«La difesa europea nasce dalla guerra in Ucraina»
Intervista ad Antonio Longo, già direttore de "L'Unità Europea", sull'attuale situazione politica europea e sui possibili scenari che la guerra con la Russia potrebbe creare.

Intervista ad Antonio Longo, già direttore de "L'Unità Europea", sull'attuale situazione politica europea e sui possibili scenari che la guerra con la Russia potrebbe creare.
In questi mesi di critiche sempre più aggressive all’Unione Europea—dalle manovre di Putin e Trump alle posizioni di diversi governi nazionali—abbiamo chiesto il punto di vista di Antonio Longo, federalista europeo fin dagli anni Sessanta e già direttore de L’Unità Europea, storico organo del Movimento Federalista Europeo.
Longo, voce autonoma e fuori dal coro all’interno del Movimento, non vede nell’unificazione europea il risultato di un singolo atto—un nuovo Trattato o una Costituente—ma il frutto di un processo storico e politico in divenire. Un percorso fatto di istituzioni, valori, principi e politiche che si affermano nel tempo, modellandosi sulle risposte alle crisi. Una visione che si può definire gradualismo costituzionale.
Molti criticano l’Europa per la sua presunta impotenza di fronte all’America di Trump e alla Russia di Putin. Alcuni propongono di creare una federazione europea “con chi ci sta”. Quanto è realistica questa ipotesi?
«Direi che non ha alcuna probabilità di successo. Non vedo un gruppo di Paesi disposti a dividere l’Unione su un tema cruciale come la sicurezza. Al contrario, tutti cercano la massima unità possibile per affrontare la Russia di Putin e la politica di Trump. Dopo tre anni e mezzo di guerra e l’offensiva economica di Trump, l’Unione è più coesa che mai, perché ha compreso i rischi devastanti della divisione. La Commissione europea, sempre più consapevole del suo ruolo di governo dell’Unione, agisce con pragmatismo: media dove possibile (come nel commercio) e resta ferma dove non si può cedere (sicurezza e sovranità digitale). In tempo di guerra — e l’Europa è in guerra, anche se ibrida — la regola è chiara: se sei debole, prima resisti, poi allarga le alleanze per vincere. È una lezione che viene direttamente dal Manifesto di Ventotene: la resistenza inglese permise di allargare il fronte degli Alleati e sconfiggere il nazifascismo.»
Dobbiamo rassegnarci all’idea che la guerra continui? Molti sostengono che, così facendo, la pace si allontani sempre di più.
«Lasciamo perdere le narrazioni propagandistiche (la NATO che minaccia la Russia, la “guerra per procura”, ecc.). La guerra ha reso evidente una verità: è uno scontro tra la Russia e l’Unione Europea. Con l’adesione dell’Ucraina all’UE — una scelta libera e democratica del popolo ucraino — si sono scontrati due modelli politici radicalmente opposti.
Da una parte, la democrazia liberale; dall’altra, un sistema autocratico. Ma la differenza più profonda è tra lo Stato nazionale, che risolve i conflitti con la guerra, e l’Unione europea, che in 80 anni ha imparato a regolare i rapporti tra Stati con il diritto, garantendo la pace interna senza nemmeno un esercito proprio.
Per l’UE, l’allargamento avviene con il consenso democratico dei Paesi che chiedono di entrare, a condizioni di parità. Per la Russia, invece, l’espansione passa per occupazione, conquista e guerra. È una lotta tra due visioni del mondo, ora a diretto contatto su un confine che non può più separare realtà così vicine per storia e cultura, ma così distanti per politica e potere. Per l’Unione, è una questione di sopravvivenza: la difesa europea non è un’opzione, ma una necessità costituzionale.»
Alcuni sostengono che serva riformare i Trattati, eliminando ad esempio il potere di veto.
«Durante la Resistenza, se qualcuno avesse proposto: “Prima facciamo la Costituzione con chi ci sta, poi cacciamo i nazisti”, sarebbe stato accusato di intelligenza col nemico. La priorità era sconfiggere il nemico, poi costruire la Costituzione. Oggi, l’Europa deve prima respingere chi vuole dividerla e annientarla, usando gli strumenti che ha ora, non quelli che potrebbe avere domani. Come dice Draghi: “Dobbiamo agire come una federazione, non come una confederazione”. È una questione di volontà politica, non di riforme istituzionali. Serve rafforzare il governo europeo, perché dia impulso alla difesa comune e a un bilancio più robusto (ad esempio con una tassa su internet) per finanziare gli investimenti necessari. La cooperazione strutturata permanente tra alcuni Paesi, già prevista dai Trattati, è possibile e auspicabile. Ma occorre una visione strategica comune, nata dalla realtà della guerra: una visione egemone attorno alla quale costruire la difesa.»
Come può nascere oggi una difesa comune?
«La difesa europea nasce dalla guerra in Ucraina. L’esercito ucraino, il più forte d’Europa con 700.000 soldati, è sostenuto da UE e USA. Ora si tratta di integrare l’operatività militare ucraina con i sistemi d’arma europei. La guerra si è spostata sul fronte aereo (missili, droni) e digitale: qui l’Europa può fare la differenza, unendo l’industria tecnologica europea alla capacità operativa ucraina. Gli ucraini hanno imparato a produrre missili e droni, ma hanno bisogno di una produzione massiccia che solo l’Europa può garantire. La difesa aerea e la sicurezza digitale diventano il punto di incontro tra Ucraina e UE: una dipende dall’altra. Questa è la base concreta per una visione strategica comune, come un sistema difensivo aereo europeo. Solo così, in futuro, si potranno prendere decisioni a maggioranza sulla difesa, perché si sarà già d’accordo sulle linee guida fondamentali.»
Se l’UE è già in parte “federale”, chi decide realmente? La Commissione o i governi nazionali?
«Dove le decisioni dell’Unione coinvolgono il Parlamento (a maggioranza semplice) e il Consiglio dell’UE (a maggioranza qualificata), cioè con il metodo della “codecisione legislativa”, lì c’è un metodo decisionale federale. Questo copre quasi tutte le aree di competenza esclusiva o concorrente dell’UE. Resta intergovernativa solo la sicurezza, ma anche qui la logica federale sta avanzando. Siamo in una fase in cui il potere si sta spostando dagli Stati all’Unione. Le tensioni internazionali (guerra in Ucraina e Medio Oriente, rapporti con USA e resto del mondo) stanno trasformando la Commissione nel vero governo dell’UE. Ursula von der Leyen è sempre più percepita come leader dell’Unione, non solo in ambito economico, ma anche in politica estera e difesa. Le critiche per la centralizzazione del potere ignorano un dato: le crisi internazionali impongono decisioni chiare, rapide e responsabili. In un’Unione ancora “confederale” nella sicurezza, l’efficacia richiede una logica federale.»
Per accelerare il processo federale, meglio puntare sui governi nazionali o sulla Commissione?
«Nei primi decenni dell’unificazione europea, i governi nazionali potevano essere centrali. Ma dopo l’elezione diretta del Parlamento europeo (1979), l’introduzione dell’euro (1999) e la lotta politica europea con i candidati di punta (dal 2014), i governi nazionali sono diventati dei “baroni” che presidiano solo il proprio territorio. La leadership strutturale oggi è della Commissione. Durante la pandemia, i governi nazionali si sono rivelati impotenti: la Commissione ha gestito direttamente l’acquisto dei vaccini e il fondo NextGenEU. Ora, se sta nascendo un coordinamento tra l’esercito ucraino e l’industria militare europea, questo processo finirà inevitabilmente sotto la Commissione, che ha già creato un Commissario alla difesa. La guerra sta costruendo la difesa europea, e il potere del “governo comune” ne uscirà rafforzato. Chi vuole accelerare il processo federale deve puntare sulla Commissione, non sui “baroni” nazionali.»
Quanto incide la mancanza di media europei sulla formazione di un’opinione pubblica continentale?
«Incide moltissimo. Senza media europei, i cittadini continuano a leggere la realtà con le lenti della politica nazionale, basata sulla vecchia divisione destra/sinistra, che non serve a guidare la lotta per l’unità europea. Il Manifesto di Ventotene lo diceva chiaramente: la costruzione di un “solido Stato internazionale” è la via del progresso, mentre la lotta per il potere nazionale è conservazione. Ad esempio, la proposta Rearm-EU è stata bollata come “di destra” in Italia, solo perché sostenuta dal governo Meloni. Ma la difesa europea è una questione di autonomia, sicurezza e democrazia: dare ai cittadini europei il controllo sulla politica europea è progresso.
Serve un sistema di media europei per far capire che un governo europeo c’è già, anche se debole, e che va rafforzato. Solo così i cittadini potranno cogliere le grandi sfide in corso: fusioni bancarie, attori europei nei media e nelle assicurazioni. Pensi a Mediaset for Europe, che ha acquisito Prosiebensat per creare un polo mediatico europeo, o a UniCredit che vorrebbe fondersi con Commerzbank, ma incontra resistenze nazionali. I media europei aiuterebbero a comprendere una verità fondamentale: l’unificazione europea non è un atto singolo, ma un processo fatto di politiche, istituzioni, valori e lotta politica. È un “gradualismo costituzionale” che continua a plasmare l’UE in senso federale. È il processo che ha permesso all’Europa di rispondere al disordine e alla guerra nel secolo scorso, e che oggi sta costruendo un’Unione federale di Stati. Rafforzarlo è l’unica via per consentire all’Europa di tenere unito il mondo.»
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