Dopo i primi due appuntamenti, che hanno affrontato il tema lessicale e quello degli spazi e dei modi della violenza e discriminazione di genere, siamo arrivati alla terza tappa di questo lungo percorso, dedicata al tema del controllo formale e informale della donna nella nostra società.

Va osservato, in una forma estremamente sintetica, come il cosiddetto controllo sociale informale abbia avuto, da sempre, una speciale rilevanza quando esso si concentra sulle donne.

La dottrina, per lo più quella spagnola, utilizza il termine “controllo informale” per fare riferimento a tutte quelle risposte negative, che violano norme sociali e non corrispondono alle aspettative della società basate sul genere o sul ruolo/classe sociale della persona.

Tali teorie hanno rappresentato la delinquenza femminile valorizzando sempre le caratteristiche biologiche e psicologiche delle donne. A tale proposito mi piace riportare fedelmente l’osservazione di Bolderon secondo la quale “…Nessuna teoria sia essa femminista o non femminista può adeguatamente scalfire le tre opzioni che portano le donne a delinquere e ad essere incarcerate: 1) I delitti commessi dalle donne in carcere sono i tipici delitti sanzionati con la pena detentiva, 2) le donne incarcerate solitamente appartengono a un gruppo etnico minoritario, 3) la maggior parte delle donne incarcerate hanno trascorso la maggior parte della loro esistenza all’interno del carcere”.

Il controllo che esercita il diritto penale non dovrebbe essere estraneo a quello che innanzi abbiamo descritto come controllo sociale informale. Rispetto al diritto penale potremo dire che tre sono state le critiche rivolte dall’approccio femminista: 1) la definizione della regolazione del delitto che considera la donna come vittima; 2) l’insufficienza del diritto penale nel proteggere la donna; 3) la regolare o irregolare applicazione o non applicazione nei tribunali di determinati delitti contro le donne.

L’alleanza della donna con il diritto penale è assai più complessa di quanto potrebbe apparire a prima vista. Consideriamo quale primo esempio quello afferente alla difficile regolazione e normazione dei delitti contro la libertà sessuale. Nel nostro sistema è stato necessario attendere il 1996, con la riforma dei delitti contro la libertà sessuale, per liberarci dall’aggancio, voluto nell’ottica fascista, tra il contegno della donna e la “morale pubblica”.

La violenza sessuale

Se analizziamo la struttura della fattispecie penale di violenza sessuale (art. 609 bis cp) potremo notare come, nella attuale formulazione, da un punto di vista della materialità del fatto non si distinguano più la violenza carnale dagli atti di libidine violenta, ma si punisca il comportamento di “chiunque compia o costringa con violenza o minaccia taluno a subire atti sessuali”. La dimensione del delitto è privata, ma esso può essere considerato, secondo quanto ha compiutamente sottolineato la giurisprudenza, quale reato plurioffensivo che può ledere, non solo la singola persona offesa dal reato, ma anche l’intero contesto sociale che non tollera che siano violati i principi di libera autodeterminazione nella sfera sessuale.

Nell’art. 609 bis, ultimo comma del Codice Penale il legislatore ha previsto una attenuazione di pena per i “casi di minor gravità”.

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A tale riguardo si è osservato come la previsione di tale attenuante ad effetto speciale potrebbe dare luogo ad incertezze interpretative. In effetti, siamo in presenza di quella che è stata qualificata come una attenuante indefinita, in quanto tale , pur se comunemente ritenuta non in contrasto con il principio di determinatezza ricavato dall’art. 25 Cost., avrebbe potuto dar luogo ad incertezze interpretative

Va poi osservato come essa non sia soggetta al giudizio di comparazione con le altre circostanze previste dall’art. 69 cp , stante la obbligatorietà della sua applicazione qualora ne ricorrano le condizioni.

Tale circostanza è stata concessa in un caso di violenza sessuale tra coniugi stranieri, nel quale la donna era stata costretta a subire rapporti sessuali completi, poiché- pur non versando l’imputato in una situazione di ignoranza inevitabile- l’ipotesi era di “minore gravità”.

Se effettivamente, da un punto di vista dogmatico e di applicazione giurisprudenziale, il delitto in questione viene ad assumere connotati di rilievo pubblico, è perché il delitto è talmente grave da interessare la società intera.

Accade poi ripetutamente che, a causa di una scarsa preparazione delle forze dell’ordine a trattare questi reati o per le stesse modalità del giudizio del Tribunale, si tendano a dissuadere le persone offese dal denunciare il fatto di avere subito reati sessuali.

In tale prospettiva, si assiste ad una sorta di rovesciamento: la donna diviene colei che è sottoposta ad una rigorosa valutazione, al fine di verificarne la reale attendibilità e moralità. Utile per evitare tale doppia umiliazione della persona offesa appare l’introduzione della irrevocabilità della querela e l’ampliamento del termine ordinario per la sua presentazione. (art. 609 nonies cp).

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Altra cruciale questione è data dalla mancata previsione nel nostro sistema del c.d. “perdono della persona offesa”, presente invece in quello spagnolo.

Contemplare tale strumento giuridico espone la persona offesa ad essere sottoposta a pressioni, spesso meramente strumentali, utili solo al fine di ottenere il perdono e la conseguente fuoriuscita dal circuito penale del violentatore.

Questa valutazione, in generale, è stata condivisa dalla totalità della dottrina penalista e dalla prospettiva femminista. La istituzione del perdono è talora rilevante, poiché nella maggior parte dei casi la violenza si consuma tra persone che si conoscono. E la donna può e deve mantenere la possibilità di avere un ruolo attivo, senza che l’aver sporto querela la renda, successivamente, semplice spettatrice della sua storia.

Ciò che a mio modo di vedere va sempre ribadito è che il delitto è per la gran parte dei casi commesso da un genere, quello maschile, nei confronti di un altro genere, quello femminile. Chiunque può commettere un delitto contro una donna, ma gli uomini la realizzano contro la donna che viola un ordine sociale patriarcale.

Un ulteriore punto che a mio parere merita un breve accenno è quello che attiene alla pornografia.

La pornografia

Uno slogan femminista evidenzia come “la pornografia sia la teoria e la violenza sia la pratica”. Nel sistema spagnolo la previsione della sanzione penale è prevista solo nei casi in cui la vittima sia minore di anni sedici o affetta da deficienza mentale. Tale impostazione riflette precisamente la preoccupazione, esistente nell’ambiente femminista, circa gli effetti della pornografia sull’immagine della donna. In Olanda a tale riguardo si discuteva sul rafforzamento ideologico dei valori maschili imperanti (potere, aggressione, possessione, abilità sessuale). Vi è chi sostiene che la pornografia sia lo strumento attraverso il quale la donna viene degradata: legittima l’uso della violenza come forma di piacere, erotizza la dominazione della donna e la differenza del potere.

In tale prospettiva la pornografia svilisce la donna, presentandola sempre come sottomessa e ciò consente, a mio parere, a una sua reificazione oltre che all’incitamento/istigazione all’odio e al disprezzo nei suoi confronti.

A tale osservazione, si obietta come, così pensando, si pretenda di limitare la libertà di espressione proibendo ogni manifestazione di erotismo.

Si è osservato come si potrebbe estendere la normativa esistente in molti ordinamenti giuridici europei, fra questi quella del codice penale olandese, sanzionando coloro che insultano, incitano all’odio, al trattamento discriminatorio e alle azioni violente contro gruppi di persone per ragioni di razza e religione, anche nei confronti di coloro che così agiscono per motivi sessuali.

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