«Conte parla come un contadino del ‘300». La battuta è di un caro amico collega e risale all’estate del 2018,  agli inizi del suo mandato a Palazzo Chigi, quando dal nulla il giurista pugliese fu catapultato sulla scena dell’agone politico alla guida del governo gialloverde. E in effetti l’amico, gli succede spesso, aveva ragione; quel tono gutturale e un po’ sofferto rievocava tempi lontani.

Durò poco quell’esperienza alla scrivania di Palazzo Chigi; giusto un anno, e l’alleanza andò in frantumi demolita dall’editto del Papeete inaffiato di mojito. Sembrava fosse finita anche l’avventura dell’Avvocato del Popolo, che invece rimase in sella quando Matteo Renzi riuscì nell’impensabile, vale a dire un’abile manovra di mediazione che mise  insieme due blocchi contrapposti che sino ad allora si detestavano. Una manovra che, con il benestare del Presidente Mattarella, tirò fuori la governabilità dalle sabbie mobili in cui si era impantanata (complice una legge elettorale fatta apposta per quello scopo) scongiurando il ricorso anticipato alle urne che avrebbe di fatto consegnato il Paese alle destre sovraniste e antieuropeiste.

Fu in quel momento che Giuseppe Conte mostrò di non essere quel fantoccio di cartapesta che in tanti, diremmo troppi, avevano descritto. Giornaloni mainstream in testa. Affrontò a muso duro Salvini nell’unica sede istituzionale deputata al confronto, l’aula parlamentare. E il mite avvocato da Volturara Appula, per dirla con parole di Pierluigi Bersani, smacchiò il giaguaro. Mostrò quel giorno unghie e attribuiti che nessuno di noi gli conosceva.

Anche i più scettici, presero a prenderlo un po’ più sul serio. Non era in fondo quella macchietta da Apulian Candidate che gli avevamo un po’ tutti appiccicato frettolosamente addosso. E così dopo aver camminato in punta di piedi come Nadia Comaneci sull’asse di equilibro del governo gialloverde, cambiò pedana spostandosi sull’asse della maggioranza giallorossa. Un abile equilibrista Giuseppe Conte. Ma nella savana parlamentare, oltre ai giaguari si aggirano anche le iene. Vengono ad azzannarti al buio della notte, quando non te le aspetti. Se non fosse stato per l’arrivo della pandemia, Matteo Renzi, che nell’arte di fare e disfare non lo batte proprio nessuno, lo avrebbe già impallinato un anno fa sulla riforma della Giustizia, tema sempre scottante sul quale i governi nel nostro Paese vanno puntualmente giù come birilli al bowling (chiederci perché, sarebbe un esercizio alquanto retorico, ma ci farebbe pure un po’ bene).

E così Conte alla fine è caduto da quell’asse di equilibrio sulla quale sempre più a fatica si reggeva; ha cercato in tutti i modi di resistere, ma si è dovuto arrendere. Troppo stretta e precaria quell’asse.

Inizia ora l’era del Dragone, auspicata dai più. Sarà il tempo a giudicare. Ieri, Conte ha salutato Palazzo Chigi dove è rimasto due anni e mezzo. Se ne è andato tra gli applausi commossi di chi in quelle stanze gli è stato vicino. Segno che dal punto di vista umano, qualcosa deve aver lasciato. Tornerà a insegnare da professore ordinario di diritto privato all’università di Firenze, almeno per ora perché nel suo futuro un suo impegno politico non è affatto da escludere. Anzi.

Della sua esperienza al governo rimane l’impronta di una persona educata, un uomo con la schiena dritta, fedele e onesto servitore dello Stato che si è mosso sempre entro i confini dell’alveo istituzionale senza mai spendere una parola e una riga oltre. Un ruolo, insomma, che ha svolto con grande dignità. Addosso gli è caduto il mondo, è stato il primo in Europa a trovarsi ad affrontare il cataclisma che stiamo vivendo. Lo ha fatto con tenacia, parlando con franchezza agli italiani e appellandosi all’unità del Paese nella sua ora più buia dai tempi della seconda guerra mondiale. Non tutti lo hanno seguito.

Ha compiuto errori, alcuni pacchiani certo, ma avremmo voluto vedere i tanti detrattori di penna fine cosa avrebbero fatto al suo posto. Perché quando sono gli altri a fare, parlare è facile. Per affrontare l’emergenza sanitaria si è affidato a chi le competenze le ha, la nostra classe medica; per quella economica, lo stesso: si è ironizzato sulla disinvoltura con cui ha istituito le famigerate Task Force; viene da chiedersi cosa gli avrebbero detto se non lo avesse fatto e avesse agito di sua iniziativa.

Gli hanno affibbiato l’accusa di Vulnus della democrazia per molto meno, figuriamoci. Nella prima ondata della pandemia, il modello italiano è stato preso ad esempio; è stato pagato un prezzo altissimo per questo, ma ha arginato il disastro; nella seconda, si è deciso di puntare sui lockdown mirati, territoriali, piuttosto che chiudere ancora un volta tutto. Quando lo fece Angela Merkel in Germania, fu ricoperta di lodi; lo ha fatto lui e lo hanno dipinto come un imbelle.

Il vero nodo sta nell’azione di sostegno economico alle attività al collasso; il Governo ha stanziato tanti soldi, come mai prima in era repubblicana. Il problema è che si sono rivelati insufficienti. Altra questione è la lentezza con cui sono arrivati. Sono mali che stavano però già lì da anni e anni, mali che il Covid ha scoperchiato dal Vaso di Pandora.

Malaffare ed un’evasione fiscale pari a un Pil hanno eroso le casse, come fanno le maree con le coste; vorremmo ricordare che stiamo curando anche chi, e sono tanti, le tasse non le paga. Ed è pagando i tributi che si garantisce il sistema nazionale sanitario gratuito. Avremo tante cose che non vanno, ma in un ospedale italiano la tessera sanitaria vale vivaddio ancora di più di una carta di credito. La salute pubblica è un patrimonio da difendere a ogni costo, whatever it takes, per stare in attualità. Conte ne ha rafforzato i concetti e alzato le barriere da chi le vorrebbe sgretolare per lucrarci.

Detto ciò, il mostro burocratico non lo ha creato certo lui, semmai se lo è trovato davanti in tutta la sua macchinosa e ciclopica dimensione. Ha fatto il suo dovere e svolto il suo compito con alto senso delle istituzioni; ben venga Mario Draghi, ma se avrà i 209 miliardi del Next Generation EU, lo deve a Conte e al modo in cui si è battuto e ha saputo ricomporre e rimettere al centro il ruolo dell’Italia in seno all’Europa.

La congiura bizantina che lo ha fatto fuori non è una bella pagina da raccontare. Non la meritava. Il tempo si dice sia galantuomo (non sempre magari, ma spesso lo è): verrà allora il giorno in cui all’avvocato Giuseppe Conte da Volturara Appula sarà reso ciò che gli si deve. Un minimo di gratitudine per un uomo onesto e perbene.