È ovvio che vedere salire al Colle Mario Draghi implica oggi suggestioni che fino all’altro ieri non osavamo nemmeno ipotizzare. Draghi è per molti aspetti il “non plus ultra” che l’Italia può mettere sul piatto per ottenere quella indispensabile fiducia di mercati e Unione Europea che, negli ultimi tempi – e nonostante l’ottimo lavoro di Conte nel corso della scorsa estate – stava cominciando a scemare. Era evidentemente arrivato il momento di passare la mano e non è assolutamente escluso lo “zampino” in tutto questo delle varie Von der Leyen e Merkel, interessate ora più che mai a tenersi stretta l’Italia e a non vederla crollare.

Al di là delle possibili (e per certi aspetti anche auspicabili) “influenze” europee sulla politica italiana, alla fine il capolavoro dell’ariete Renzi (perché di capolavoro politico, volenti o nolenti, si tratta, anche se può non piacere) ha condotto alla fine dell’era Conte e all’inizio di una nuova fase, che tutti sperano sia più concreta per l’Italia. Conte nel suo piccolo, pur fra mille difficoltà e con la capacità camaleontica di governare prima con la Lega e poi con il PD, aveva fatto il suo dovere, ottenendo dalla UE la cifra monstre del Recovery Funds. Un risultato storico e gli va riconosciuto il merito. Quei 209 miliardi, però, vanno gestiti e vanno gestiti bene, oculatamente, senza sbagliare alcunché. E forse in questo Mario Draghi – con la sua lunga esperienza da Governatore della Banca d’Italia, prima, e da Presidente della Banca Centrale Europea, poi – non ha davvero nulla da imparare, anche se ricordiamoci che non è un “politico” vero e proprio e che di qualche supporto in questo senso avrà pur bisogno. Dare continuità nel suo nascente Governo, ad esempio, al lavoro di alcuni ministri che hanno ben operato in questo difficile ultimo anno e mezzo (pensiamo ai vari Lamorgese e Gualtieri) potrebbe rappresentare da parte sua una mossa intelligente, anche se è altrettanto ovvio che il Governo avrà presupposti tecnici che probabilmente orienteranno il neopremier verso altre scelte. Nomi illustri, credibili, che sappiano raggiungere in due anni (il tempo che ci separa dalla scadenza del mandato parlamentare e dalle prossime elezioni) i principali obiettivi che la delicata situazione economica e sociale necessita raggiungere.

Di certo, guardando oltre, la crisi rappresenta per molti aspetti un’occasione più unica che rara per lo stesso Renzi, in primis, ma anche paradossalmente per il PD. Se Draghi farà bene, in fondo, oltre agli italiani in generale saranno soprattutto loro a beneficiarne, visto che il Governo Conte veniva percepito soprattutto come un’emanazione del Movimento Cinque Stelle. Zingaretti, che non ama apparire ma è a modo suo uno “stratega” coi fiocchi, stavolta ne esce un po’ a pezzi. Nonostante le dichiarazioni di facciata che addossano tutte le colpe di questa crisi su Renzi, può uscirne meno bene di altre volte, quando se l’era sempre cavata. Il Presidente Mattarella alla fine delle varie consultazioni (durante le quali, oltre a quello di Fico, si sono fatti anche i nomi di Arcuri, Di Maio e Franceschini, fra gli altri) ha virato con decisione verso la soluzione tecnica. Per il PD non è il risultato massimo – in fondo erano comunque al Governo – ma di certo il partito sopravviverà a quest’ennesimo scossone, mentre Zingaretti pur essendo un bravissimo stratega stavolta è inciampato in una “grana” che potrebbe costargli il ruolo di segretario. Berlusconi, dal canto suo, da vecchio volpone qual è e con il desiderio nemmeno troppo celato di ricostruirsi una credibilità politica al fine di tentare la scalata al Colle alle prossime elezioni presidenziali, ha capito il momento e assicurato il suo appoggio e non è nemmeno escluso che anche una parte della Lega lo possa seguire, in un tentativo estremo del Carroccio di salire sul… carro dei vincitori.

Vedremo. Alla fine se Draghi farà bene saranno in molti a vincere e pochi a perdere. A cominciare da Di Maio e il movimento che guida, alle prese peraltro con le prime “scissioni” della sua storia (si legga alla voce Di Battista) e con una sopravvivenza politica che – ora come ora – è tutta da verificare.