Visitare i cimiteri, leggere le lapidi, osservare le foto dei defunti sono attività piene di sorprese e un modo per conoscere culture e popoli. Questo è quanto propone Giulia Depentor con il libro Immemòriam – I cimiteri e le storie che li abitano (Feltrinelli Editore – euro 20). «Nei cimiteri si possono scoprire tantissime cose delle persone vive, di chi li ha costruiti, fatti storici importanti. Si scoprono abitudini e usanze in generale di un popolo», spiega Depentor. «Ecco perché quando si va all’estero consiglio sempre di andare a visitare i cimiteri. È un modo per imparare qualcosa di un altro Paese.»

Depentor, il suo libro, «Immemòriam», è quindi una sorta di guida culturale ai camposanti per il turista che si trova nelle città italiane da lei prese in considerazione?

«Io non parlerei di turismo, ma di esplorazione. Il mio libro offre un altro punto di vista alla scoperta di una città, ma soprattutto una storia relativa a una persona che in quel cimitero è stato sepolto.»

Nel nord Europa questo tipo di «esplorazione» esiste da tanto tempo…

«In tutto il mondo i cimiteri si visitano per piacere e non solo per andare sulla tomba dei propri cari. Sicuramente il Nord Europa ha un approccio più sereno nell’esplorazione cimiteriale rispetto al nostro. Questo perché i cimiteri sono anche luoghi di frequentazione. Ci sono sempre persone che passeggiano, che fanno sport, bambini che giocano. Insomma, il cimitero fa parte della vita quotidiana delle città e non come da noi dove è visto strettamente come un luogo sacro, alla stregua di una chiesa.»

Lei racconta 29 storie. Una su tutte?

La copertina del libro di Depentor

«È difficile raccontarne una sola delle 29 storie. La mia scelta è caduta su alcune collegate a degli eventi della storia italiana molto importanti o comunque che lo sono stati anche se non sempre sono ricordati, ma vale la pena che queste storie vengano tramandate.

Nel mio libro ci sono storie di persone famose, come quelle di Dante o di Garibaldi, assieme ad altre meno conosciute. Per esempio, i pazienti del manicomio di Volterra (Pisa) sono sepolti in tombe anonime; oppure la storia di Elvira Orlandini, la ragazza che è stata vittima di femminicidio a Toiano in Toscana. È difficile quindi scegliere, perché tutte sono importanti e tutte fanno parte di un’organica trattazione dei cimiteri italiani.»

Le risulta che solo nel nostro Paese sulle tombe ci siano le foto?

«Non è vero, non siamo l’unico Paese al mondo con le foto sulle tombe, ma certamente nei nostri cimiteri ci sono su tutte le tombe. Ed è questo che lo rende diverso. Non ho una spiegazione “ufficiale” per questa cosa. Sicuramente è una usanza collegata al fatto che i nostri camposanti sono molto curati e quando si va in un cimitero dove vi sono delle tombe trasandate ci chiediamo se la famiglia non si vergogni a lasciarle in questo stato. Quindi, si mette la foto per aggiungere un ulteriore dettaglio.»

Girando per il mondo, che cimiteri ha visto che a noi potrebbero sembrare «strani»?

«Ogni paese ha una sua peculiarità. Tra quelli “strani” citerei quello delle Isole Cook nel Sud del Pacifico, che poi non è un vero e proprio cimitero. In queste isole il cimitero come lo conosciamo noi non esiste. Ci sono invece i cimiteri diffusi, nel senso che c’è l’usanza di seppellire i propri cari nei giardini delle case. Questo perché la morte fa parte della vita e di conseguenza le persone non hanno paura ad avere i morti nel proprio giardino di casa, anzi è normale per il loro prossimo passo.»

Ha esplorato anche cimiteri abbandonati su cui circolavano strane leggende. Non ha avuto paura?

«Io sono abbastanza suggestionabile quindi già nel momento in cui qualcuno mi dice che ci sono delle leggende relativamente a quel cimitero credo di vedere e di vivere quello che mi hanno raccontato. Sicuramente i cimiteri abbandonati sono più suggestivi ed evocativi. Quindi mi capita spesso di avere paura dei cimiteri e molto spesso la mia paura deriva da rumori improvvisi dati da qualche animale o dal vento, ma non è una paura del soprannaturale.»

Come è nata questa passione?

«Non è nata, è sempre stata lì. Fin da piccola visitavo i cimiteri con le mie nonne e mia mamma.  Questa abitudine non l’ho mai vissuta come una cosa strana o un luogo di cui aver paura. Inoltre, non mi è mai stato detto che nei cimiteri ci sarei dovuta andare solo per visitare le tombe dei miei cari. Questa abitudine che avevo sin da piccola, da adulta è diventata una passione per i motivi che dicevo prima.»

Giulia Depentor

Quando va in un cimitero, qual è la prima cosa che fa?

«Comincio a guardarmi un po’ attorno, e a percepirne l’atmosfera, in cerca di cose che attirano la mia attenzione. Altrimenti, semplicemente, lo esploro lasciandomi guidare dall’istinto leggendo le tombe e andando giro un po’ a caso.»

Prima di pubblicare il libro ha iniziato a parlare di visite ai cimiteri con dei podcast, tanto è vero che la chiamano l’«influencer dei cimiteri»…

«Ho iniziato con un podcast che si chiama “Camposanto” dove racconto le mie visite nei cimiteri di tutto il mondo. La dicitura “influencer dei cimiteri” credo sia nata un po’ per scherzo per opera di un giornalista. Io mi definisco una esploratrice di cimiteri. Nella mia pagina Instagram consiglio la visita di quelli che mi sono piaciuti di più e cosa vedere. Se ciò significa essere influencer, allora direi che la definizione giusta.»

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