In rete appare un simpatico post che dà il buongiorno con l’immagine sottostante. È, naturalmente, non ufficiale – in questo caso probabilmente rubata da un privato o da un collega – qui usata a fini propagandistici per mostrare come le forze dell’ordine non siano solamente testosteronici poliziotti in assetto antisommossa o l’amministrativo dalle forme rilassate, o ancora il comandante irrigidito nella sua istituzionalità.

“Reparto mobile al femminile”

Il fatto è che la Celere è un corpo per lo più composto da uomini. Come gran parte dei vertici di ogni direttivo. Nelle forze dell’ordine le donne stanno numericamente diventando consistenti e cominciano, lentamente, ad entrare nelle stanze dei bottoni, come dimostra la prima donna Generale dei Carabinieri, Laura De Benedetti.

Mediaticamente – in ispecie nelle vetrine delle conferenze stampa – hanno spesso funzione decorativa, perché o compaiono poco o nulla o trovano al solito più spazio nello stereotipo novecentesco di crocerossine in divisa o nelle ricorrenze, in ispecie di genere. Arriviamo, dunque, al nodo: l’autore del post cosa intendeva dirci, visto che è un profilo affine alle forze dell’ordine? La questione sembra marginale, ma non lo è e vale per ogni post che vediamo o che noi stessi possiamo diffondere. Ci chiediamo davvero quali messaggi, oltre quelli che ci proponiamo di offrire, possono emergere da un’immagine?

Confrontiamola con questa pubblicità di Burger King. L’immagine della donna, specie a fini di promozione di un prodotto, gioca spesso sugli stereotipi di genere o sul sesso, cercando così di legare attraverso il suo corpo l’idea di piacere fisico e il piacere consumistico del possesso dell’inutile. L’icona femminile viene, dunque, piegata a bieche esigenze commerciali per accendere sensazioni inconsce perché, come i venditori ben sanno, la vendita è prima di tutto emozionale e solo successivamente travestita da esigenza razionale. Nell’immagine iniziale, per fortuna, questo aspetto greve e prostituente non c’è. Anzi.

Tuttavia, il collegamento bellezza-vendita (qui intesa come propaganda) rimane sempre sottotraccia e ci apre un ventaglio di domande. Pubblicare la foto di una bella poliziotta vuole intendere che la bellezza nella polizia conta? O che è un caso da segnalare in quanto unicum, un po’ come le tigri albine? O che essere agenti non significa rinunciare alla propria femminilità? La Questura di Alessandria, in questo senso, è meno ambigua: mette semplicemente in mostra il lato B delle colleghe. Di fatto, se facciamo una breve indagine, è difficile reperire in giro foto come queste focalizzate su agenti donna non troppo attraenti. Questa cura è per non veicolare l’idea che il modello “donna-maschiaccio” meglio si attaglia a un lavoro ancora percepito come prevalentemente maschile?

Maria Elena Boschi, PD

La bellezza, come tutti sanno, è discriminante e non è democratica. Il sole bacia i belli, si diceva. καλοκαγαθία (lett: kalocagathia) dicevano gli antichi Greci. Per le donne questo si tramuta spesso in spiacevoli sospetti della gente, in ispecie se queste assurgono a ruoli di comando (si pensi all’opinione comune sulle belle donne in politica).

Prima di concludere, un ulteriore fronte di riflessione: per una persona con un ruolo istituzionale, certa esposizione del proprio corpo in privato può o deve aver effetto sulla sfera lavorativa e pubblica? Ovvero: siamo partiti dall’idea che l’uso dell’immagine di una bella ragazza potrebbe essere considerato sfruttamento di uno stereotipo. Ma se, invece, fosse la donna stessa a farlo, allora rivendica semplicemente un suo diritto di genere e di proprietà dei diritti d’immagine? E se a pubblicare un post con una foto sessista fosse una donna, che si fa?

Adrienne Koleszàr, poliziotta tedesca, star di Instagram

Ed ecco la questione nell’immagine iniziale, a cui non si intende in alcun modo dare risposta: chi ha postato quell’immagine (e noi nel pubblicare queste foto) o chiunque di voi nel pubblicare le vostre, prima di farlo ha ragionato su tutto questo?