Condizione ingrata quella degli alti pascoli della Lessinia, terra raramente alla ribalta della stampa, e quasi mai per le proprie eccellenze. Di Lessinia si parla a ogni nuova predazione di lupo, a ogni incidente causato da un cinghiale errabondo o, peggio ancora in queste settimane, quando una proposta di legge regionale ha avviato l’iter per la riduzione di superficie del medesimo parco regionale. L’antefatto è per l’appunto la proposta di legge 451 presentata dai consiglieri Corsi, Montagnoli e Valdegamberi, che mira a modificare la legge 12 del 1990 che istituì il Parco naturale regionale della Lessinia (proprio a fine gennaio ne ricorre il trentennale). L’obiettivo è la trasformazione di circa il 20% del territorio del parco, attualmente di 10.201 ettari, in aree contigue, zone quindi escluse dalla riserva, e pertanto meno soggette a vincoli.

In particolare, si vogliono escludere dai confini i vaj dell’Anguilla, Falconi e Squaranto. Sono gli stessi firmatari della proposta di Legge che, in una breve relazione di un paio di pagine, contestano l’originaria genesi del Parco, a loro dire «caduto dall’alto» sugli abitanti della Lessinia. E, per dirla tutta, la qual cosa viene confermata dalle delibere dei Comuni coinvolti nel Parco, oggi favorevoli alla sua riduzione. L’istituzione del parco regionale viene vista dunque come un’imposizione politica figlia di momenti di accentuata sensibilità ambientale, ma strutturata in maniera incompatibile con le esigenze imprenditoriali, agricole e forestali. Inoltre, le sopravvenute esigenze di limitare un certo tipo di fauna che negli anni è proliferata oltre modo, cinghiali su tutti – ma qualcuno in queste dichiarazioni ci legge pure il lupo – oggi delineano un quadro ben diverso dagli anni Novanta.

Il Ponte di Veja

La risposta a tale disegno di legge non è tardata ad arrivare e diverse Associazioni del territorio hanno predisposto un testo firmato da ben 115 soggetti, che contesta aspramente il progetto di riduzione dell’area parco. Le motivazioni principali sono legate al rischio di svilimento del ruolo del parco stesso, da cui verrebbero esclusi in primis i principali polmoni verdi del territorio e alcune delle zone più ricche di acqua, oltre al dubbio che tale intervento sia esclusivamente finalizzato a una liberalizzazione delle attività agricole e affini e della caccia. Opinione peraltro in contrapposizione con l’ente Parco stesso, favorevole a nuovi e più idonei confini.

Paesaggio invernale alla Conca dei Parpari

Per approfondire il tema, occorre procedere a ritroso e per prima cosa cercare di capire le caratteristiche del Parco naturale regionale della Lessinia. Come molte guide e testi lo descrivono, è un altopiano a cavallo tra le province di Verona e Vicenza (13 comuni veronesi e 2 vicentini) di importanza geologica senza pari, basti pensare che nel suo territorio sono compresi fenomeni carsici incredibili, vedasi Spluga della Preta, Covolo di Camposilvano e la valle delle Sfingi, o aree di rilevanza internazionale in ambito geologico e antropologico quali la Pesciara di Bolca o il Ponte di Veja. La Lessinia è poi un territorio ricco di flora e di biodiversità faunistica: la presenza del lupo è solo l’aspetto mediaticamente più noto, ma è davvero un’area unica, specie se consideriamo la sua prossimità a grandi centri abitati. Infine, occorre citare, ultima non per importanza, la compresenza e la commistione tra culture diverse, certificata dagli insediamenti Cimbri, fortemente radicati sul territorio, come attestano leggende e miti dell’altopiano popolati da Fade e Strie e che richiamano per molti tratti le saghe celtiche. L’unicità della Lessinia, sconosciuta ai più, è conoscenza da conquistare passo dopo passo senza fretta, tra un’escursione solitaria all’alba, qualche chiacchiera con gli anziani del luogo, acquistando formaggi e salumi dai piccoli produttori locali.

Per comprendere l’unicità di questo territorio, occorre immergersi nelle sue atmosfere in giorno feriale, magari all’arrivo dell’autunno o in qualche limpida mattina di dicembre, periodo in cui le decine di malghe, sperse tra i pendii cosparsi di chiazze di neve, si manifestano in tutta la loro perfezione architettonica, richiamando scene e sapori d’un tempo. Diciamolo: la bellezza della Lessinia non può essere colta su Instagram come le Tre Cime di Lavaredo, non potrà mai catturarvi con l’ospitalità tipica della Riviera romagnola, non troverete nessun borgo curato nei dettagli come in Tirolo e i balconi delle case con i gerani sfolgoranti in stile altoatesino. Per molti gli scorci della Lessinia sono addirittura brutti, un po’ insulsi, un po’ monotoni. Eppure, è una terra sostanzialmente autentica, culturalmente incapace di ostentare sfarzo e magnificienza, ancora oggi antropizzata per lo più con le logiche degli allevatori di una volta. È scontrosa e genuina. La Lessinia è un territorio che mai ha saputo valorizzarsi, tranne in un fugace periodo tra gli anni Sessanta e Settanta in cui comprare casa al Cerro o a Bosco affermava una raggiunta condizione borghese e benestante. Epoca passata, volto di un turismo sciistico postbellico, ormai non più sostenibile non solo a causa dei cambiamenti climatici. Effigie a presente e futura memoria ne è l’abitato di Malga San Giorgio, cattedrale in totale degrado e abbandono di un tempo che fu.

Il Covolo di Camposilvano

Per un’economia che stava morendo, lo Stato ne sollecitò una diversa. La nascita del parco regionale infatti, in concomitanza con i naturali passaggi generazionali verificatisi tra gli allevatori e i piccoli imprenditori della zona, ha quindi contribuito a far emergere moderati spunti imprenditoriali che a piccoli passi ancora oggi stanno dando impulso e lustro alla comunità e al suo territorio. Caseifici, salumifici, aziende agricole e artigiane, oltre ovviamente a qualche familiare impresa turistica, hanno saputo crescere non più secondo gli schemi tradizionali dell’equazione montagna uguale sci alpino, ma attraverso un costante impegno rivolto a un’alternativa e più variegata valorizzazione del territorio. Affermare che questo sviluppo sia dipeso solo dalla nascita del parco regionale è difficile dimostrarlo, ma senza dubbio la riserva non è stata nociva.  

L’altopiano della Lessinia, visto dal Carega

Tornando dunque alla proposta di restringere il perimetro del parco regionale, ci siano permesse alcune considerazioni: il Parco regionale della Lessinia non è rappresentato solo dalle cime più note e dai pendii oltre i 1.400 metri: da un punto di vista geografico e ambientale valli e vaj che risalgono dalla pianura e che raccolgono l’acqua dell’altopiano e a valle la scaricano, formano un unico territorio. Se a livello amministrativo si decidesse di suddividerlo e gestirlo con diverse specificità, sarebbe senza dubbio un’azione contro natura e in contrapposizione a quanto la storia di queste terre ci racconta.

Inoltre, la riduzione di un’area parco sarebbe una scelta politica in controtendenza con quanto in Italia e in Europa si verifica in merito alle politiche di tutela e valorizzazione ambientale dei territori. Se la motivazione principale addotta a supporto della proposta di legge è quella di semplificare e rendere più efficienti le operazioni di controllo faunistico sulle varie specie, essa appare pretestuosa. Gli animali vengono già abbattuti nei tempi e modi previsti dalle norme che stanno facendo fronte, ad esempio, all’emergenza cinghiali. Qualora tali misure non siano oggi ritenute sufficienti, gli organi competenti avranno sicuramente modo di intervenire nuovamente con provvedimenti più consoni, ma pare davvero inaudito pensare che a ciò si possa arrivare solo riducendo l’area parco. Si prevedono tempi duri per il lupo.

Affermare che i parchi siano caduti dall’alto senza l’approvazione delle comunità è una considerazione qualunquista. Da sempre le aree protette sono state accolte con diffidenza dalle popolazioni, preoccupate da vincoli crescenti e dall’aumento dei controlli e della burocrazia, specie in aree in cui storicamente l’istituzione Stato è sempre stato vissuto da lontano, tipicamente le aree montane. Sta allo Stato stesso e alle Regioni farsi portatore di uno sviluppo delle sensibilità ambientali, a prescindere da locali e specifiche esigenze di singoli cittadini e di piccoli centri di potere. In primis divulgando quelle che sono le evidenze economiche: la presenza dei Parchi è stata ed è un toccasana per l’economia dei territori. Dove c’è una riserva, oltre alla tutela ambientale, c’è benessere sociale, il Pil aumenta così come l’occupazione giovanile. Un solo dato è rappresentativo di quanto affermato: il valore aggiunto pro capite nelle aree Parco supera di 6.000 euro quello dei territori esclusi da vincoli ambientali (Fonte Ministero dell’ambiente). Possibile che i residenti siano così contrari ai parchi? Possibile che ne vogliano ridurre l’area solo per cacciare qualche lupo e cinghiale o per costruire liberamente delle serre di fragole in più?

Le Comunità di montagna e di collina, combattono da anni contro lo spopolamento, contro l’abbandono di certi lavori e la perdita di significative professionalità, in altre parole lottano per non morire. La Lessinia non difetta in tal senso: è un territorio fragile e che va tutelato. Le misure finora adottate, quali i contributi a fondo perduto, hanno dei limiti strutturali – si possono erogare in presenza di risorse disponibili – e sono sempre più il regno dei furbi e di diffuse frodi allo Stato con il banale metodo della sovrafatturazione e altri accorgimenti simili. Occorre dare vigore alle comunità di montagna attraverso altri metodi, altre forme di incentivazione. Il parco è una di esse e al momento una di quelle che sta funzionando di più. Possibile che la politica sia così cieca?

Il dubbio è che questo improvviso interesse per i confini geografici del parco della Lessinia non sia un virtuoso e sensato tentativo di modernizzare l’amministrazione e la tutela dell’ambiente, ma un poco lungimirante tentativo di eludere alcuni vincoli. Primo tra tutti la caccia di certe specie animali, tra cui il lupo, che notoriamente dimora proprio nei vaj interessati dall’esclusione dal parco e che vedrebbe minacciata la propria sopravvivenza, proprio in quello che storicamente è sempre stato il suo habitat naturale.

Nevicata nei boschi intorno Velo Veronese