A casa mia, il primo di maggio è sempre stata una data particolare. Compio gli anni un paio di giorni prima e tradizione vuole che si festeggi con tutta la famiglia. Nonni, zii, zie e cugini compresi. Nel 1994 ho appena soffiato su otto candeline e, anche se non fa caldissimo, sono corso in cortile a giocare a pallone. Alcuni cugini più grandi sono rimasti in casa, davanti alla tv. A Imola c’è la partenza del Gran Premio.

Grazia Molinari ha 20 anni ed è una super tifosa. In quel momento è al settimo cielo e, probabilmente, sta stringendo tra le mani un biglietto di ingresso del circuito. Sopra c’è l’autografo del suo idolo. Non sa nemmeno come ha fatto ad averlo. «Lo allungai al di là della staccionata dei box a tutto braccio, ad uno della sicurezza, gli chiesi se col passamano riusciva a farlo autografare da Ayrton. Non so come, avvenne il miracolo, dopo diversi minuti di ansiosa attesa, tornò con la firma».

Più o meno nello stesso istante Paulho Coelho è in Portogallo e sta partecipando a un ricevimento. In terra portoghese c’è pure il regista Walter Moreira Salles jr, impegnato a girare alcune scene per le vie di Lisbona. Luiz Inácio Lula da Silva, invece, sta per tenere un comizio.

Domenica 1° maggio 1994 è una di quelle giornate dove ci sono un prima e un dopo. Il prima è un pomeriggio che scorre esattamente come avevi immaginato. Nel dopo ci va tutto ciò che accade dalle ore 14.17 in poi. «Senna ha fatto un incidente», urla un cugino affacciatosi alla porta sul giardino. Chi stava giocando con me rientra in casa, li seguo e davanti alla televisione se ne stanno tutti in silenzio. Braccia conserte e occhi sullo schermo.

Galvão Bueno è il telecronista principe della Formula 1 brasiliana per la Globo. «Senna ha sbattuto forte, molto forte», ripete per tre volte quando la Williams impatta contro il muro di protezione a 211 km/h. Per lunghi secondi ammutolisce. Ayrton è suo amico, per anni ne ha celebrato le vittorie urlando esultante al microfono. «Muove la testa», l’implorazione che si lascia scappare mentre il collega Reginaldo Leme, seduto al suo fianco, gli posa una mano sulla gamba. L’ultimo sussulto.

Il momento dell’impatto di Senna contro i muri di protezione (fotogramma riprese Rai)

Non siamo ancora nell’epoca dell’iperconnessione digitale. Le notizie viaggiano meno velocemente. Al ritmo dei telefoni e dei telefax, impazziti e roventi nelle redazioni di quotidiani e tv. Negli occhi di chi, in mezzo mondo, sta seguendo il Gran Premio in diretta.

Una marea gelida, che dalla curva del Tamburello rompe gli argini e spacca in due quel giorno e, assieme ad esso, la storia dello sport. Il corpo di Senna è ancora dentro l’abitacolo. Nella sua immobilità, sembra intatto.

Da quel momento in poi inizia un conto alla rovescia di angoscia e sospensione. In attesa di una notizia che in cuor tuo già conosci, di quell’aggiornamento che non vorresti mai dare. C’è chi fissa il vuoto, altri restano davanti alla televisione o attaccati alla radio, e finiscono per scordare ogni altro avvenimento accaduto in quel lasso di tempo.

Lula annulla il comizio. Moreira Salles jr vaga, perdendosi, tra le vie di Lisbona e Coelho abbandona il ricevimento a cui era invitato. Io dopo un po’ torno a giocare in giardino, ma qualcuno a fare spola con la tv c’è sempre. Dino Zoff è sulla panchina della Lazio per l’ultima giornata di Serie A, quando riceve la notizia. Ha più volte dichiarato di non ricordare nemmeno il risultato di quella partita.

C’è anche chi, con la mente, torna alle tragiche avvisaglie avute in quel weekend. Il venerdì, un quarto d’ora dall’inizio del primo turno di qualificazione, la Jordan di Barrichello vola contro le barriere di protezione. Il pilota è intubato ma se la cava con una frattura al naso e contusioni varie. Appena ventiquattro ore dopo, alle 13.16 del sabato, è la Simtek di Roland Ratzenberger a schiantarsi alla curva Villeneuve, non lasciando speranze al pilota austriaco.

La sorella ricorda che in mattinata Ayrton aveva letto un particolare passo della Bibbia, «c’era scritto che quel giorno Dio gli avrebbe fatto il dono più grande di tutti, cioè Dio stesso». Senna non se la sentiva di correre, diranno dopo. «Non correre, Ayrton, ritirati. Ritiriamoci. Andiamocene assieme a pescare», gli disse in mattinata Sid Watkins, il medico ufficiale della Formula 1, anche lui un amico. Nell’agonia degli ultimi istanti proverà a praticargli una tracheotomia d’urgenza.

I was bruised and battered, I couldn’t tell what I felt, I was unrecognizable to myself. Ferito e malconcio, irriconoscibile a me stesso, canta Bruce Springsteen. In piazza San Giovanni a Roma si sta svolgendo il concertone del 1° maggio e The Boss è in collegamento video per cantare Streets of Philadelphia, il brano con cui ha vinto il premio Oscar pochi mesi prima.

Il momento della consapevolezza arriva, ancora una volta, in diretta televisiva. Su Rai 2 la trasmissione viene interrotta per dare la linea all’Ospedale Maggiore di Bologna, dove tocca alla dottoressa Maria Teresa Fiandri annunciare in diretta televisiva che per Senna non ci sono più speranze. Troppo gravi e inoperabili le lesioni cerebrali. Certi campioni, però, hanno il cuore che non vorrebbe arrendersi mai. E allora per l’orario ufficiale della morte si deve attendere le 18:40.

Il monumento dedicato ad Ayrton Senna nel Parco delle Acque Minerali, nei pressi della curva del Tamburello

I telegiornali brasiliani danno la notizia quando tutto il Paese è a pranzo. «Si è rotto lo specchio in cui ci vedevamo primi nel mondo». Tragica e perfetta la loro apertura, a testimonianza del fatto che, sulla monoposto di Ayrton, ci saliva un popolo intero.

Il 2 maggio, giorno successivo, le edicole italiane teoricamente sarebbero chiuse per via dell’assenza dei quotidiani. Diversi giornali andranno comunque in stampa con un’edizione speciale, e molte edicole aprono fin dal mattino.

Grazia Molinari conserva l’autografo di Senna nel cofanetto dei ricordi più preziosi. Lui, invece, riposa nel prato verde del Morumbi, una sorta di città-giardino incastonata tra i grattacieli di San Paolo. Tomba numero 11, vasi di margherite e bandiera del Brasile. La stessa bandiera che, due mesi dopo, sventolerà al cielo di Pasadena, quando i verdeoro di Dunga e Romario conquisteranno il loro quarto mondiale di calcio. Aceleramos juntos c’è scritto sullo striscione che i giocatori srotolano in mezzo al campo. Galvão Bueno, che commenta anche quella partita, per un istante si commuove nel leggerlo.

Ayrton Senna se n’è andato di colpo. Mozzando il fiato a un Brasile che nel suo volto giovane aveva visto realizzarsi quell’idea di modernità e successo che ogni popolo sogna di poter esibire al mondo. Più di 5 milioni di persone si riversano in strada a rendere omaggio al feretro, trasportato su un camion dei vigili del fuoco drappeggiato con la bandiera brasiliana.

Non il campione, ma il figlio di tutti. E senti come se non ci fosse più nessun motivo per tornare a sorridere. Qualcuno lo ha anche detto, nel giorno del suo funerale. «Il Brasile ha bisogno di cibo, istruzione e gioia. Oggi ci è stata tolta anche la gioia».

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