Le sfide di un’amministrazione spesso partono dal rendere sicuri, non solo a livello di percezione, i cittadini della propria realtà comunale. Una sfida complicata, soprattutto per città ambiziose come la nostra, popolose (260mila abitanti), con flussi turistici importanti e dal ricco tessuto imprenditoriale. Quali sono le priorità della Giunta Tommasi in questo senso? Lo abbiamo chiesto all’Assessora alla Sicurezza, Legalità e Trasparenza Stefania Zivelonghi.

Assessora Zivelonghi, iniziamo con una domanda “secca”: secondo lei Verona è una città pericolosa?

«No, assolutamente, anche se è una città che ha, come tutte, le sue problematiche. È una realtà che è molto vissuta: dai suoi abitanti, dai flussi di chi transita per la città per turismo e per eventi, dai flussi migratori. Ci sono i richiedenti asilo, i veronesi di seconda generazione. È una città molto articolata, ma nell’essere questo non la considero affatto una città pericolosa.»

I dati del 2022 dicono che Verona è in 41esima posizione per furti ma anche in generale per “pericolosità”. Verona è, per dimensioni e popolazione, l’undicesima città più grande d’Italia. Quindi possiamo affermare che si tratta di un buon risultato. Vi siete però posti un obiettivo di miglioramento?

«L’obiettivo intanto è che questa posizione non peggiori. Le dinamiche sono complesse. Non è una città solo undicesima per popolazione, ma come dicevo poco fa è una città che vive un grande attraversamento di popolazioni, di convivenza fra gruppi differenti. Quindi l’attenzione massima è che non ci sia un peggioramento. Il contesto generale, anche delle altre città, non lascia sereni e tranquilli e occorre lavorare. L’essere non pericolosa non significa che non sia comunque teatro di quale episodio spiacevole o rilevante. Non voglio dire che si tratti di episodi fisiologici, ma quello che rileviamo è che sono impliciti e non del tutto eliminabili.»

Uno dei primi atti di questa amministrazione è stato quello di andare a incontrare la cittadinanza, nei vari quartieri, per ascoltare quelle che erano le esigenze del territorio. Dal punto di vista della sicurezza che suggerimenti vi siete portati a casa?

«L’idea di questi incontri nasce proprio dal mio assessorato ed era principalmente incentrato proprio sui temi legati alla sicurezza. Il primo format era quello di presenziare con gli assessorati alla Sicurezza, alle Politiche Sociali, al Terzo Settore e alle Politiche Giovanili. Nella prima versione eravamo dunque pronti a ricevere stimoli e richieste proprio sui temi della sicurezza. Queste erano almeno all’epoca le sollecitazioni esterne, a partire dalla stampa. Quello che abbiamo invece notato, fin dal primo incontro avvenuto poche settimane dopo il nostro insediamento a settembre e poi nei vari incontri successivi, è che il panel degli assessori è in realtà dovuto cambiare perché le esigenze che emergevano man mano dai cittadini erano prevalentemente legate alle piste ciclabili, alla viabilità, ai parchi, al verde, etc. Cose che con la sicurezza non avevano una diretta connessione.

Poi certo, fra i tanti ci sono sempre stati in questi eventi anche uno o due interventi dei cittadini sul tema della sicurezza, ma assicuro che nel contesto erano minimali. La considerazione che posso fare è che il profilo del cittadino che partecipava alle serate era quello di un cittadino familiare, interessato, che esprimeva fiducia quantomeno nell’avere uno spazio di espressione. Era rappresentativo non forse di tutta la città, ma di una fetta molto ampia e distribuita equamente in tutto il territorio urbano.»

Al di là di tutto alcuni quartieri vengono percepiti più pericolosi di altri?

«Noi abbiamo voluto partire dalle aree che pensavamo più critiche dal punto di vista della sicurezza, quindi la quarta e la quinta circoscrizione. Devo dire invece, che ho rilevato in quelle zone molto dinamismo e proattività, con una componente giovane più rilevante, forse anche per la distribuzione della popolazione. I temi della sicurezza attenevamo soprattutto ai giovani, agli schiamazzi, ai litigi fra di loro. Sembrava più una percezione che il riferito a dei fatti specifici che pure c’erano e ci sono. Vedere ragazzi che si ritrovano in gruppo può in alcune persone trasmettere un senso di insicurezza.»

L’episodio dell’aggressione di Piazza Viviani, in pieno centro, avvenuta qualche tempo fa ha destato molto scalpore in città. Fra l’altro non è stato l’unico episodio di questo tipo, ma quello è stato sicuramente fra i più violenti. Cosa si può fare secondo lei per prevenire e affrontare il problema?

«A novembre abbiamo promosso un convengo in Gran Guardia che ha voluto essere un po’ il “calcio d’inizio” di un percorso non solo di azioni ma anche di riflessioni e di pensiero. Questo incontro, organizzato dal Comune insieme alla Camera minorile, ha messo insieme vari soggetti che si interessano di giovani: dalle scuole al tribunale, dagli psicologi agli enti per finire con i giovani stessi. Abbiamo voluto abbracciare un pensiero a tutto tondo. Mi risulta che sia stato la prima volta che si è svolta una cosa del genere a Verona e questo è un po’ l’approccio che vorremmo dare a tutto ciò che facciamo: quello, cioè, di avere una condivisione e un coinvolgimento di tutti. Questo almeno è il mio principio di base.»

Ok, ma poi concretamente cosa state mettendo in campo?

«Già l’assessore Buffolo ha i suoi progetti giovanili, ma in generale ci stiamo avvicinando alle scuole, con vari punti di ascolto e facendo ponte con le varie iniziative che ci sono in città che sono lodevoli ma che possono risultare un po’ scollegate fra di loro. Stiamo facendo un lavoro con i parroci di Borgo Roma mettendo insieme realtà artistiche, sociali e sportive. Mettere in pista cose anche importanti ma a distanza di tempo nell’arco della vita di un adolescente può non essere molto produttivo. Un anno è tantissimo per dei ragazzi e può fare la differenza se prendere una strada o l’altra. Pur in presenza di progetti importanti, l’esigenza quindi era quella di dare subito una risposta e questa ha avuto un esito estremamente positivo. A fine maggio ci sarà la chiusura di queste attività e i riscontri, già da ora, appaiono molto positivi.»

Cosa intende?

«Che piccole ma costanti azioni sui territori possono portare a dei buoni risultati. Vorremmo cercare di far emergere dai giovani la loro parte buona. In questo sono quasi commossa nel ricordare che da una scuola abbiamo ricevuto una lettera nella quale ci raccontavano come alcuni studenti, attivati dai loro insegnanti, abbiamo posto delle domande e cercato anche di dare delle risposte con delle proposte attive. Questo è un buon segnale.

Poi da poco è arrivato il nuovo questore e con lui abbiamo avuto già degli incontri estremamente proficui, perché abbiamo lo stesso tipo di approccio alla questione sicurezza e giovanile e l’idea è quella di dare ai giovani sempre delle alternative. Stimolare laddove possibile, passando attraverso le scuole e dando l’idea che ci siano dei valori e punti di ascolto. E poi, quella è la parte più complicata, vanno trovati anche degli spazi di aggregazione. Io credo che l’amministrazione debba fare soprattutto questo: mettere in connessione le varie iniziative. Verona è una città da questo punto di vista estremamente vivace. Quello che però manca è il collegamento, l’uniformità, la messa a sistema».

Tornando ai furti, nelle zone di Borgo Roma, Borgo Trento, Veronetta ci sono state delle ondate… da questo punto di vista cosa state facendo?

«Questo non è compito dell’amministrazione. L’aspetto di prevenire o punire i reati non spetta al Comune. La città non ha sempre chiaro quelli che sono i ruoli e le funzioni. Non mi voglio nemmeno soffermare su chi contribuisce a creare volutamente questa confusione. Alcuni ambiti sono di competenza di altre forze. Il che non vuol dire che l’amministrazione ne sia del tutto esclusa. In quel concetto di sicurezza partecipata o integrata  ognuno fa la sua parte. Anche per questo abbiamo attivato il controllo di vicinato.»

Ci spieghi di cosa si tratta…

«È un progetto che dovrebbe partire a maggio, ma potrebbe tardare qualche settimana perché il questore ha suggerito ulteriori suggestioni. È uno strumento che si affianca a tutto il resto e coinvolge tutti i cittadini che volontariamente vorranno aderire nella segnalazione tempestiva di particolari situazioni. Questo permetterà un intervento mirato. Il presidio del territorio, che comunque viene fatto dalle forze di polizia e dalla polizia locale, non può e non deve essere a tappeto perché non vogliamo certo militarizzare la città. Però si può rendere tutti partecipi.»

Può sembrare, però, una misura più di destra che di sinistra. Che ne pensa?

«Che non è così perché non si tratta di fare le ronde, ma di svolgere la propria vita di cittadini normali, attenti e non passivi. Io ho occhi e orecchie e posso farmi carico – ed è questa secondo me la vera svolta – di una cosa che non mi tocca da vicino, ma la segnalo a chi di dovere e poi chi riceverà la segnalazione farà le opportune valutazioni.»

Parliamo delle zone di via dei Mutilati e di Piazza Pradaval, che spesso vengono descritte come zone degradate per via della presenza di alcuni senza fissa dimora…

«Ci sono in effetti delle zone delle città che soffrono più di altre, come quelle da lei citate. Soffrono della presenza di persone che bevono, che contribuiscono al degrado della zona, che sporcano, che dormono per strada. A tutto questo si aggiungono, poi, anche alcune zone di spaccio. Come ho già detto tutto quello che è presidio del reato è coperto dalle azioni della polizia. Per quanto riguarda le competenze della amministrazione innanzitutto c’è un problema di AMIA che contiamo di risolvere quanto prima con la nuova organizzazione della municipalizzata. I tempi non saranno brevi, ma contiamo di poter dare nel giro di massimo qualche mese una risposta efficace al mantenimento della pulizia.

Però c’è da dire, me lo consenta, che proprio in quella lettera di cui le parlavo i ragazzi rilevavano molta maleducazione da parte della cittadinanza. Si parla spesso di mancanza di controlli per chi va contro mano, per chi abbandona la spazzatura, per chi non raccoglie le feci del proprio cane… ma il punto di base è che il cittadino sta avendo dei comportamenti non corretti. Se pensiamo di risolverli mettendo una divisa ogni venti metri forse stiamo sbagliando qualcosa. Per quanto riguarda chi dorme per terra o fa abuso di alcol, c’è in effetti un problema sociale enorme. Ci sono delle disposizioni comunali che impongono di non bere in vicinanza dei punti vendita, ma è chiaro che è un problema che va risolto caso per caso, sul singolo individuo. Ed è un lavoro immane.»

Recentemente è scoppiata la querelle sul centro di accoglienza dei profughi nel quartiere Filippini. Qual è la sua posizione?

«Francamente sono stupita dalla reazione di alcuni cittadini. Che comunque assicuro sono una minoranza. Riceviamo lettere che ci assicurano che non c’è alcun problema. Anche perché parliamo di 25 persone che non è che si materializzerebbero lì, sempre che il centro venga confermato, da un giorno all’altro. Sono persone che sono già presenti altrove dove non stanno creando alcun tipo di problema. Quello che mi viene da pensare è che chi è spinto a fare o fomentare questo tipo di proteste lo fa per difendere il proprio interesse di proprietario di Bed & Breakfast, che posso anche comprendere, ma stiamo parlando di un’altra cosa.»

A proposito di B&B, oltre che della sicurezza lei è anche assessora della legalità. Come funziona il discorso dei controlli?

«C’è un’azione combinata che riguarda il mio assessorato attraverso l’attività della polizia locale con l’assessorato della collega Ceni per quanto riguarda i tributi locali. È partita tutta un’attività di monitoraggio per quanto riguarda le locazioni turistiche soprattutto mirato all’imposta di soggiorno e per tutti gli adempimenti legati a questa pratica.

Non c’è nessun accanimento, lo posso assicurare, ma va anche rilevato che quando si vanno a fare i controlli emergono numerose irregolarità, di vario genere. Tutto questo lo si fa non certo per colpire una categoria, ma al contrario, per tutelare chi di quella categoria rispetta le regole. È quasi il primo soggetto da tutelare, oltre ai fruitori del servizio che hanno il diritto di riceverlo nel pieno rispetto della legalità.»

Recentemente una sentenza della Cassazione ha confermato quello che si poteva intuire da tempo: e cioè che a Verona ci sono infiltrazioni mafiose. Su questo fronte come vi state muovendo?

«L’impegno non solo è di dare spazio a tutte quelle realtà – e sono molte – che si occupano di fare promozione culturale, come Avviso Pubblico, Libera o la Camera di Commercio con la consulta della legalità, ma siamo impegnati anche nella richiesta con gli esponenti del Governo per riuscire ad avere qui una sede della DIA. La recente sentenza della Cassazione ha confermato che c’è un sistema radicato da tempo nel territorio e che potenzialmente può toccare qualsiasi attività economica. Verona ha la fortuna di essere una città da questo punto di vista molto interessante e dinamica e per questo può essere molto attrattiva. Anche dal punto di vista logistico ha una posizione strategica per gli scambi. Dobbiamo innanzitutto acquisire consapevolezza, ma dobbiamo anche essere in grado di mettere in campo tutte le risorse per fronteggiarlo. In questo senso penso che ci siano ampi margini di miglioramento.»

A Montorio c’è un problema di sovraffollamento nelle carceri.

«Intendo tenere contatti stretti con i responsabili di quella struttura. La mia attenzione particolare è per i giovani. Pensate che a Montorio ci sono oltre 60 detenuti nati dopo il 2000. Il numero dei detenuti giovanissimi è in forte crescita. È un tema che non possiamo dimenticare. Lì si trova anche il giovane autore dell’aggressione di Piazza Viviani. Dobbiamo avere attenzione per queste persone che prima o poi usciranno. Lo dobbiamo fare non solo per loro stessi, che sarebbe già un motivo sufficiente per farsene carico a livello di collettività, ma anche in vista di quello che sarà poi la loro uscita dal carcere. La pena detentiva ha un suo significato e valore, ma dev’essere visto come un periodo transitorio. Non possiamo dimenticarci di queste persone, perché poi vorrebbe dire mettere le basi per avere problemi ancora peggiori. In assenza di interventi le persone peggiorano, non migliorano.»

Per finire, possiamo riassumere quali sono dunque le priorità di questo suo primo mandato?

«Questa città è stata ferma sotto tanti profili per diversi anni. Parliamo delle infrastrutture, della sede. Ad esempio si è bloccato un centralino che il comandante Altamura è dal 2012 che chiede venga sostituito. Il personale è molto anziano. Allo stato attuale di certo non possiamo dire che la macchina sia perfetta. Oltretutto ora, come è normale che sia, un’amministrazione che ha un approccio totalmente diverso dalle precedenti necessità di tempo. L’importante però è mettere le basi in questi primi anni e sarà poi la cittadinanza, alle prossime elezioni, a scegliere se preferisce questo approccio o quello precedente. Tornando alle priorità, direi che in primis c’è quella di risolvere la questione del Cortile di Giulietta, che stiamo seguendo in accordo con l’Assessora Ugolini della Cultura e Turismo. È un tema che stiamo portando avanti da alcuni mesi e auspichiamo di riuscire ad arrivare ad una soluzione definitiva in tempi ragionevoli. Non siamo da soli, perché c’è sempre una controparte, ma siamo fiduciosi.

Poi come abbiamo già ricordato il controllo di vicinato, che speriamo funzioni quando sarà a regime, ma per questo deve essere ben comunicato alla cittadinanza da parte nostra e che mi auguro abbia una buona risposta. Ci interessa poi tantissimo il riconoscimento di città metropolitana. Verona ha i numeri e le complessità che porterebbero ad esserlo, ma non ha gli strumenti. Mi riferisco a finanziamenti e vincoli in assunzione e tutto quello di cui Verona avrebbe bisogno e che non ha perché non è stata inserita nella lista. E anche su questo si potrebbe fare una riflessione. Però quello che conta adesso è che chi ha il potere di farlo lo faccia. L’urgenza c’è tutta. Infine l’aspetto sociale dei giovani. La sicurezza urbana significa coesione sociale e quindi riduzione dei conflitti. Come? Parlando con le scuole, le associazioni, le persone e trovare un modo di narrare le cose nel modo giusto, per fare un buon servizio ai cittadini.»

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