A quasi un anno dalla dichiarazione dello stato di emergenza, protratto fino al 30 aprile, il processo decisionale in questi mesi ha assunto un carattere di straordinarietà legato alla diffusione del Coronavirus, non senza coinvolgere diverse istituzioni. Prima tra tutte? Il Governo. Avocato a sé la maggior parte delle disposizioni, l’esecutivo – secondo Openpolis.it – dopo gli undici atti approvati lo scorso gennaio per istituire lo stato di emergenza, ha partorito circa 500 documenti normativi, tra cui 145 adottati dal Ministero della Salute. 

Mentre il Governo conquistava la scena a suon di decreti legge, dall’altra parte il Parlamento è rimasto confinato e marginalizzato, almeno nei primi momenti dell’emergenza. «La delicata situazione ha giustificato gli strumenti straordinari, perché i tempi parlamentari sono troppo lunghi e inadeguati per risolvere velocemente questioni urgenti, come bloccare un Paese a causa di una pandemia» afferma Francesca Businarolo, deputata del Movimento 5 Stelle. Più che parlare di assenza, la deputata pentastellata preferisce attribuire al Parlamento un ruolo di collegamento. 

Francesca Businarolo, presidente della Commissione Giustizia della Camera

«All’inizio era impossibile includere la Camera – racconta Businarolo –. La struttura in sé era inadeguata ad accoglierci tutti, c’è voluta qualche settimana per garantire l’ingresso, il distanziamento sociale, il ricircolo d’aria e le misure di sicurezza che conosciamo oggi.» La situazione non ha tuttavia cambiato la sostanza dei lavori: «Sono sempre riuscita a portare istanze del territorio nelle aule parlamentari. Oggi continuiamo a fare quello che si faceva prima, ma in modo più stringente per quel che riguarda l’economia e i problemi di salute dei cittadini».

La pandemia ha travolto, più che altro, la modalità di lavorare. «Come molti altri – specifica la deputata – ora faccio conference call e riunioni da remoto. Da un lato è un bene, perché noto maggiore concentrazione, si evitano viaggi e perdite di tempo nel traffico.» Anche se, prima della pandemia, l’attività del parlamentare era già «in parte informatizzata, con atti che si inviavano in digitale e la fase emendativa via mail», si è registrato un incremento dell’uso di dispositivi tecnologici, che hanno sopperito alla mancanza di confronto diretto. «È vero che da un lato ci si vede a Roma nelle aule, ma siamo molto distanziati e a mancare più di tutto è il contatto con i colleghi, la stretta di mano. Sentire che effettivamente ti puoi fidare o meno al di là dei tecnicismi».

Sulla garanzia di un processo decisionale completamente democratico la pentastellata non ha dubbi: «La democrazia non è in pericolo. I DPCM sono necessari perché la Camera ha dei tempi di gestione molto lenti e lunghi. Oltre al fatto che il decreto legge deve passare dalle Camere e queste lo possono modificare». Secondo l’onorevole, il discorso si soppesa su una bilancia sui cui bracci risiedono la necessità di garantire un dibattito parlamentare e l’urgenza nell’emanare una legge. «In questo momento il dibattito è garantito, basti pensare che sono previsti in media 50 minuti di parola a cranio, sia in commissione sia in aula, a discapito alle volte della necessità di far le cose velocemente», afferma Businarolo. 

La pandemia poi, secondo la deputata, ha acuito la lentezza del Parlamento e mostrato quanto sia desueto il suo modo di lavorare. «Stando al regolamento bisogna attendere 24 ore prima che si voti la fiducia in aula. La ratio è da ricercare nel fatto che a fine Ottocento – spiega Businarolo – bisognava permettere a tutti i parlamentari di arrivare a Roma, col calesse. Chiaramente oggi con l’alta velocità è diverso: attendere un giorno è esagerato e contribuisce a rallentare il processo.» 

Se per la pentastellata il Governo non ha mai esautorato il ruolo del Parlamento, di tutt’altra opinione è Vito Comencini, deputato leghista della III Commissione (Affari esteri e comunitari) e nuovo segretario del Carroccio a Verona, in sostituzione al senatore Paolo Tosato. «Si è parecchio svilito il ruolo del Parlamento, in quanto istituzione che rappresenta i cittadini.» In un momento in cui i DPCM «vanno a influire sulle libertà individuali – continua Comencini – è ancor più necessario coinvolgere in modo adeguato il Parlamento, fatto accaduto solo diversi mesi dopo lo scoppio del virus in Italia». Un atteggiamento che per il leghista contribuisce ad attribuire al Governo connotati sempre più assimilabili ad aspetti tipici di un «regime autoritario, come quello cinese, vista anche la vicinanza di questo esecutivo a Pechino, la cui visione è tutt’altro che democratica». 

Vito Comencini, deputato e segretario della Lega Verona

«Se la Lega fosse stata al governo si sarebbe presentata più spesso in Parlamento per discutere e trovare le soluzioni migliori» sottolinea Comencini. «Perfino gli enti regionali sono stati messi da parte. È mancato ad esempio il dibattito sulle zone rosse nel bergamasco e la comunicazione su come venivano attribuite le fasce di colori nelle varie Regioni, creando così una grande confusione.» Oggi, secondo il deputato, nonostante l’opposizione sia riuscita a ottenere un maggiore coinvolgimento del Parlamento, alcune questioni rimangono ambigue: «Penso al caso recente della Gran Bretagna in cui il Governo senza interpellarci ha chiuso i voli e molti italiani si sono trovati di colpo bloccati in Inghilterra, mentre Di Maio era in missione nel Qatar. Se non fosse stato per la Lega che protestava per la situazione, chissà per quanto tempo i connazionali sarebbero rimasti bloccati all’estero». Ulteriore segno, per Comencini, di una gestione inadeguata dell’emergenza.

La pandemia, più di tutto il resto, ha ridimensionato l’attività politica della Lega, movimento radicato sul territorio e abituato a incontrare la cittadinanza durante incontri pubblici. «La tecnologia si è rivelata uno strumento utile, ma incontrare le persone dal vivo rimane essenziale per capire determinate situazioni e problematiche. Non solo è essenziale che il Parlamento lavori – prosegue il leghista – importante anche come questo funziona. Se sburocratizzare è necessario, evitare di penalizzare la democrazia, favorendo solo gli interessi di alcune parti, ancora di più.» 

Per questo, per l’onorevole, bisogna preservare il ruolo dell’aula: «Nel Parlamento ci sono politici che hanno il compito di rappresentare il volere dei cittadini, poi possono far bene o male, e quindi esser rieletti o meno. Ma, in ogni caso, il futuro di un Paese non può avvenire tramite un blog su una piattaforma digitale». Ancora di più, secondo Comencini, in un momento delicato come questo.

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