In questi giorni, il dibattito politico nazionale si è infiammato intorno alla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Il nostro telegenico “ammazzagoverni” pare aver trovato questo appiglio per una nuova crisi, ergendosi a paladino degli italiani e mettendo all’angolo ideologico il Movimento 5 Stelle. Per correttezza, sono andata a rileggere il “contratto di governo” che i due partiti avevano siglato a inizio legislatura ma non vi trovo traccia dell’argomento, che per anni – gli stessi anni in cui si discuteva democraticamente la proposta di riforma – è sparito dall’agenda di governo dietro ad altre priorità. Fa pensar male (Andreotti docet), che servisse un nuovo nemico con cui spaventare, confondere e sobillare gli italiani, ma speriamo di sbagliare.

In mezzo a parolone, acronimi e interpretazioni creative o maligne, ritengo vada fatta chiarezza sul MES, con informazioni semplici e di facile lettura (promesso!) ma altrettanto inattaccabili, da opporre alle chiacchiere senza senso e ai meme non ce lo dicono-style che già girano sui social.

il Premier Giuseppe Conte

In principio era il chaos, direi se avessi fatto il classico; ma ho studiato economia, quindi l’inizio di tutto parte dalla crisi finanziaria del 2010, che ha lasciato diversi Paesi europei molto vicini al default (cioè l’incapacità di pagare i propri debiti). I PIGS (acronimo suino di: Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) rischiavano di far franare le fondamenta stesse dell’Euro e si costituì – con l’approvazione del governo di Centrodestra Berlusconi IV con la Lega Nord, pace all’anima sua – il Fondo di Stabilità Finanziaria, una società privata di diritto lussemburghese con natura temporanea. Quando i mercati si rifiutarono di finanziare un certo Paese a prezzi ragionevoli e sostenibili, il Fondo intervenne con prestiti e/o acquisto di titoli di quel Paese, finanziandosi con l’emissione di proprie obbligazioni, garantite dai depositi di tutti gli Stati UE presso la Banca Centrale Europea. Durante la sua vita, il Fondo ha erogato per circa 175 miliardi di euro ai porcellini di cui sopra, con buona soddisfazione di tutti; ma non era abbastanza.

Tra i Paesi in difficoltà più interessati a rendere il fondo permanente, figura proprio l’Italia, in effetti uno dei promotori del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES o ESM) come organismo intergovernativo, con un suo trattato costitutivo e norme di ingaggio precise. Il MES ha ora un capitale proprio di 700 miliardi di euro, fornito pro quota in base al PIL dei singoli Stati (curiosità: la Germania contribuisce per il 27%, l’Italia per il 18%) e ha finora erogato aiuti per un totale di circa 110 miliardi a Cipro, Grecia e Spagna. Presenta però ancora dei limiti, in quanto posizionato accanto e non all’interno delle istituzioni europee, così da non avere ruolo e compiti esclusivi chiari. Ecco perché tutti i Paesi, ma – di nuovo – soprattutto il blocco dei “poveri” tra cui la nostra Italia, si sono attivati da anni per la sua riforma.

Dettaglio degli aiuti europei

Fin dal 2018 (governo giallo-verde) sono in corso serrate trattative tra il blocco nordeuropeo che non vuole salvare i Paesi pigri e inefficienti contro il blocco mediterraneo che vorrebbe maggior apertura e un accesso più facile e indolore. Le riforme attualmente sul tavolo sono il frutto di un compromesso tra tutti gli interessi in gioco. Sono due le novità di rilievo, citate anche da Salvini seppur in modo fuorviante:

  • il MES sarà il garante del Fondo di risoluzione per le banche in crisi, anche in un paese “sano”; questo fondo viene alimentato da tutte le banche europee in base alla dimensione e il suo scopo ultimo è di evitare che la crisi di un istituto si propaghi al sistema del Paese e infine a livello europeo. Al contrario di quanto spesso detto sui social, salvare una banca ha ripercussioni positive sui correntisti, così come l’eventuale risoluzione ordinata li protegge da speculazioni o perdite secche, ovviamente entro i limiti di legge. A differenza di quel che dice il leader della Lega, l’Italia, con le sue banche traballanti e inefficienti, ha solo da guadagnare su questo punto;
  • ancora più controversa e dibattuta è la riforma del meccanismo di salvataggio di un intero Stato, per gli effetti che può avere sui “piccoli risparmi dei cittadini italiani” (cit. con lacrimuccia), che prevede come condizione per accedere agli aiuti la ristrutturazione del debito pubblico. In sostanza, chi possiede titoli di Stato, dai comuni cittadini ai fondi istituzionali, vedrebbe ridimensionato il valore degli stessi; nella logica di mercato, un titolo contiene sempre una componente di rischio, che viene “pesata” dal maggior rendimento. Può non piacere, mi rendo conto, ma investire è sempre un atto di fiducia, a volte è malriposta e se ne pagano le conseguenze. Comunque, la prima versione “nordica” e inflessibile prevedeva la ristrutturazione automatica, mentre le pressioni dei governi meno solidi (tra cui l’Italia) hanno portato ad un passaggio intermedio: l’esame sulla sostenibilità del debito, cioè l’effettiva capacità del Paese richiedente di onorare i propri impegni alla luce di stime macroeconomiche. Alla fredda matematica di tale analisi, fatta dal MES, viene affiancata una visione più allargata e politica, con il coinvolgimento della Commissione UE, organismo sovranazionale che persegue il bene della UE tutta e cerca di fare una mediazione tra numeri e realtà.

Un ultimo appunto riguarda la patrimoniale, ovvero lo spettro agitato da Salvini parlando di MES ma che con il tema c’entra come i divertenti balletti sul suo TikTok con possibile un ruolo istituzionale. La patrimoniale è un prelievo forzoso sui conti dei cittadini, una misura estrema che uno Stato attiva in situazioni drammatiche, quando le scadenze sul debito richiedono pagamenti immediati e non ci sono risorse sufficienti dalle tasse. Si attiva quando uno Stato non riesce a reperire le risorse sul mercato; in sostanza, quando non c’è un MES a proteggerlo dalle speculazioni e dalla crisi di liquidità.

Indipendentemente dall’uso più o meno corretto che se ne voglia fare, le riforme costituiscono la semplice evoluzione naturale e logica di uno strumento nato a protezione dei più deboli, che va rinforzato e reso più autonomo. Al di là di ogni opinione politica, pensando al peggio e guardando solo al portafogli di ciascuno di noi, si tratta di decidere se è meglio che l’Italia dichiari default e tutto il suo debito (cioè tutti i nostri investimenti in titoli di Stato) diventi carta straccia, oppure rischiare di rimetterci una piccola quota di quanto investito ma continuare ad avere un Paese funzionante, un lavoro e una casa.

La quota di rimborso eventualmente perduta si chiama tecnicamente haircut, parola inglese per la spuntatina ai capelli; personalmente, credo che una frangetta più corta sia sempre meglio che restare pelati (iperbole non incidentale).