Finirà così: AGSM verrà assorbita da A2A, come, senza mai nominarla, ha lasciato intendere nei giorni scorsi l’advisor incaricato di studiare le strategie di aggregazione della multiutility veronese. L’ultima remota possibilità per evitare di venire fagocitati da un soggetto più grande è sfumata con il tramonto dell’operazione che avrebbe visto l’azienda di Lungadige Galtarossa acquisire il portafoglio clienti di Ascopiave.

Il problema di AGSM è che la sua dimensione ormai è troppo piccola per competere con le grandi multiutility Hera, A2A e Dolomiti – che la circondano come i vasi di ferro attorno al proverbiale vaso di coccio –, in un mercato come quello della fornitura di energia, gas o elettricità, dove dimensioni maggiori consentono di operare economie di scala maggiori e così di offrire servizi a prezzi più vantaggiosi per le utenze finali. Nel mercato del gas, dove le forniture si valutano in milioni di metri cubi e i margini in centesimi, maggiori sono le quantità trattate – cioè il portafoglio clienti di cui si dispone – maggiori possibilità si hanno di ottenere condizioni più favorevoli di acquisto della materia prima.

Verona è arrivata ad affrontare il tema delle aggregazioni delle multiutility con 15 anni di ritardo rispetto ai player che la circondano e ora, al massimo, può trattare le migliori condizioni di resa. Con degli aspetti paradossali: l’ipotesi di fusione con A2A, che fu il casus belli per la defenestrazione di Michele Croce dal vertice della società, viene venduta all’opinione pubblica cittadina come la migliore perché essa può garantire l’utilizzo dell’inceneritore di Brescia. Quando durante l’ultimo mandato di Tosi ogni ipotesi di riutilizzo dell’impianto locale di Cà del Bue fu cassata anche da appartenenti alla maggioranza che ora governa la città, perché «non serviva». Rimarrà nell’antologia politica veronese la fulminea conversione dell’ora onorevole leghista Paternoster al mantra del «NO» all’inceneritore dopo che da presidente tosiano di AGSM ne era stato uno dei più fieri sostenitori.

Per troppo tempo l’azienda è stata usata dalla politica cittadina come cassa di compensazione economica e strumento per l’acquisizione del consenso. Per questo motivo l’ipotesi di strategie economiche di aggregazione è sempre stata vista con sospetto dalla politica cittadina: avrebbe limitato il controllo di un’azienda le cui risorse  anziché essere tutte indirizzate agli investimenti sono state in parte impiegate anche per interventi che nulla hanno a che vedere con la mission aziendale, come ad esempio per la risistemazione di Lungadige San Giorgio, opera sicuramente meritoria ma che non dovrebbe far parte del core business dell’azienda. Per tacere riguardo all’argomento delle sponsorizzazioni…

Il rischio più che concreto è che l’azienda ora possa seguire il destino di altre importanti realtà economiche cittadine – dalla Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno al Banco Popolare –:di essere fagocitate da realtà economiche lombarde più grandi o più solide. E non è difficile immaginare come l’operazione possa essere suggellata con qualche poltrona nel CDA di A2A, riservata ai deretani di figure cittadine di spicco aventi il compito di “essere custodi degli interessi di Verona all’interno dell’azienda”. Chissà. A questo punto c’è da chiedersi se le  ipotesi di trasformazione della Cattolica Assicurazioni da Società Cooperativa a SPA che stanno circolando siano propedeutiche a una OPA (Offerta Pubblica di Acquisto) ostile che porterebbe fuori Verona l’ennesimo gioiello.

Nota di colore: il capitale sociale di A2A è detenuto per il 25% dal Comune di Milano e per un altro 25 da quello di Brescia. Un pezzo pregiato della Verona leghista e di destra finirebbe mangiata da un’azienda la cui governance finale attualmente fa capo all’odiatissimo PD che governa entrambe le città lombarde.