Se in passato l’atto di informarsi era circoscritto a momenti specifici della giornata e a fonti selezionate, oggi si configura come un processo continuo, caratterizzato da un flusso ininterrotto di stimoli che accompagnano la quotidianità. La pervasività delle tecnologie digitali e la costante interconnessione hanno certamente ampliato le opportunità di accesso al sapere, ma al tempo stesso hanno reso più complesso il compito di selezionare, interpretare e integrare i contenuti in modo funzionale. In questo contesto emergono due fenomeni di crescente rilievo clinico e sociale, l’information overload e il doomscrolling, che riflettono modalità disfunzionali di relazione con l’informazione e che hanno iniziato a suscitare l’attenzione della psicologia clinica, delle neuroscienze cognitive e delle scienze sociali.

Information overload: il peso del sovraccarico cognitivo

Il concetto di information overload descrive la condizione nella quale la quantità di stimoli informativi eccede le capacità di elaborazione cognitiva dell’individuo. Tale stato non si limita alla semplice percezione di abbondanza di dati, ma si traduce in difficoltà di selezione, in una crescente confusione mentale e in un deterioramento della capacità decisionale. La ricerca compulsiva di notizie, articoli e contenuti digitali diventa un comportamento rigido e scarsamente controllabile, sostenuto dall’urgenza di acquisire sempre nuove informazioni. Il materiale raccolto non viene necessariamente utilizzato, ma il soggetto sperimenta una sensazione persistente di inadeguatezza e di insufficiente preparazione, che alimenta ulteriormente il ciclo di ricerca. Questa dinamica produce un sovraccarico delle risorse attentive e mnestiche, come descritto dalla teoria della limited capacity, secondo la quale la mente umana dispone di risorse limitate e non può processare indefinitamente stimoli multipli e complessi senza incorrere in un collasso delle funzioni di elaborazione.

Doomscrolling: tra ansia e rituali digitali

Il doomscrolling rappresenta una declinazione specifica della dipendenza da informazione e si manifesta come scorrimento compulsivo di flussi di notizie, prevalentemente a contenuto negativo, con la speranza di trovare un aggiornamento capace di ridurre l’ansia. L’esperienza soggettiva che ne deriva è paradossale: più ci si espone a contenuti tragici o allarmanti, maggiore è lo stato di tensione emotiva. L’atto stesso di cercare l’informazione si configura come un rituale digitale che rinforza l’illusione di controllo di fronte a un contesto percepito come incerto o minaccioso. Non sorprende che tale comportamento abbia conosciuto una diffusione significativa durante la pandemia da COVID-19, quando l’incertezza globale si è accompagnata a una produzione incessante di contenuti mediatici a carattere drammatico. Da un punto di vista psicodinamico, il doomscrolling può essere letto come un tentativo fallimentare di contenimento dell’angoscia attraverso un controllo cognitivo reiterato, che si traduce però in una ripetizione coatta incapace di offrire sollievo.

Meccanismi neuropsicologici

L’analisi neuroscientifica di questi comportamenti ha mostrato come gli stimoli digitali, in particolare quelli brevi e ad alto contenuto emotivo, attivino i circuiti dopaminergici della ricompensa, stimolando il rilascio di dopamina nel nucleus accumbens e nell’area tegmentale ventrale. Ogni aggiornamento, ogni notifica e ogni nuovo contenuto producono un effetto gratificante immediato, simile a quello osservato in altre forme di dipendenza comportamentale. Il rinforzo intermittente tipico delle piattaforme digitali, basato sulla presentazione imprevedibile di contenuti nuovi e potenzialmente rilevanti, contribuisce a mantenere l’individuo in uno stato di ricerca costante. Con il tempo, la ripetuta attivazione di questi circuiti conduce a un processo di desensibilizzazione, che rende sempre meno efficace la gratificazione e sempre più necessario aumentare il tempo di esposizione per ottenere lo stesso livello di soddisfazione. Nei giovani e negli adolescenti, la cui corteccia prefrontale è ancora in fase di maturazione, tale vulnerabilità risulta accentuata e si traduce in una minore capacità di autoregolazione e di inibizione del comportamento compulsivo.

Fattori predisponenti e contesto sociale

Le cause dell’information overload e del doomscrolling non possono essere attribuite a un unico fattore, ma devono essere comprese all’interno di un quadro multifattoriale che include dimensioni individuali, sociali e tecnologiche. Dal punto di vista personale, la tendenza al perfezionismo, l’intolleranza all’incertezza, i livelli elevati di ansia di tratto e il bisogno di controllo rappresentano elementi che predispongono allo sviluppo di tali condotte. Sul piano sociale, la pressione a essere costantemente aggiornati e reperibili si traduce in una cultura della connessione permanente, che incoraggia l’iperconsumo di contenuti digitali. Infine, l’architettura delle piattaforme online è progettata per massimizzare il tempo di permanenza degli utenti, sfruttando algoritmi predittivi, notifiche push e meccanismi come l’infinite scroll, che impediscono la naturale interruzione della fruizione informativa.

Conseguenze psicologiche e psicosociali

Le ripercussioni di questi fenomeni si manifestano su più livelli interconnessi. A livello cognitivo, la continua esposizione a stimoli riduce la capacità di concentrazione, compromette la memoria di lavoro e limita l’efficacia dei processi decisionali. Sul piano emotivo, l’eccesso di informazioni negative incrementa lo stress, l’ansia e il senso di impotenza, fino a determinare disturbi del sonno e un progressivo abbassamento del tono dell’umore. La dimensione motivazionale risulta anch’essa intaccata, poiché l’individuo sperimenta una perdita di interesse per le attività offline e una dipendenza crescente dalla stimolazione digitale. Infine, sul versante relazionale, l’isolamento sociale, il deterioramento della qualità delle interazioni e la percezione di vivere in un mondo dominato dalla minaccia costituiscono esiti frequenti e preoccupanti.

Foto da Unsplash di Vitaly Gariev

L’information overload e il doomscrolling non possono essere considerati fenomeni marginali o mode transitorie, ma rappresentano espressioni di un cambiamento strutturale nel rapporto tra individuo e informazione. Essi si collocano in continuità con altre forme di dipendenza comportamentale, condividendone i meccanismi di rinforzo, di compulsività e di tolleranza, pur distinguendosi per la specificità del contenuto. Le implicazioni cliniche sono rilevanti: sempre più persone riportano difficoltà legate all’uso compulsivo dell’informazione, con ricadute dirette sulla salute mentale e sul funzionamento sociale. La ricerca è chiamata a delineare con maggiore chiarezza i confini diagnostici e a sviluppare protocolli di intervento che integrino la psicoeducazione, la promozione della consapevolezza digitale e l’applicazione di tecniche di autoregolazione emotiva, quali la mindfulness e gli approcci basati sulla gestione dell’ansia.

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