Fra le vittime di lungo corso del Coronavirus vi è sicuramente la Scuola, fra le prime a chiudere e fra le ultime a ripartire. In questi mesi la cosiddetta Didattica a Distanza (DAD) ha sopperito non poco alla mancanza di lezioni in classe e in qualche modo – grazie soprattutto all’iniziativa degli insegnanti – si sono portati avanti i programmi scolastici, pur fra mille difficoltà. Difficoltà che sono soprattutto di natura sociale per i ragazzi, che hanno estremo bisogno, più degli adulti, di interagire con i proprio coetanei e con un insegnante per poter apprendere al meglio e crescere come individuo. Anche per difendere questo diritto nasce a Verona “Ridateci la scuola”, un’iniziativa volta a sollecitare le istituzioni a prendersi carico il prima possibile di questo problema. Ne parliamo con le prime firmatarie: l’avvocato Giulia Ferrari e la supermamma (di sei figli) Rachele Peter.

Giulia Ferrari

Perché questa iniziativa?
«Siamo un gruppo di cittadini e cittadine italiani che ritengono urgente, all’indomani della fase di riapertura di tutte le attività economiche, riportare al centro del dibattito civile la difesa dei diritti dei minori e del diritto all’istruzione, a nostro avviso ingiustamente trascurati.»

Come sta andando la raccolta firme?
«Bene, con 500 adesioni nel giro di una settimana, ma siamo online con un sito per la raccolta firme solo da qualche giorno, quindi contiamo su un aumento consistente.»

Come hanno vissuto minori e famiglie le restrizioni legate al Coronavirus?
«I minori da 0 a 18 sono stati abbandonati; se durante il lockdown, nel momento critico, abbiamo ritenuto ragionevoli i provvedimenti, compresa la didattica a distanza, dobbiamo però constatare che con i bambini più piccoli è risultato un provvedimento inefficace. Oggi, in realtà, con la fine della maggior parte delle restrizioni, non capiamo perché la scuola materna – che dovrebbe chiudere il 30 giugno – non possa riaprire; anche i centri estivi, compresi quelli parrocchiali, non è affatto detto che riaprano a causa di protocolli troppo onerosi. Tutto questo senza contare la sofferenza emotiva dei bambini; sono stati privati della relazione, dell’educazione alla socialità, per loro fondamentale, aumentando così l’emarginazione. Poteva essere un segnale, anche piccolo, permettere loro di fare l’ultimo giorno di scuola per salutarsi, perché comunque è un momento significativo. E invece constatiamo una chiusura eccessiva da parte delle autorità e contro la tutela del benessere dei minori che hanno subito di più i danni della quarantena. Adesso poi, finita la scuola, non avranno nulla da fare: non si sa se riapriranno le attività sportive per i giovani; senza genitori – al lavoro – non potranno neanche andare al parco se non coi nonni, che hanno paura peraltro e potrebbero non rendersi disponibili.»

Non percepite quindi abbastanza attenzione sul problema?
«In verità vediamo molta più attenzione sulla ripartenza del calcio, per dirne una. Prendiamo l’esame di Stato: protocolli stringenti e alienanti mentre, per il mondo economico e turistico, è ben diverso. Guadiamo quanta gente può stare nelle piazze, nelle vie del Lago di Garda oppure a Gardaland. Questo fa riflettere su quali siano ritenute le priorità.»

Perché il Comune come interlocutore?
«Il Comune è il primo interlocutore rispetto al cittadino e, probabilmente, otterrà da questo Governo maggiori poteri. Che speriamo vengano utilizzati per risolvere questa situazione. A breve andremo anche al Provveditorato.»

Il Comune, di per sé, non gestisce direttamente il mondo della scuola, però…
«È un ginepraio determinato dalla stratificazione delle competenze, ce ne rendiamo conto, ma il tempo stringe: nonostante i proclami, in due mesi bisognerebbe ristrutturare gli edifici, ridurre le classi pollaio; come si fa? Stiamo ragionando su più proposte: allinearsi subito ai calendari europei, intanto, anticipando il calendario scolastico, specie se le elezioni regionali cadessero a settembre. Se poi alcuni insegnati non si rendessero disponibili a cominciare prima, assumere i precari.»

Tutto questo sembra avere un costo. In più, la vostra mozione richiederebbe risorse anche per le paritarie e, di conseguenza, per il personale che dovrebbe aprire le sale messe a disposizione da Comune, Provincia e Regione. Nel caso di Verona, visto che non ci sono soldi nemmeno per il Filobus, dove pensate possano essere reperite risorse?
«Le risorse vanno trovate perché è un diritto costituzionale e fondamentale: bisogna rivedere le priorità e, di conseguenza, la gestione delle risorse. E fare presto. Finora si è perso tempo: cosa hanno fatto le istituzioni locali per la scuola? In Svizzera, ad esempio, erano già pronti ad inizio aprile. Sulla scuola paritaria: più 50% asili sono privati. Se non vogliamo stanziare risorse per i privati, allora si facciano – adesso – gli asili; il pubblico, per i più piccoli, è assolutamente insufficiente.»

Il vostro non rischia di rimanere una vox in deserto clamans?
«Il nostro è sì un appello agli enti locali per fare tutto il possibile per una didattica in presenza, ad orario completo ma soprattutto, lo scopo è accendere un dibattito che riporti al centro la scuola e a cui consegua un concreto impegno. È prioritario recuperare la normalità e risolvere un disagio presente nelle famiglie.
Questa esperienza del Covid ci pone davanti ai problemi con una nuova consapevolezza: meno egoismo, meno paura delle carte bollate e pieno rispetto dei diritti costituzionali, anche dei bambini. Abbiamo ora la possibilità di ripensare alle nostre priorità e certo tra queste c’è il diritto all’istruzione.»