Il modo di dire «nel bene o nel male, purché se ne parli», tratto direttamente da Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, vale sempre e comunque? È una domanda che forse si potrebbero porre gli organizzatori del Festival della Bellezza di Verona, accusati in queste ore di maschilismo e violazione dei diritti d’autore. Di certo avrebbero preferito che l’evento continuasse a ricevere le attenzioni e le referenze positive che, nell’arco di sette anni, lo hanno trasformato in una delle più attese e consolidate offerte culturali non solo cittadine.

Quel che è avvenuto in questi giorni è ormai noto. La polemica sulla scelta dei relatori e i protagonisti di questa edizione, con due sole donne su ventuno appuntamenti (la pianista Gloria Campaner e l’attrice Jasmine Trinca, ndr), nel frattempo rischia di essere oscurata da una grana del tutto imprevedibile.

Il messaggio diffuso ieri dall’artista Maggie Taylor
tramite la sua pagina Facebook
Questa la risposta dell’organizzazione in merito alla rimozione
della “Ragazza con un abito di api”

In un messaggio via social, Maggie Taylor, l’artista americana che ha ideato l’immagine utilizzata da tanti anni quale simbolo dell’evento, ha attaccato gli organizzatori, parlando di una «disgustosa e flagrante violazione del copyright» e dell’uso discutibile della “ragazza con un vestito di api” in un contesto legato all’eros in quanto «minorenne». Fuori tempo massimo? No, a quanto pare, nonostante la situazione appaia incredibile.

Malintesi, ingenuità, sottovalutazioni, critiche ingenerose: tutto può essere. Quel che è sicuro è che sia un gran peccato per il festival, per quanto il protagonista del celebre romanzo di Wilde sostenga che l’importante sia far parlare di sé a prescindere. Anche perché l’edizione 2020, che dopo una prima parte tenutasi ad agosto riparte dopodomani, si era oltretutto garantita un ulteriore credito in termini di autorevolezza, creando un’opportunità da un problema.

Il tema-Covid e la conseguente limitazione della capienza del Teatro Romano e degli altri spazi utilizzati in passato si è trasformata in un trampolino per nobilitare definitivamente la manifestazione traslocandola in Arena. La nuova meravigliosa cornice magari toglierà quella sensazione di vicinanza e intimità tra gli artisti e la platea che si crea in luoghi come il Giardino Giusti ma, in un anno particolare, offre l’opportunità di massimizzare l’interesse del pubblico e far crescere i ricavi dell’evento grazie alla maggiore capacità della location rispetto alle precedenti.

Il programma, sia nelle date che nelle scelte artistiche, è stato necessariamente ritoccato rispetto a quello immaginato. Le minacce estemporanee di quarantena e vincoli a viaggiare tra Paesi sono alla base dell’assenza di alcune ospiti – Charlotte Rampling, Ute Lemper, Jane Birkin e Patti Smith – inizialmente contattate.

Chissà se proprio la maggior disponibilità di posti non abbia proprio contribuito ad indirizzare degli organizzatori verso un autorevole “usato-sicuro” nella ridefinizione del cartellone, ingaggiando soprattutto artisti, filosofi, scrittori che da anni calcano il palcoscenico del festival. Personaggi di grido che nelle edizioni precedenti hanno sempre garantito un forte richiamo sul pubblico e quindi un certo afflusso di spettatori.

Una scelta conservativa che però ha il difetto di aver escluso il sesso femminile dal panel del festival. Se la motivazione legata al Covid per l’assenza delle artiste straniere è chiara, virare su altrettanto autorevoli interpreti italiane avrebbe evitato quell’effetto un po’ così che qualcuno ha valorizzato e che ha generato la controversia sui media.

Per paradosso proprio un’artista di nome Maggie rischia di far passare la querelle in secondo piano. La questione sui diritti dell’immagine simbolo dell’evento, nel frattempo rimossa e sostituita da una foto generica sui social, è incredibile quanto delicata. Involontaria o generata da terzi, la gaffe rischia di portare la faccenda su un terreno meno dialettico e, in fondo, macchiare quel ritratto di sé, di bellezza e stile che, al contrario di Dorian Gray, la manifestazione ha saputo valorizzare negli anni.

La questione della parità di genere era stata discussa anche nell’intervista del 2019 al direttore artistico, che puoi leggere qui https://www.heraldo.it/2019/06/01/che-bellezza-se-al-festival-venisse-kafka/