«Che dici vengo? Ma mi si nota di più se vengo e sto in disparte o se non vengo per niente?» Chissà se l’amletico dubbio posto dal celebre personaggio di Nanni Moretti in “Ecce bombo” sia lo stesso che attanaglia gli esponenti dell’estrema destra veronese. O quantomeno i loro accoliti. I quali, evidentemente non sanno più cosa inventarsi per “farsi notare” dal resto della città.

Un’estrema destra che, non sapendo più da tempo che pesci pigliare, negli ultimi mesi si è sbracciata in tutti i modi urlando “io io io, ci sono anch’io!”: lo ha fatto issando una bandiera a mezz’asta (a simboleggiare il lutto) della Repubblica Sociale Italiana su un pennone nei pressi dello Stadio Bentegodi il 25 aprile 2020, giorno in cui si festeggiavano i 75 anni dalla liberazione nazifascista – a proposito: all’epoca si era parlato di indagini per capire chi erano i responsabili di quel gesto, ma a distanza di quasi otto mesi non se n’è saputo più nulla -; un’estrema destra che più recentemente, il 26 ottobre, ha voluto prima manifestare il proprio dissenso nei confronti dei DPCM del Premier Conte andando presentandosi con fumogeni, striscioni e cori in Piazza Erbe (ma in quell’occasione erano “quattro gatti” e hanno fatto pochi danni) salvo poi un paio di giorni dopo (il 28 ottobre) organizzare, sobillando tanti bravi commercianti e cittadini operosi, un vietatissimo corteo, con migliaia di persone, per le strade cittadine, corteo culminato nei tristissimi scontri con le forze dell’ordine di Piazza dei Signori; non paghi delle proprie edificanti gesta ecco che nei giorni scorsi, sempre quella estrema destra cittadina, è voluta tornare alla ribalta delle cronache con un episodio che stavolta si è verificato nel quartiere di Veronetta, lo stesso nel quale due anni fa avvamparono furenti polemiche per l’inaugurazione della nuova sede di Forza Nuova Verona (che seguiva, peraltro, di un solo anno quella di CasaPound aperta nello stesso quartiere).

In questa occasione non si è saputo fare di meglio che “inventarsi” una sorta di strafexpedition, con tanto di mazze e bastoni, tubi e altri oggetti atti ad offendere, nella principale piazza del quartiere, Piazza Santa Toscana. Non è ancora chiaro chi fossero i destinatari di questa azione andata in scena mercoledì scorso, anche perché per fortuna le forze dell’ordine sono riuscite a intervenire tempestivamente – su segnalazione di alcuni cittadini comprensibilmente allarmati nel vedere un gruppo di giovani girare per il quartiere armati in quel modo. Alla fine è stato anche arrestato un ragazzo di 19 anni, originario di Cesena ma residente in Lombardia, davanti alla sede del Mastino, il club di Casapound, in via Nicola Mazza. All’interno della stessa sede sono stati trovati oggetti contundenti (come appunto mazze e bastoni) insieme ad altri simboli di Blocco Studentesco, altra associazione di estrema destra. Gli inquirenti stanno indagando per accertare le responsabilità di quella sera. Pare che l’antefatto sia stata una “rissa” avvenuta in precedenza nella stessa Piazza Santa Toscana. Qualcuno, in città, ha parlato anche della presenza in zona di esponenti dei “centri sociali”, quando a Verona, lo sanno anche i muri, i centri sociali non esistono da anni. Un modo forse per depistare le indagini o scaricare le responsabilità delle violenze anche su altri. In ogni caso, in attesa dell’esito delle indagini possiamo certamente parlare di un’azione di matrice squadrista, intimidatoria e fascista, che purtroppo non “suona” nemmeno nuova alle orecchie di chi abita il quartiere, abituato ormai da qualche anno a questo genere di situazioni.

Parafrasando la celebre opera di Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, ci si chiede quanto ampio sia il vuoto esistenziale che caratterizza chi oggi “anima” (si fa per dire) quella parte politica della città, certamente minoritaria se non quasi impercettibile nei numeri, ma purtroppo sempre molto rumorosa e in qualche caso persino pericolosa quando vuole farsi notare. Una parte che – come abbiamo ribadito più volte dalle “colonne” di questo giornale – viene tollerata se non addirittura coccolata da istituzioni e partiti politici sulla carta più moderati, che tendono in queste occasioni a scrollare le spalle e a minimizzare. Come se si trattasse di un male inevitabile e non eliminabile. O, peggio, di un bene da far sopravvivere, perché non si sai. Ma, ammettiamolo, è un po’ tutta la città – esclusa per fortuna la parte più attiva a livello politico e sociale – a voltarsi in queste occasioni dall’altra parte, come se anche solo parlarne fosse un delitto di “lesa maestà” nei confronti della parte sana di Verona.

Una scritta apparsa in Veronetta
nei pressi de “Il Mastino”

Concetti come “Dio Patria e Famiglia”, spesso sbandierati come valori da difendere contro tutto e tutti (i comunisti, gli immigrati, le comunità LGBT e via dicendo) e che dovrebbero perlomeno rappresentare una sorta di guida alla disciplina e all’ordine, rappresentano in realtà solo una sorta di scudo dietro cui nascondersi e operare. In questo disordine esistenziale, tanto “leggero” quanto “insostenibile”, non c’è traccia né dell’una, né dell’altro, tanto che poi i “cani sciolti”, come nel caso dell’evento di mercoledì sera a Veronetta, rischiano di seminare il panico nelle comunità in cui quei soggetti si sono forzatamente voluti insediare. Comunità che vivono di ben altro: solidarietà, integrazione, rispetto, inclusione. Concetti che evidentemente non solo non fanno parte del DNA dell’estrema destra, ma che vengono orgogliosamente osteggiati. Un modo meschino, lo ribadiamo, per giustificare la propria stessa esistenza. E chissà cosa penserebbero di loro i fascisti di un tempo, quelli veri, che pur nelle loro idee estreme e assolutamente condannabili almeno mantenevano un certo grado di coerenza.

Assistiamo, dunque, a questa insostenibile leggerezza, che però, – alla prova dei fatti – non riesce nascondere la vera essenza di chi porta avanti quella “battaglia” personale. Perché di questo si tratta. Simbolicamente e significativamente le sedi di Veronetta di Forza Nuova e Casapound sono costantemente vuote. Le associazioni culturali – che di culturale evidentemente hanno ben poco – non fanno vera attività. Quella, cioè, che era stata tanto sbandierata un paio d’anni fa in occasione delle aperture. Quegli spazi sono di fatto solo dei magazzini dove stipare materiale, che – come dimostrato dal recente episodio – in qualche caso è banalmente “atto ad offendere”. Cosa serve ancora, ci chiediamo, per sciogliere queste associazioni o quantomeno estirparle da un contesto urbano, quello di Veronetta, in cui rappresentano inequivocabilmente un corpo estraneo e che di certo non ha bisogno delle loro “ronde” e delle loro scritte sui muri? Non è più epoca di compromessi. Il prossimo episodio potrebbe essere fatale. E l’esperienza oramai datata nel tempo ma sempre viva nel nostro ricordo del povero Nicola Tommasoli, d’altronde, pare non aver insegnato nulla a certi ambienti cittadini.

©️ RIPRODUZIONE RISERVATA