E adesso? Era il 1989 e mentre l’Iran piangeva la morte dell’Ayatollah Khomeini e in Europa cadeva il Comunismo con il muro di Berlino, negli Usa faceva la sua comparsa Prince of Persia, un videogioco di cappa e spada per Apple, dal sapore esotico orientale, che avrebbe fatto molta carriera. Alla prima versione ne sono seguite molte altre, sempre mantenendo il sapore dell’avventura mediorientale, per ogni piattaforma, dal cellulare alla Playstation, dalla Nintendo alla Wii, ed evolvendosi sempre con l’evolversi della tecnologia e del gusto. Finché nel 2010 l’eroe digitale si trasformò in carne e ossa approdando sul grande schermo nel film Prince of Persia – Le sabbie del tempo.

Secondo una credenza popolare del nord dell’Iran, quando tre rane cantano, vuol dire che sta per piovere. “La pioggia quando arriva?”, chiede Nima Yooshij alla rana in una sua celebre poesia del 1952: una metafora della rivoluzione, ma anche una premonizione. Di lì a poco, infatti, l’Iran avrebbe conosciuto il golpe anti-Mossadeq, la “rivoluzione bianca” voluta dallo Scià per modernizzare il Paese, la Rivoluzione del 1979 e la nascita della Repubblica islamica. Un Novecento vivace e drammatico ha portato nel terzo millennio un Iran con un’identità forte e apparentemente immutabile. E oggi? Quali sfide e quali compromessi comporta tutto questo per la cultura e il popolo iraniano? Insomma, la pioggia quando arriva?

La Persia che oggi chiamiamo Iran è al centro di un mondo di mondi. Con colleganze e alleanze non solo in tutto il Medio Oriente o quasi. sembra non cedere il suo mistero di terra lontana e inconoscibile, terra di storia antichissima, terra di splendori e oscurità, di grandezze e crolli, di filosofia e spiritualità, di illuminazione e poesia, di racconti senza fine. Sono circa 100 milioni le persone che parlano il Farsi, cioè la lingua persiana, in Iran e in alcuni paesi limitrofi. Una lingua indoeuropea affascinante ed esotica in cui si esprime una ricca letteratura.

L’Iran è una delle più ambite mete di viaggio per chi ama la storia, l’archeologia, i paesi esotici, ma anche per chi ama conoscere società diverse e tanto altro ancora. Un vero “classico” dei viaggi, che poi trasmette al viaggiatore emozioni impossibili da cancellare. Così come il martoriato Iraq dei grandi poeti. Quanti sono i legami culturali tra cristianesimo, Persia e mondo arabo? Le più belle poesie, ad esempio, che fornirono le basi per lo sviluppo della poesia siciliana ai tempi dello Stupor mundi, Federico II di Svevia, nascono dall’osmosi con il mondo arabo. Nel suo regno, convivevano in armonia gli ebrei, i cristiani e gli arabi e oggi si dovrebbe guardare a questo grande modello. La sua tolleranza è stata il tramite del principio di laicità.

Un esempio è stato ʿIbn Hamdis (nome completo Abd a. Gabbar ibn Muhammad ibn Hamdis) fu il più grande poeta arabo di Sicilia, nato a Siracusa intorno al (1055-1056 d.C.).  Dimenticato per buona parte del XX secolo, Ibn Hamdis, autore del famosissimo “Canzoniere”, viene citato nientemeno che da Leonardo Sciascia nell’articolo del 1969 Sicilia e sicilitudine, compreso nella raccolta La corda pazza. Di Ibn Hamdis ci è pervenuto un diwan, ossia un canzoniere di componimenti poetici, composto di 360 qasāʾid (poesie), per un totale di più di 6000 versi. I temi trattati sono vari, dalla descrizione di particolari della vita di tutti i giorni, al panegirico in onore di principi alla corte dei quali era ospitato. Molte qaside sono dedicate alla Sicilia perduta della sua giovinezza. Molte sono dedicate alla bellezza femminile e al vino, in uno stile che ricorda quello del suo celebre contemporaneo persiano Omar Khayyam.

A cavallo tra VIII e IX secolo viveva presso la corte di Harun al-Rashid, Califfo abbaside, uno dei poeti più controversi della letteratura araba. Si tratta di Abu Nuwas, una sorta di D’Annunzio arabo, dedito a qualsiasi piacere terrestre. Nato da padre arabo e madre persiana forse ad Ahwàz, nell’attuale Iran, anche se alcuni studiosi indicano Bassora come sua città natale, presto si trasferisce a Baghdad, la capitale culturale dell’epoca. Ben presto acquista visibilità, tanto da diventare poeta di corte.

E la poesia soffre l’assenza di dialogo, come quella grandissima di Forugh Farrokhzad, nata nel 1935 a Tehran. Giovanissima, con una formazione di carattere artistico, inizia a comporre poesie e a sedici anni si sposa con un disegnatore e caricaturista. Pubblica la sua prima raccolta di poesie “Asir” (Prigioniera) nel 1955. Dopo una vita matrimoniale durata appena tre anni, è costretta a una difficile scelta tra la famiglia e la poesia. Farrokhzad sceglie la poesia e perde per sempre il diritto di vedere il figlio. Dopo la pubblicazione del secondo e terzo volume di poesie (Il muro, Ribellione), in seguito al suo incontro con il regista-scrittore Ebràhim Golestàn, inizia la sua attività cinematografica. Nel 1963 pubblica la sua più importante opera poetica “Un’altra nascita”. La sua è un’opera incompiuta al culmine della fecondità artistica. I suoi versi annunciano la nascita di una scrittura femminile spregiudicata, che racconta le esperienze intime di una giovane donna tesa ad affrontare i severi e spietati giudizi morali e religiosi della società in cui vive.

Una società che, dietro l’apparente e forzata occidentalizzazione, è profondamente legata ai dettami religiosi e morali di una cultura rigidamente patriarcale. Gli intellettuali del suo paese, e soprattutto i giovani, in occasione dell’anniversario della morte della poetessa, ogni anno si riuniscono insieme, accanto al suo sepolcro, accendendo candele e leggendo le sue poesie, di fronte ai versi dell’epigrafe che recitano: «Io parlo dall’estremità della notte / Dall’estremità della tenebra / dall’estremità della notte / io parlo / Se verrai a casa mia, oh mio caro / portami una luce / e una piccola finestra / per guardare la stradina affollata e felice.»

E adesso? Scenderà la notte vagheggiata dalla poetessa? L’ombra dei falchi s’alza in tutto il Medio Oriente. Un buio profondo che sta per fare il proprio cupo ingresso grazie a Donald Trump in tutto il Medio Oriente. E, forse, non solo.