Nella suggestiva sede dell’Arsenale Nord Darsena Grande si è tenuta la serata conclusiva della 59esima edizione del Premio Campiello seguita in diretta da Rai5. Il premio, emanazione dell’omonima Fondazione presieduta da Enrico Carraro, può raccontarsi come una connessione di successo tra il mondo dell’impresa e quello della cultura. La designazione del vincitore o vincitrice avviene attraverso una “macchina” che prevede una prima selezione dei testi fatta dalla Giuria dei letterati, presieduta quest’anno da Walter Veltroni, e sulla cinquina finalista si esprime infine la Giuria popolare, composta da trecento tra professionisti e studenti.

Ma il clima di questo evento ha risentito della scomparsa, avvenuta il 2 settembre dopo lunga malattia, dello scrittore Daniele Del Giudice, a cui era stato assegnato il Premio Campiello alla carriera e al quale in apertura di serata è stato dedicato un sentito ricordo.

Premio alla carriera, non alla memoria

Ernesto Franco, direttore editoriale Einaudi, che ha ritirato il premio per lui, aveva già dichiarato: «Non è e non sarà un premio alla memoria, ma un riconoscimento attuale per le storie e le parole che nei suoi testi ha scelto, per la loro qualità e per le emozioni che ha offerto ai suoi lettori».

Del Giudice è stato scrittore, traduttore ed editor, con un lungo servizio presso la casa editrice Einaudi. Scoperto e apprezzato da Italo Calvino, amico di Alberto Asor Rosa, che gli attribuiva una malinconica allegria, lascia un patrimonio di testi scritti dal 1983 al 2016 di «una scrittura pungente, acuta, precisa e al tempo stesso fluida, ininterrotta, avvolgente come un esperimento di fisica atomica in atto». Le parole di Asor Rosa rendono efficacemente l’idea dell’autore che tra l’altro scrisse l’introduzione all’opera completa di Primo Levi (1997 e 2016). Un intellettuale che aveva scelto Venezia come città per vivere e scrivere, pur essendo nato e cresciuto a Roma, e si congeda con un patrimonio di testi di sorprendente attualità, tra cui Staccando l’ombra da terra (1994), che leggiamo quasi come un saluto di commiato.

Vince il romanzo sul conflitto madre-figlia

Il libro di Giulia Caminito è già stato finalista al premio Strega ed è vincitore dell’edizione 2021 del Campiello.

É la giovane Giulia Caminito di Roma, classe 1988, al suo terzo romanzo, a vincere questa edizione del premio con il romanzo L’acqua del lago non è mai dolce, edito da Bompiani, di cui abbiamo già parlato qui perché figurava nella cinquina finale del Premio Strega. La sua scrittura scabra ed evocativa ha convinto anche i lettori e le lettrici della giuria popolare con una trama che racconta le vicissitudini abitative di una famiglia indigente. Due figure di donne si contendono il ruolo di protagonista, madre e figlia, l’una incarna i doveri, l’altra i desideri, in eterno conflitto fino a una parvenza di lieto fine che libera i sentimenti più veri ma senza scadere nel melò.

Seguono gli autori Paolo Malaguti con Se l’acqua ride (Einaudi), classificato al secondo posto, Paolo Nori con Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fedor Dostoevskij (Mondadori), Carmen Pellegrino con l’interessante La felicità degli altri (la Nave di Teseo) e infine Andrea Bajani che vede confermato il quinto posto, come già allo Strega, per il suo Il libro delle case (Feltrinelli), di cui abbiamo già scritto.

Questa edizione ha designato anche Daniela Gambaro vincitrice del Premio Campiello Opera Prima per il suo romanzo Dieci storie quasi vere (Nutrimenti) e porta alla ribalta la giovane autrice Alice Scalas Bianco, con il racconto Ritratto di Parigi per la 26esima edizione del Campiello Giovani, che vede in concorso autori e autrici tra i quindici e i ventidue anni di età.

Calato il sipario sull’evento, come si suol dire, restano i libri e adesso spetta al grande pubblico l’ultima parola, e alla domanda che sempre si ripropone se i premi servano o meno alla promozione della lettura, meglio non rispondere. I pareri possono contrastare, quanto ai fatti li vedremo presto.

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