A 30 anni da quel tragico 1° maggio 1994, quando sul circuito di Imola, a causa di una rottura dello sterzo della sua monoposto, perse la vita Ayrton Senna, la commozione e l’affetto che avvolgono ancora il pilota brasiliano non accennano a scemare. Anzi. Il mito continua ad essere vivo, complice in parte l’enorme letteratura che si è creata attorno a lui e allo sfortunato episodio che interruppe improvvisamente la sua vita.

Fra i tanti libri scritti nel corso di questi tre decenni, quello uscito nel 2014 (e in ristampa proprio in questi giorni) scritto dal giornalista sportivo Giorgio Terruzzi e dal titolo “Suite 200 – L’ultima notte di Ayrton Senna”, prende in considerazione in particolare le ultime ore di vita del pilota brasiliano, fra pensieri, sensazioni e ricordi, vissuti all’interno della sua stanza d’albergo. Un libro di rara sensibilità, che ha saputo riportare a galla l’anima tormentata dello sfortunato Senna.

Ispirato dagli incidenti avvenuti in occasione delle prove libere, occorsi in quegli stessi giorni al suo connazionale Rubens Barrichello (alla fine rimasto quasi illeso) e all’austriaco Roland Ratzenberger (che, al contrario, morì), Senna vive – nell’immaginazione di Terruzzi – una notte inquieta, con i pensieri che spaziano in lungo e in largo fino ad arrivare a fare una sorta di bilancio personale.

Come se sapesse, in fondo, che quella gara, che lui aveva anche tentato inutilmente di far annullare insieme ad altri piloti, vista la totale mancanza di sicurezza dimostrata in quei giorni dalla pista emiliana, sarebbe stata per lui quella fatale. Quella stessa sera, fra l’altro, il pilota aveva ricevuto la visita del fratello minore, che mirava in qualche modo ad allontanarlo dalla fidanzata dell’epoca, Adriane, invisa alla sua famiglia e rea di essere stata intercettata mentre parlava a sua volta con un suo ex fidanzato.

Tutto ciò, aggiunto ai già difficili rapporti con l’ingombrante padre, che aveva inizialmente incoraggiato la passione per i motori del figlio salvo poi pentirsene e ostacolarla in tutti i modi, si mescolava ad alcuni ricordi che affioravano dal passato: dall’emozione degli esordi e la delusione della scarsa empatia e umanità dimostrata del suo “mito di gioventù” Nelson Piquet fino all’accesissima rivalità con il francese Alain Prost e il riconoscimento dell’allora giovanissimo pilota tedesco Michael Schumacher come suo possibile erede, passando per la splendida amicizia con l’austriaco Gerard Berger, compagno di mille avventure. Immagini offuscate, cartoline, sensazioni di un passato glorioso e un presente, in quel periodo, per lui più nebuloso di altri. Il tutto “impastato” con le inevitabili riflessioni sulla vita e sulla morte che solo una professione come la sua, affascinante e terribile, può ispirare.

La calma e la serenità che viene raggiunta da Senna all’alba, salutata dal canto degli uccelli proveniente dall’esterno a causa di una finestra lasciata aperta, rappresentano la speranza dello scrittore (e dei fan del pilota) che almeno ci sia stata un po’ di pace nell’anima di Senna in quelle ultime ore della sua vita.

Diego Alverà racconta il suo incontro con la Suite 200 dove Senna visse la sua ultima notte. La registrazione (di Angelo Polizzotto) riprende la parte finale di uno spettacolo portato in scena a Sona (Verona) nell’agosto del 2023 e portato in giro fin dal 2017 dallo scrittore, da cui è stato ricavato un libro e un long-form podcast prodotto da “Storie avvolgibili”.

Terruzzi, sono passati tanti anni dalla morte di Senna, un pilota leggendario. E forse non solo per le sue vittorie, ma per un’umanità a dir poco rara…

«Rarissima. In questi anni, infatti, ho ricevuto centinaia di messaggi per ricordarlo e moltissimi di questi non arrivano, in realtà, da persone appassionate di Formula 1. È come se quest’uomo avesse distribuito sassolini di anima, in giro. D’altronde aveva proprio un’anima esposta, che mostrava con la sua ferocia in gara, ma anche con tutte le sue debolezze.»

Nel weekend in cui morì ci furono una serie incredibile di incidenti in cui, durante le qualifiche, morì anche un altro pilota, Roland Ratzemberger…

«Quella generazione lì intera non aveva ricordi di morti in pista. Chi come me era già un po’ più anziano si ricordava della morte di Gilles Villeneuve o di De Angelis (morto in prova nell’86). Ci fu durante le prove libere anche l’incidente molto grave di Barrichello, poi appunto Ratzenberger e una serie di altri incidenti minori. Quella di Senna, però, era la morte del capo e fu uno shock per tutti. Nessuno pensava che Senna potesse morire. Fu, per certi aspetti, un punto di svolta epocale. Da quel momento cominciarono a cambiare le macchine e le piste, diventate da allora molto più sicure.»

Lei lo conobbe da vicino. Come nacque questa amicizia?

«Io non parlo mai di amicizia, perché ho rispetto per questo sentimento, però è vero che per una circostanza curiosa della vita abbiamo avuto un piano ulteriore rispetto a quello meramente professionale. Sono quegli incontri che ti segnano la vita. Una fortuna enorme per chi come me, grazie al mestiere di giornalista, riesce a lavorare in un contesto di alta qualità come quello del Mondiale di F1 dove puoi conoscere persone come queste, che poi ti porti dentro tutta la vita. C’è con Senna quel doppio livello di lettura: da una parte un pilota che in pista fa delle cose incredibili dal punto di vista atletico, del coraggio, della tecnica. Poi dall’altra la clamorosa vicinanza personale che solo lui e pochi altri sapevano creare.»

Galeotto è stato anche un lungo viaggio in aereo. Come andò quella volta?

«Tornando dal Brasile capitò che la compagnia aerea, a causa di un overbooking, mi dovette spostare in business class e casualmente mi ritrovai proprio vicino a lui. Ci conoscevamo già, ma quella fu l’occasione di passare molte ore a parlare e a scambiarci confidenze estremamente personali. Si dimostrò molto interessato alla mia vicenda e riscontrammo delle affinità personali inaspettate. Sturammo una bottiglia da cui venne fuori tutto. Quel viaggio, per me, è stato il motore del libro. Senza non mi sarei mai permesso di affrontarlo.»

In effetti all’inizio lei rifiutò…

«Si, non me la sentivo di affrontare un libro su Senna. Troppo difficile. Avevo pertanto detto di no alla casa editrice. Poi qualche giorno dopo feci un sogno molto dettagliato, nitido… andai, così, a riprendere alcuni appunti che avevo messo via dopo la sua morte. E in un attimo torno a galla tutto. M’è poi venuto in mente di andare in quella stanza dove lui dormì l’ultima notte della sua vita. Parlai con le persone che lo avevano visto in quelle ore: gli inservienti dell’hotel, le persone con cui aveva fatto colazione. Persone semplici in un posto semplice. Trovai una commozione vivida, come se fosse successa il giorno prima. Così immaginai di scrivere un libro su un uomo, in una stanza, una notte, da solo. Chiesi anche consiglio a Gerard Berger che era stato suo grande amico. Mi confermò che Ayrton era così, proprio come lo vedevo io. E allora decisi di farlo.»

La canzone “Ayrton” di Lucio Dalla, dedicata al pilota brasiliano dal grande cantautore bolognese

Pare che gli avvenimenti di quei giorni lo avessero turbato a tal punto da non voler nemmeno più scendere in pista. Poi, invece, il 1° maggio, purtroppo, era lì nella sua fatale monoposto…

«È un pensiero che gli era sicuramente passato per la testa, ma che mise via subito, da solo. Quel giorno era oggettivamente cupo e preoccupato, ma ovviamente non era l’unico pilota ad esserlo. Questo della Formula 1 è un mondo dove il pensiero della morte ogni tanto passa, ma viene accantonato subito. Se c’è un luogo di smaltimento cocci rapidi, d’altronde, è proprio quello. Non puoi convivere con il pensiero della morte, mentre corri, altrimenti non ci vai.»

Che tipo di rapporto aveva con Dio?

«Era molto credente. Aveva una spiritualità fortissima, ma aveva anche un rapporto con Dio un po’ particolare, incline all’autogestione. Aveva un tale rigore nell’autoanalisi che poi, quando dialogava con Dio, che per lui era un motivo straordinario di trasporto e di forza, secondo lui Dio gli dava sempre ragione e stava costantemente dalla sua parte.»

La sua spiritualità lo induceva a restituire, almeno in parte, quanto gli era stato donato in vita. In che modo?

«Lui era ossessionato dalla parola opportunità. E infatti la sua Fondazione si è sempre occupata di dare un’opportunità a chi non ce l’ha. Sapeva di avere lui una grande opportunità, per i mezzi finanziari della sua famiglia e il grande talento che aveva, ma proprio per questo doveva sfruttarla al meglio. Aveva un’applicazione quasi monacale e non tollerava un impegno semplicemente un po’ meno intenso. È stato anche questo che ha vinto tanto, in maniera così trascinante.»

Giorgio Terruzzi – insieme a Gigi Riva intervistato da Lorenzo Fabiano – al Festival del Giornalismo di Verona 2022

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