fin che si vuole, slegherebbe nella necessità della sintesi la storia del Medioevo e dell’attuale storia moderna da una lettura per “re e personaggi”, spingendo ancora di più per una lettura che privilegi i fenomeni di lungo periodo. Si potrebbe, contestualmente, fare un passo in più:

oltre che a rivedere i “tempi” della storia, sarebbe utile pure recuperare l’ora di geografia (che attualmente è in uno stato di morte non solo apparente) per inserire nel ragionamento della storia elementi che sono stati colpevolmente trascurati, come ad esempio l’influsso delle variazioni climatiche nei grandi eventi dell’uomo.

Come potrebbe altrimenti un alunno, ad esempio, spiegarsi le cruente migrazioni che hanno travolto l’Impero romano e l’Europa medioevale? O l’esasperazione delle carestie prima della Rivoluzione francese?

Parlare di politica in classe: sì o no?

Nel quadro di un riassetto e di una riflessione di ampio respiro sull’idea di educazione su cui la nostra società dovrebbe interrogarsi, questa è una modesta proposta che sembrerebbe astratta e idealista, ma che invece ha uno scopo assolutamente pragmatico. Fornire ai nostri ragazzi gli strumenti necessari per destreggiarsi tra le urla della politica di oggi, che apparentemente si muove secondo logiche e un linguaggio da guerra fredda («Fascisti! Comunisti!») quando, invece, queste etichette oramai vuote sono funzionali solo a una narrazione strumentale.

Inoltre, ci pone di fronte a un’ulteriore questione che qui accenniamo solamente per brevità: oggi, si può parlare di politica a scuola? I docenti, oggi, hanno sufficiente libertà e autorevolezza per poterlo fare? Sarebbe il caso di stabilirlo, perché a dettare l’agenda del XXI secolo ci sono temi davvero tosti:

  • un’economia che tende verso un’oligarchia sempre più netta di multinazionali che tengono interi Stati in ostaggio;
  • lo sviluppo della tecnologia e della biotecnologia con possibili, anzi certi, conflitti con l’etica;
  • il contrasto tra Stati-nazione e Stati-civiltà;
  • l’imperialismo che si muove su dinamiche teocratiche o, di contro, su una laicità relativa o assoluta.

Non possiamo più permetterci – e questo è il punto – di ridurre la storia al solito documentario sui segreti dei nazisti. Né, su un piano più ampio, pretendere dai nostri ragazzi una maggiore capacità di lettura e comprensione della realtà, se la scuola adotta lo stesso comportamento bulimico della società degli adulti.

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