“Cervelli in fuga”. Un’espressione tornata in auge all’inizio del 2024 per via del nuovo decreto legge (n. 209/2023) che ha modificato il regime agevolativo per gli italiani e italiane che rimpatriano dopo aver vissuto all’estero.

Secondo il rapporto ISTAT 2023, nel decennio 2011-2021 l’Italia ha perso 377 mila giovani formati in Italia. Ma un successivo rapporto di Fondazione Nord Est in collaborazione con il network Tiuk (Talented Italians in the UK) – che riunisce professionisti italiani nel Regno Unito – ha misurato che il dato effettivo sia tre volte tanto, vicino agli 1,2 milioni.

Parlando dello stesso periodo di tempo – il decennio 2011-2021 – e focalizzandosi sul territorio, il Corriere del Veneto, il 31 gennaio 2024, ha riportato i risultati dell’indagine della Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, condotta da Anna Maria Moressa, che evidenziavano come in 10 anni il numero di laureati (25-39 anni) che lasciavano il Veneto per andare all’estero era aumentato del 517% mentre la media nazionale era del 400%.

Stando quindi alle fredde cifre, se nel 2011 il numero di “cervelli in fuga” veneti era 427, nel 2021 diventava 1773. Nel 2020 era anche più alto, 2261, ma è il dato 2022 – secondo l’Ufficio Studi CGIA di Mestre – a sbalordire perché si parla di quasi 5000 giovani veneti espatriati tra i 18 e i 34 anni.

E perché un giovane italiano dovrebbe scegliere di emigrare per realizzarsi professionalmente? Il Rapporto dell’Osservatorio su innovazione e digitale 2023 evidenzia alcune cause come la difficoltà di trovare un lavoro in Italia per la richiesta di esperienza minima, la poca propensione ad assumere a tempo indeterminato da parte delle aziende e la troppa qualificazione dei laureati.

Il sopracitato rapporto di Fondazione Nord Est aggiunge altre due motivazioni, rivelate dagli stessi giovani italiani. La prima è la maggiore responsabilizzazione dei giovani sul posto di lavoro, la seconda è il fatto stesso di vivere il lavoro come parte di un processo di realizzazione personale e non solamente un impiego dal quale portare a casa uno stipendio.

A questo punto però bisogna chiedersi se “cervelli in fuga” è un’espressione anacronistica o meno, tenuto conto del fatto che i nuovi mezzi tecnologici abbattono le frontiere fisiche, un ricordo del passato anche per le generazioni nate nell’Europa post-Schengen e in quella del programma Erasmus+. A livello europeo è più corretto parlare di uno “scambio di cervelli” tra i vari paesi, come suggeriva già nel 1997 il rapporto Ocse sui movimenti di personale altamente qualificato?

Il tema è al centro della puntata del podcast “In bolla”, realizzato dai giovani ragazzi della redazione di PAO Media, ramo dell’omonima fondazione che promuove la realizzazione di contenuti multimediali attraverso percorsi di formazione. L’ospite della puntata è un lavoratore del settore farmaceutico, Paolo Sandrini, originario di Castelnuovo del Garda ma ormai parigino di adozione da quasi 4 anni. La sua esperienza è al centro dell’intervista realizzata da Angelo Callegaro nella quale, attraverso la sua storia, si cerca di dare una risposta alla domanda “Ha ancora senso parlare di cervelli in fuga?”.

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