Il Giorno del Ricordo, ovvero la solennità civile istituita per non dimenticare la tragedia degli italiani morti in Istria e in Dalmazia a causa delle persecuzioni titine nell’autunno del ’43 e nel ‘45, non cessa di essere un momento divisivo più che di riflessione nazionale condivisa, come dimostrano sia le rivendicazioni a Destra sia le “contestualizzazioni” a Sinistra, in quella che continua a profilarsi come un’ininterrotta guerra della memoria.

Un tema quindi, quello delle foibe, nel quale bisogna guardarsi – come sottolineava il professor Renato Camurri da noi intervistato – da comode semplificazioni della realtà storica. L’ultimo capitolo di questo stillicidio di contrasti è avvenuto proprio nella nostra Verona, nel corso della manifestazione ufficiale svoltasi nel palazzo della Gran Guardia; l’intervento di Camilla Velotta, presidente della Consulta provinciale degli Studenti di Verona, è stato stigmatizzato dal sindaco della città, Federico Sboarina, che lo ha ritenuto irrispettoso nei confronti delle vittime.

Velotta, nel suo intervento – che ha destato le polemiche da parte del primo cittadino – parlava della necessità di studiare in maniera storicamente approfondita le complessissime vicende del confine orientale, che ancora oggi si portano dietro un revisionismo dannoso che non aiuta nella commemorazione. Cosa intende dire con precisione?

«Il Giorno del Ricordo, ovvero il 10 febbraio, credo resti una data complicata dal conflitto ideologico che di per sé non è utile né a ricordare e commemorare le vittime di quella tragedia né a dare il giusto spazio al tema della solennità né, infine, ad aiutare il lavoro di ricerca e approfondimento degli studiosi di quella che è la storia italiana. Anche perché dobbiamo avere il coraggio di porci delle domande su quelle che sono, come Paese, le nostre responsabilità.»

Camilla Velotta

Il tema delle responsabilità è molto spinoso…

«Molte delle polemiche nascono, a mio avviso, dal fatto che alcuni ritengono di far valere il Giorno del Ricordo – e i morti che in questa solennità vengono commemorati – in modo antitetico al Giorno della Memoria, ovvero le vittime del Nazifascismo e in special modo l’Olocausto del popolo ebraico. In parte, anche per la genesi stessa dell’istituzione del Giorno del Ricordo. Nel mio intervento, infatti, ho cercato di sottolineare questo aspetto, ovvero che non dobbiamo in alcun utilizzare queste date come bandierine ideologiche.»

Veniamo allora al contrasto col sindaco. Probabilmente è stato disturbato dal passaggio della sua relazione in cui sosteneva che «in quel contesto molti uomini furono costretti ad abbandonare per sempre la propria terra, e a pagare le conseguenze di un nazionalismo sfrenato che l’Italia fascista aveva per anni seguito con convinzione, e che aveva contribuito a tenere quegli uomini all’interno di un nuovo sistema che si stava formando, la Jugoslavia di Tito, un sistema diverso da quello in cui avrebbero voluto vivere». Sboarina ha stigmatizzato il suo intervento dicendo che «la storia non va studiata, perché significherebbe giustificarla». Cosa intendeva dire, a suo giudizio, con questa espressione?

«Come detto, ritengo altresì importante verificare se ci siano, all’interno di questo quadro, delle responsabilità che in quella storia il nostro Paese ha avuto. Io credo ce ne siano. Da qui, allora, dovrebbe partire una riflessione che riprenda il passato per non incappare negli stessi errori, perché ritengo che lo studio della storia abbia senso solo se insegna qualcosa che possa essere utile anche per analizzare l’attualità e la contemporaneità. Infatti, nella conclusione del mio intervento, quando affermavo che “ancora oggi in tanti sono costretti, per necessità, a dover lasciare casa e famiglia con la speranza di una vita migliore. E ancora oggi, negli stessi territori, non si sono purtroppo estinte le discriminazioni: la condizione dei migranti che dalla Grecia affrontano la rotta balcanica per raggiungere l’Europa democratica, è disumana.” intendevo proprio questo.»

Il sindaco pare non aver gradito

«In merito alle sue rimostranze, posso ipotizzare che, quando affermavo la necessità di studiare l’evento storico in modo più approfondito e inserendolo in un contesto più ampio, lui abbia inteso ch’io volessi giustificare la sorte di quelle vittime. Il che non è, lo ribadisco. Io credo anche, però, che sia necessario studiare la storia anche quando può essere scomoda per il nostro Paese.»

Può aver avuto un ruolo la collocazione politica, molto netta, del nostro primo cittadino?

«Può darsi che l’abbia percepito così, ma il mio intervento non era contro qualcuno e, di sicuro, non era rivolto a lui. Quell’intervento, che ho scritto dopo essermi documentata, non era finalizzato a rappresentare un’associazione quanto piuttosto la comunità studentesca. Ho invece cercato di essere il più chiara possibile ma non banale, rischio che è sempre alle porte in eventi di questo genere. Se devo essere onesta, anche dopo aver riletto la mia relazione, non ho capito cosa possa aver dato così tanto fastidio al sindaco.»

In questo scontro ideologico, i crimini fascisti vengono sottolineati per giustificare i crimini titini. Viceversa, i crimini compiuti dal nazifascismo vengono equiparati a quelli del comunismo. Lei cosa ne pensa?

«Io innanzitutto tengo a sottolineare che non esistono vittime di serie A e di serie B. Rimane la necessità, per essere obiettivi, di contestualizzare quanto successo all’interno degli eventi e del momento storico il che, si badi, non significa affatto giustificare una tragedia, non solo nazionale ma anche internazionale.»

Ha tratto qualche lezione da questa esperienza ora che, passato qualche giorno, ha avuto modo di rifletterci su?

«Un’affermazione, che io ho ritenuto condivisibile da tutte le parti, è stata interpretata come una rivelazione particolare e divisiva: questo mi ha fatto comprendere quanto effettivamente sia necessario stare attenti anche quando si parla di storia, perché il rischio di un conflitto non nel merito ma ideologico è sempre incombente.»

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