Ci sono ferite profonde e insanabili, alcune restano sulla pelle e altre vengono taciute ma rimangono impresse nell’anima.

Scrittori e scrittrici hanno scelto la parola “ferita”, ciascuno connotandola in modo diverso nell’antologia pubblicata da Einaudi per i cinquant’anni di Medici Senza Frontiere, l’organizzazione internazionale non governativa nata nel 1971 e insignita del Premio Nobel per la pace nel 1999. Il libro è stato presentato martedì 19 ottobre dai volontari del gruppo Msf di Verona nella Sala Farinati della Biblioteca Civica scaligera, con un reading curato da Sandra Ceriani, alla presenza di Francesca Dambruoso, medica fisiatra e operatrice umanitaria di Medici senza frontiere.

Quattordici voci per dire il dolore

Libro “Le Ferite” (Einaudi) – Quattordici grandi racconti per i cinquant’anni di Medici Senza Frontiere

Tra i quattordici scrittori e scrittrici (Marco Balzano, Diego De Silva, Donatella Di Pietrantonio, Marcello Fois, Helena Janeczek, Jhumpa Lahiri, Antonella Lattanzi, Melania G. Mazzucco, Rossella Milone, Marco Missiroli, Evelina Santangelo, Domenico Starnone, Sandro Veronesi e Hamid Ziarati, ndr), c’è chi parla di migrazione. C’è chi sceglie l’infanzia come luogo della ferita originaria. Chi s’interroga sui limiti dell’empatia di fronte alla scoperta del dolore degli altri. Chi riflette sulla nostra stessa capacità di ferire, per dirci che la vita insegna a convivere col male che ci è stato fatto come con quello che abbiamo commesso noi.  

«La ferita più grande oggi è quella dell’indifferenza, del non stare accanto – esordisce Jessica Cugini, giornalista e moderatrice dell’evento –. Vogliamo aprire la serata riferendoci al kintsukuroi, letteralmente “riparare con l’oro”, una pratica giapponese che consiste nell’utilizzo di oro liquido per la riparazione di oggetti in ceramica, usando il prezioso metallo per saldare assieme i frammenti. La pratica nasce dall’idea che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore, una nuova vita, la capacità di raccontare un’altra storia». La ferita richiede un racconto, fa appello alla possibilità di narrarsi. Le parole costruiscono e riqualificano ambienti, persone.

In ascolto dell’altro e in ascolto di sé


Elda Baggio, chirurga di pace, vice presidente di Medici Senza Frontiere Italia, con ampia esperienze in contesti di conflitti, mostra alcune fotografie delle ferite dei pazienti delle sue guerre: Siria, Yemen, Palestina, Somalia. Sono ferite del corpo che, nel sollecitare la nostra responsabilità politica, a noi arrivano anche come ferite morali. Francesca Dambruso, fisiatra, operatrice umanitaria di Msf e ulteriore testimonianza della serata, ha visto sofferenze che non potremmo nemmeno immaginare. La prima missione, a Lesbo. La seconda, a Baghdad: si occupava di riabilitazione. Nel 2019, altri due mesi in Nord Africa, dedicandosi alle vittime di tortura e violenza sessuale.


Veronica Marinelli, psicologa e psicoterapeuta, ci ricorda, invece, le ferite dell’anima. Nel farlo, cita Luigina Mortari, docente di Pedagogia generale e sociale dell’Università di Verona:

«Abbiamo necessità della cura. La cura si fa o non esiste, non è un valore a cui tendere. Chi ha cura cercando di fare ciò che fa bene per l’altro non ha nessuna teoria generale da imporre, non ha nessuna visione universale del bene. Quello che conta è stare in ascolto dell’altro e in ascolto di sé».


Sono i fondamenti stessi della nostra cultura, l’idea che ne deriva di giustizia sociale, che possono essere ripensati facendo appello a una politica che sia fondata sulla cura educativa e sanitaria. Se abbiamo cura di certe idee, la nostra struttura di pensiero sarà modellata da questo lavoro.

Se ci prendiamo cura di cose e persone, sarà l’esperienze di quelle cose e persone e del modo di stare in relazione con esse a strutturare la nostra esistenza, a risanare la ferita.

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