Siamo ormai arrivati alla fine di uno degli anni più nefasti della recente storia dell’umanità. A causa della pandemia da Covid-19, che ha caratterizzato gran parte del 2020, molte attività sono entrate in una sorta di “sospensione senza limiti” che verrà interrotta solo quando sarà trovata una soluzione definitiva alla pandemia. Fino ad allora anche la politica faticherà a occuparsi di altro, anche se ci sono delle non certo lodevoli eccezioni che, recentemente, hanno visto anche la nostra Verona protagonista. Ne parliamo con l’avvocato Paolo Zanotto, ex sindaco della città scaligera dal 2002 al 2007, e ultimo rappresentante non di centro-destra a sedere sullo scranno più alto di Palazzo Barbieri.

Zanotto, partiamo dalla stretta attualità e dal “caso Saviano”, a cui nei giorni scorsi il Consiglio comunale ha tolto la cittadinanza che gli era stata conferita nel 2008 e che anche lei, a suo tempo, votò. Che ne pensa?

«Purtroppo ancora una volta abbiamo perso un’occasione. La cosa grave è che la motivazione sia stata di tipo ideologico. Saviano può piacere o meno nelle modalità, ma è indubbio che si sia sempre scagliato contro la criminalità organizzata e anche contro la politica, in maniera trasversale. Pare però che a colpire negativamente i nostri rappresentanti seduti in Consiglio comunale di Verona siano state le sue idee e questo, soprattutto per una città come Verona, risulta ancora più grave. Insomma, Saviano secondo alcuni andava punito, ma non ci si rende conto che a essere punita, in questi casi, è la stessa città, che ne emerge ancora una volta in negativo. Mi ricorda un po’ il gesto che fece all’epoca Tosi, quando tolse dal suo ufficio di sindaco la foto dell’allora presidente della Repubblica Napolitano perché non gli stava simpatico, mettendo al suo posto quella di Pertini, salvo poi tornare sui suoi passi tempo dopo. Gesti infantili, che non servono a nulla se non a creare un’immagine sbagliata di Verona.»

Roberto Saviano

Anche la stampa nazionale si è occupata del caso, dipingendo in alcuni casi Verona per quello che non è. E i veronesi, giustamente, si arrabbiano…

«Verona è una città meravigliosa, fatta di tante realtà diverse e complesse. E non parlo solo del diffuso associazionismo, che viene sempre citato in questi casi, ma anche delle importanti realtà culturali, imprenditoriali e civili che ha saputo da sempre esprimere. Di certo c’è che iniziative come quella della cittadinanza di Saviano – legittime sul piano formale e normativo, ma assolutamente deleterie sul piano comunicativo – non aiutano a sdoganare quell’immagine distorta che purtroppo si è creata nel tempo, soprattutto a causa di una minoranza parecchio rumorosa. Io credo che i veronesi, che come dice Saviano sono migliori dei loro rappresentanti, rifletteranno molto bene anche su questi  ultimi episodi quando sarà il momento di votare, alla prossima occasione.»

Entriamo subito nell’argomento. Stiamo ormai scollinando nel 2021, quando partirà di fatto la lunga campagna elettorale in vista delle elezioni comunali del 2022. Il centrodestra – salvo clamorosi colpi di scena – si presenterà ancora una volta diviso, con Tosi da una parte e probabilmente il sindaco uscente Sboarina, dall’altra. Nel 2017 il centro-sinistra non ne seppe approfittare. E stavolta cosa succederà?

«Questa volta sarà importante per il resto della società civile veronese, quella che non si riconosce né nell’attuale governo cittadino né in quello che ha governato la città nel decennio precedente, presentarsi compatta all’appuntamento, senza divisioni. Altrimenti si rischia di  fare ancora una volta un buco nell’acqua. Ricordo che anche quando mi presentai io, nel 2002, il centro-sinistra si presentò al primo turno con ben sei candidati, ma erano per lo più candidature di testimonianza, che poi si compattarono al momento del ballottaggio finale. Anche allora furono decisive le divisioni interne al centro-destra, con la Sironi da una parte e Galan dall’altra. Il problema nell’ultima tornata elettorale è che ci furono candidature a sinistra che portarono via voti importanti all’allora candidata Salemi, la quale non riuscì nemmeno ad andare al ballottaggio. Bisogna far tesoro sia della mia esperienza positiva di 18 anni fa sia di quell’esperienza più recente, per  non ripetere gli stessi errori.»

Tommaso Ferrari

A questo proposito già alcuni mesi fa, ad ottobre, il movimento civico Traguardi ha lanciato un appello a tutte le forze del centrosinistra per costruire insieme una proposta condivisa, credibile. Qual è la sua valutazione?

«Secondo me è arrivato il momento di lasciar definitivamente da parte divisioni e correnti varie. Traguardi è un movimento civico serio, che sta lavorando molto bene sul territorio. Con Tommaso Ferrari in Consiglio comunale hanno capito ben presto quali sono i reali problemi della città e dove è opportuno operare. Hanno anche lavorato bene sul territorio, con una squadra giovane e dinamica. Secondo me, peraltro, Traguardi ha fatto bene a lanciare fin da ora questo appello, perché per costruire una proposta credibile, seria, occorre sedersi attorno a un tavolo e discutere e per questo occorre del tempo. Insomma, meglio non fare, come spesso è stato fatto in passato, una “corsa” all’ultimo minuto, deleteria sotto tutti i punti di vista.»

Fra l’altro da qualche tempo in città si parla anche di una possibile candidatura per il centro-sinistra di Damiano Tommasi, l’ex giocatore di Hellas, Roma e Nazionale italiana di calcio, con alle spalle l’esperienza quasi decennale da ex presidente dell’Associazione Italiana Calciatori. Secondo lei potrebbe essere il nome giusto?

«Anch’io a suo tempo non avevo avuto in precedenza esperienze politiche di rilievo il che, come nel caso di Tommasi, potrebbe essere sia un vantaggio sia uno svantaggio, a seconda dei punti di vista. Di certo Tommasi è persona intellettualmente onesta, meritevole, seria, che potrebbe in effetti convogliare le varie forze del mondo del centro-sinistra. Bisognerà però capire quali sono le sue intenzioni. Potrebbe ripercorrere quella che fu la mia avventura, sostenuto da un progetto civico e da una coalizione di centro-sinistra. Staremo a vedere»

Paolo Zanotto, quando era sindaco di Verona

Eppure il centro-sinistra veronese appare, soprattutto all’interno del principale partito, ancora una volta spaccato in varie correnti, come da tradizione.  

«Credo che la discussione sia naturale in un’area che ha fatto sempre della democrazia la sua cifra morale e politica. È ovvio, però, che devono sì esserci diversità di vedute, ci mancherebbe, ma di testimonianza e non per fare la “conta dei voti” o per interessi personali. Per tutto il resto credo che si possa e si debba trovare un’unità di intenti. Ripeto: le spaccature consegnerebbero un’altra volta la vittoria al centro-destra.» 

Di che cosa avrebbe bisogno, secondo lei, Verona in questo momento? 

«Di progettualità, partendo dall’idea di cosa vuole essere o diventare la città. La sensazione è che si viva costantemente “a brevissimo termine”, senza un’idea lungimirante che possa magari anche far prendere decisioni che appaiono impopolari, ma che nel tempo abbiano il potere trasformare in meglio Verona. Lo dobbiamo soprattutto per le nuove generazioni.»

In concreto, se avesse la possibilità, ci dia tre proposte?

«Innanzitutto occorre di capire su quali settori investire in futuro. Verona ha delle eccellenze nel mondo del turismo e dell’agroalimentare, ma ci sono anche molte altri campi, come quello delle costruzioni, della chimica o della siderurgia, che possono dire la loro. Si tratta, però, di comparti che hanno comunque bisogno di una guida o comunque di strategie condivise e di aiuto da parte delle istituzioni per svilupparsi ulteriormente. Dobbiamo però capire, ripeto, in che direzione far andare la nostra città, i cui cittadini non possono vivere soltanto di camere in affitto o di lavori da commessi di negozi in centro storico. Sarebbe un po’ riduttivo per una città della nostra importanza. In secondo luogo credo sia necessario riaprirsi all’Europa. Verona negli ultimi quindici anni si è chiusa in sé stessa, non coinvolgendo, tanto per dire, nemmeno i territori limitrofi  e che ne dipendono sia a livello logistico sia a livello culturale, come ad esempio il Trentino. Infine a proposito di cultura, penso sia necessario sbloccare certe situazioni ormai incancrenite e che non permettono di ragionare in grande. Ad esempio, penso che si debba trovare una nuova sede al Circolo Ufficiali per poter così allargare il Museo di Castelvecchio e farlo diventare davvero un polo attrattivo di ampio respiro, di livello appunto europeo.»

Uno scorcio di Castelvecchio, dove ha sede il museo civico veronese

A proposito di Castelvecchio. Il restauro di Carlo Scarpa partì nel 1956, proprio l’anno in cui suo padre Giorgio – che nei giorni scorsi avrebbe compiuto 100 anni – si insediava come sindaco della città. Suo padre diede un impulso importante a Verona: prima come sindaco, poi come presidente della Provincia e, infine, anche come Presidente dell’allora Banca Popolare di Verona…

«Si, ma erano decisamente altri tempi, in cui le varie istituzioni collaboravano in maniera fattiva fra di loro per ottenere il meglio per la città. Oggi, duole dirlo, non è più così. Faccio alcuni esempi. Sulla tranvia ricordo che durante il mio mandato la Provincia si tirò indietro perché non voleva essere coinvolta economicamente in un progetto che la riguardava solo in parte. Sarebbe stato invece importante avere un appoggio anche in quel senso. Anche per questo motivo poi si virò sul filobus che, peraltro, oggi è un progetto tristemente arenato. Su questo aspetto va sottolineato l’atteggiamento ondivago dell’attuale amministrazione, che non può che disorientare i cittadini, alle prese con cantieri abbandonati in più zone della città. Altro esempio: all’epoca di mio padre il Presidente del Consorzio Zai era lo stesso sindaco di Verona, proprio per ottimizzare quella che doveva essere una visione unica di una città, che già allora doveva e poteva espandersi in quell’area. Oggi non è più così e infatti, a mio avviso il Consorzio potrebbe e dovrebbe collaborare maggiormente con Palazzo Barbieri per lo sviluppo a sud, in un’area sicuramente interessante e di grande sviluppo. Nella quale negli ultimi anni ci siamo ritrovati soltanto nuovi supermercati e centri commerciali, esattamente nelle stesse zone dove a suo tempo io avevo proposto di realizzare il Polo Finanziario. Un progetto che avrebbe reso Verona una vera e propria roccaforte economica.»

Un progetto che, però, oggi non avrebbe avuto più senso, visto che i principali soggetti economici allora coinvolti (Unicredit, Cattolica e Banco Popolare di Verona e Novara poi confluita prima nel Banco Popolare e poi in Banco BPM) hanno nel frattempo tutti rivolto la “testa altrove”, fra Milano e Trieste.

«Anche questo è un segno dei tempi. Mio padre, come Presidente di Banca Popolare di Verona, rafforzò la principale banca della città a tal punto da renderla in grado di inglobare altre banche e ingrandirsi, diventando uno dei principali player nazionali. Con la fusione con il BPM, però, era inevitabile che il ruolo di Verona, fino a quel momento sempre primario, andasse via via scemando e infatti oggi è Milano la principale città di questa nuova realtà finanziaria. Stesso discorso si può fare con Cattolica, che è stata inglobata in Generali. Insomma, una perdita di “gioielli” che sta già avendo e avrà in futuro ricadute importanti anche sulla nostra città. In questo senso forse le istituzioni avrebbero potuto promuovere un maggiore dialogo con queste realtà. Non avrebbero di certo potuto impedire le eventuali fusioni, ci mancherebbe, ma si può ipotizzare anche che, sentendo quel legame con la città affievolirsi, abbiano col tempo inevitabilmente guardato altrove.»

In conclusione, siamo ormai agli sgoccioli di questo 2020, che finirà si spera con tutto il suo strascico di dolore. Cosa ci porteremo, come comunità, da quest’esperienza? 

«Io non credo, come ha sostenuto qualcuno, che ne usciremo migliori. Anzi. Dobbiamo però riflettere su quanto successo quest’anno e capire che, per il futuro, sarà necessario rafforzarci in molti settori, a cominciare dal sistema sanitario (locale e nazionale) per farci trovare preparati in caso di una futura nuova pandemia. Come comunità ce lo dobbiamo imporre, per non dover rivivere un domani l’incubo che stiamo vivendo oggi.»

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