I cambiamenti possono accumularsi lentamente, in una graduale e pacifica evoluzione, oppure esplodere come un terremoto che rovescia tutte le strutture consolidate e rivela una realtà diversa. È quel che è accaduto in Ucraina nell’inverno del 2013-2014, quando le proteste di piazza hanno spazzato via il vecchiume sovietico, mettendo in chiaro qual è l’alleanza che porta il Paese verso il futuro, e quale invece lo trascina indietro. Vedere la polizia menare gli studenti o sparare sui civili è stato il momento di presa di coscienza. Gli ucraini non ci stavano. Seguire una dittatura repressiva non era quello che volevano per i propri figli. Era ora di separarsi dal cosiddetto “fratello maggiore”.

L’Ucraina era un paese sovrano dal 1991, e ha espresso la volontà di entrare nella Comunità Europea già nel lontano 1994. Eppure, per tutti quegli anni, l’integrazione europea era percepita come una matassa di cavilli burocratici da srotolare con calma. Le proteste di Maydan hanno accelerato l’avvicinamento a questo traguardo. Quando dalle parole si è passati ai fatti, la Russia si è accorta che gli ucraini non volevano più farsi soggiogare economicamente e politicamente. Per mantenere il controllo di un Paese che consideravano una propria propaggine e bloccare qualsiasi nuova alleanza, l’hanno invaso il 20 febbraio 2014. Non è un errore di battitura: questa guerra è cominciata tanti anni fa, e continua tuttora.

Piazza Indipendenza nei giorni dell’Euromaidan, foto del 19 dicembre 2013 di Jose Luis Orihuela, Flickr CC BY 2.0

Quanto durerà e come andrà a finire?

In un mondo abituato alla rapidità e alla superficialità, spesso (non sempre, per fortuna) questa domanda in apparenza innocua cela l’irritazione di chi si è stufato presto della guerra russo-ucraina:

«Cari ucraini, perché vi ostinate a combattere? Ok, siete bravi a difendervi, ora basta però, che fra poco arriva l’estate. Preferiamo i turisti russi generosi ai profughi diseredati!»

L’attesa di una rapida sconfitta era diffusa non solo a livello delle chiacchiere da bar. Chi ha rilasciato i permessi di soggiorno ai profughi con la scadenza del 3 marzo, a prescindere dalla data di rilascio, credeva che la primavera del 2023 avrebbe decretato la fine dell’emergenza. Molti altri, in buona fede, hanno investito energie in manifestazioni, conferenze e carovane per augurare una pace da raggiungere tramite le trattative, dimentichi dei tanti vani tentativi precedenti dei vertici politici e diplomatici mondiali. Ahimè, non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire: le parole più belle sono futili se indirizzate a chi intende solo il linguaggio della distruzione e della dominazione.

La formula della pace

Eppure, la formula per arrivare alla pace è piuttosto evidente. La vittoria si avvicinerà quando l’ago della bilancia degli armamenti sarà al centro o si sposterà dalla parte dell’aggredito. Per raggiungere l’equilibrio, bisogna pareggiare i sistemi difensivi e applicare la sanzioni economiche che toglieranno l’ossigeno all’industria bellica russa. Altrimenti, l’Occidente affronterà una lunga e dolorosa agonia. Se i russi avranno il vantaggio numerico di armi e uomini, la guerra si protrarrà all’infinito, dissanguando le parti, rendendo endemica la crisi umanitaria e gettando l’ombra della depressione economica sul continente.

Finché questa battaglia non è finita, l’Ucraina resta lo scudo dell’Europa, o meglio: è una diga che protegge il vecchio continente e trattiene la melma soffocante che cerca di propagare la Russia imperialista. Abituata a mascherare la propria necessità di continua conquista con ideologie di facciata, la Russia vorrebbe avanzare, inglobando manu militari nuovi territori. Per assoggettare gli anelli deboli, dove dominano l’ignoranza e la faciloneria, usano la corruzione e la propaganda. Non serve un indovino per svelare le loro intenzioni: le annunciano con orgoglio loro stessi. Calcolano la data in cui il loro esercito arriverà a La Mancia e inneggiano alla “Grande madre Russia da Lisbona a Vladivostok.”

Ma non è una novità, si sapeva già, com’è la Russia putiniana.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy insieme alla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, Flickr, fonte EP, CC-BY-4.0: © European Union 2023.

La vera rivelazione di questi mesi è l’Ucraina

La guerra ha rovesciato i pregiudizi, svelando un paese dinamico e moderno, erede di antiche tradizioni, lanciato verso il futuro europeo. Ora tutti sanno su quale vocale va l’accento nel nome del paese, e che la capitale si chiama Kyiv, non Kiev.

Quello che per decenni, e a torto, era considerato “il paese delle badanti”, “la terra grigia di gente triste”, si rivela una fucina di talenti, capace di restare in piedi anche a contatto con l’onda d’urto di una violenza senza pari. Superando le divisioni interne, gli ucraini si sono compattati come mai prima. Per anni, i russi basavano la loro propaganda puntando il dito sulle differenze etniche, linguistiche e religiose. Gli ucraini stessi spesso e volentieri litigavano e si accanivano sulle questioni divisive. Eppure, nulla di ciò ha avuto importanza di fronte a un nemico comune. Nel 2023, gli ucraini hanno difeso, uniti, le loro libertà. Inclusa la libertà di litigare.

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