«Perché il modo in cui nominiamo la realtà è anche quello in cui finiamo per abitarla.»
Queste poche parole, tratte da Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più simboleggiano in maniera definita il senso preciso che si percepisce chiaramente dalla lettura di questo saggio scritto da Michela Murgia.

L’opera trasmette al lettore quanto la società fondi le sue radici, la sua forma, la sua struttura portante sul linguaggio che utilizziamo per esprimerci. Un linguaggio, che troppe volte è eretto sulla cultura patriarcale.
Il saggio annoda qui il punto di partenza della discriminazione di genere in tutte le sue declinazioni, dalla violenza fisica alla differenza salariale, dal divario del carico mentale al lavoro domestico alla disparità professionale, ma che trova nelle dinamiche di espressione, anche se può apparire di poca importanza, il vero motore propulsore. 

Michela Murgia nasce a Cabras in Sardegna, il 03 giugno 1972. Scrittrice, ma anche giornalista, intellettuale, critica letteraria, opinionista televisa e conduttrice radiofonica a “Radio Capital”, ha al suo attivo una produzione letteraria molto estesa e di grande successo (Il mondo deve sapereViaggio in SardegnaUndici percorsi nell’isola che non si vede, Ave Mary e tanti alti). Ricordiamo, in particolare, Accabadora, opera che ha conquistato il consenso di pubblico e critica, vincendo umerosi premi, tra cui il Campiello nel 2010, e consacrando l’autrice come una delle migliori scrittrici contemporanee e Morgana, altro grande trionfo letterario, un saggio scritto a quattro mani con Chiara Tagliaferri che racconta le storie di donne famose e fuori dagli schemi, tratto dall’omonimo podcast della piattaforma “Storie Libere” che le due autrici hanno realizzato insieme dal 2018.

Il libro Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, uscito per Einaudi il 3 marzo scorso, rappresenta una vera e propria denuncia contro la situazione di marginalizzazione e di inferiorità sociale delle donne. Il saggio è diviso in undici capitoli dedicati ciascuno a forme o modi di espressione abituali che estrinsecano chiaramente il sottobosco della cultura patriarcale.

“Stai zitta” è il primo capitolo. La scrittrice, come punto di partenza dell’analisi racconta diversi episodi televisi e personali nei quali sia lei che altre donne pubbliche sono state liquidate con l’espressione “Stai zitta” da uomini “ree” di aver espresso un’opinione in forte dissenso con questi ultimi.
Michela Murgia esamina tale questione sulla base del fatto che una donna che parla e lo fa in modo non condiscendente è ancora considerata destabilizzante, faziosa, estremista e non un individuo che esprime con autorità un dissenso su un argomento, anzi al contrario, viene additata come una provocatrice.

L’analisi poi si inoltra sulla narrazione che il pensiero dominante ritiene una donna che parla chiaccherona, liguacciuta, pettegola e se si permette di contraddire un uomo adirittura prepotente o prevaricatrice.
Pertanto la figura femminile bene accolta è quella silenziosa, sorridente e impegnata nelle arti all’infuori che quella oratoria.

Il capitolo che si concerta sull’espressione “Ormai siete dappertutto”. L’assunto viene spiegato sulla base del fatto che per molti non ha più senso insistere sul riconoscimento di diritti in merito alla presenza delle donne nella vita sociale e nel lavoro perché oramai sono posizioni acquisite.
La scrittrice manifesta un’autentica ipocrisia in questa credenza dettata dalla convenienza.

Michela Murgia in uno scatto della sua pagina Facebook

Murgia parla infatti di numeri, e lo fa raccontando come lei stessa per anni, e tuttora, ha contato quaotidianamente le firme delle giornaliste dei più importanti giornali Italiani riscontrando che la maggior parte degli articoli sono di penna maschile. Quelle femminili sono poche e per lo più dedicate ad articoli di costume o comunque di contenuti “femminili” non relativi di certo a tematiche politiche o di economia, argomenti di predominio per lo più maschile.
«Contare le donne rende immediatamente palese il dislivello di presenza (e dunque di rappresentanza) di metà della popolazione del Paese e spazza via con la forza dei numeri la diffusa presunzione che la parità di opportunità sia ormai un traguardo raggiunto.»

Nel continuo dell’analisi offre al lettore anche le opinioni di contrasto a tale considerazione, delegittimandole. Invero molte voci, fa notare nel saggio, asseriscono che ciò che conta sono le idee e non chi le porta.
Murgia da questa considerazione ironicamente si esprime presupponendo che le idee in Italia e le competenze le abbiamo solo i maschi stante il fatto che la presenza predominante nella vita lavorativa, televisiva, sociale è loro.
La scrittrice, al di là del tono ironico, spiega la mancanza di spazio delle donne di esprimersi: una donna può avere competenze e pure interessanti cose da dire ma se non le è dato spazio certamente non può manifestarle.
Tale spazio è cancellato dal fatto che la maggior parte delle volte viene convocato un uomo a conferire (sul lavoro, nelle trasmissione televisive, nei dibattiti politici ecc) e non una donna benché ferrata sul tema.

Altra questione degna di nota è esaminata nel capitolo “Era solo un complimento”.
Qui l’autrice racconta di uno spiacevole episodio accaduto alla scrittrice Silvia Avvalone, che durante il Premio Campiello venne chiamata sul palco per ricevere il premio per il suo libro Acciaio.
A consegnarlo fu Bruno Vespa. Il giornalista mentre il pubblico applaudiva la scrittrice che stava salendo sul palco chiese alla regia di inquadrare «lo spettacolare décolletté» della medesima. E non si riferiva alle scarpe.
Murgia evidenzia come un “complimento” del genere, in quel contesto, rappresenti un gesto sgradito – Vespa si giustificò adducendo la mancanza di senso dell’umorismo –.
Silvia Avvalone, pertanto, da ruolo di illustre scrittrice premiata per il suo importante lavoro diventa un oggetto sessuale perché indossa un vestito fine ed elegante adatto semplicemente alla situazione.

Il culmine del problema, per Murgia, è che «non è quanta pelle si veda del corpo di una donna ma quanto lo sguardo maschile sia formato culturalmente a sessualizzare ogni centimetro che ne sorge», e in modo inopportuno ma accettato da tantissimi. L’autrice parla di una presunzione maschile errata del consenso della donne a essere sempre e comunque oggetto di desiderio, presupposto che la scrittrice vede come la radice di chi perpetra violenza sessuale o stupri.

Michela Murgia riesce, negli undici capitoli del libro, a spiegare come certe dinamiche espressive che per tutti sono accettabili e accettate siano in realtà il retaggio di una cultura patriarcale che sta alla base della mentalità delle persone, non solo uomini ma anche donne. 
Un linguaggio prettamente orientato al maschilismo che porta tante volte la donna ad avere come parametro la stessa mascolinità nei concetti, nei modi e nei nomi per definire ad esempio la propria eccellenza e non essere sminuita.

Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo piu sentire è un libro davvero importante per capire e comprendere quanto tutti noi, per prima chi scrive, siamo immersi fino al collo in una cultura patriarcale instillatici dal sistema sociale che può e deve essere sradicata.

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