La conferenza stampa del premier Giuseppe Conte del 26 aprile incui cercava di illustrare i contenuti del Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) per governare la cosiddetta Fase 2 del Covid-19, proponendo un primo allentamento della clausura cui siamo da settimane costretti, ha scatenato un ampio dibattito nel Paese sulle diverse misure proposte. Ogni provvedimento appare giusto-sbagliato, possibile-impossibile, opportuno-inopportuno. Si discute di tutto e del suo contrario: pochi dati e tante opinioni. Tutti appaiono esperti e responsabili.

Nel sentire le prese di posizione dei vari commentatori tutto sembra ragionevole e plausibile, ma anche il suo contrario. È ragionevole aprire i negozi ma lo è anche tenerli chiusi, è utile mandare a scuola i ragazzi ma anche tenerli a casa, salutare fare sport all’aria aperta, ma è meglio allenarsi in casa, è opportuno riaprire le fabbriche ma anche no, e così via.

In tutto questo cicaleccio, persino un poco noioso e ansiogeno, dopo sei settimane di lockdown, il numero di nuovi contagiati diminuisce lentamente e il numero dei decessi giornalieri rimane alto, mentre l’andamento dell’epidemia virale è ancora oggetto di studio per virologi, statistici, anestesisti, sociologi e non emergono idee chiare sulla sua evoluzione.

Nel dibattito si trascura un aspetto ormai evidente: il nostro eccellente sistema sanitario, nel suo complesso e nelle sue diverse articolazioni, si è trovato totalmente impreparato e inadeguato ad affrontare l’epidemia.

È stato come se la pluridecorata fire brigade si fosse trovata a intervenire per domare un incendio con gli estintori esausti, i serbatoi dell’acqua vuoti, le scale antincendio corte, senza informazioni e scarsa conoscenza del luogo, inconsapevole dei rischi di estensione del fuoco a vicini depositi infiammabili, gestita da capisquadra scollegati fra loro, a mani nude e armati solo da personale dedizione e spirito di sacrificio, vigili che si buttano tra le fiamme proteggendosi gli occhi con l’avambraccio.

Possiamo constatare che il nostro sistema sanitario ha così reagito di fronte al manifestarsi dell’ epidemia del Covid-19, nonostante ci fossero le premesse per un approccio diverso e più adeguato.

Dopo l’ultima importante epidemia, la Sars del 2002, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Oms, ha invitato gli Stati membri a predisporre piani pandemici nazionali in modo da preparare le strutture sanitarie ad affrontare eventuali, probabili nuove insorgenze. Il nostro Paese, diligentemente, lo ha redatto nel 2006 e lo ha aggiornato nel 2016. In esso, oltre a indicare criticità, modalità di intervento e responsabilità, si invitavano esplicitamente le regioni a declinarlo a livello locale per chiudere la maglia degli interventi e rendere più efficace la reazione. Ad esempio la Regione Veneto lo ha redatto nel 2007 con la lista dei responsabili operativi.

L’Oms inoltre, preoccupata dell’effettiva efficacia dei piani redatti nei diversi Paesi, in una raccomandazione del  2018, chiedeva ai governi di effettuare dei test, delle esercitazioni e allegava un protocollo da seguire, il Simulation exercises to test and validate pandemic influenza preparedness plans.

I piani sono rimasti nel cassetto. I medici di base non sono stati coinvolti in esercitazioni antipandemiche, così i Pronto soccorso e gli istituti per anziani. Si può concludere che nulla è stato fatto di quanto previsto nei piani pandemici. Il nostro sistema sanitario si è trovato a mani nude, completamente impreparato.

I risultati li abbiamo davanti agli occhi: alto numero di decessi anche fra gli operatori sanitari, interventi disordinati che hanno esteso il fuoco a strutture che potevano essere preservate, per l’appunto le case di riposo per anziani, vasti territori isolati in quarantena.

Con queste premesse il Dpcm e le misure presentate da Giuseppe Conte nel suo intervento risultano insufficienti e quasi preoccupanti. Non perché sia limitata l’apertura dei negozi, non si permettano le funzioni religiose, le scuole restino chiuse, non si possa passeggiare nei boschi, ma perché viene detto poco o nulla di quanto la struttura sanitaria sia adesso adeguata ad affrontare un eventuale aumento dell’epidemia, quanto sia in grado di spegnere il fuoco che potrebbe rinascere dalle ceneri.