Ci risiamo: Verona partecipa a un bando nazionale ma va a sbattere. Ci risiamo: le opposizioni attaccano gridando alla “brutta figura” (argomento molto italiano, direbbe qualcuno), la maggioranza si difende con l’ennesima rimodulazione del suo “almeno ci abbiamo provato”, vero e proprio mantra di questa amministrazione.

Era accaduto qualche settimana fa con la Capitale della Cultura, per la quale Il progetto veronese non era nemmeno riuscito ad entrare fra i primi dieci. È risuccesso ieri, con il piazzamento – in effetti imbarazzante – all’ultimo posto nella graduatoria per il bando sperimentale “Italia City Branding 2020” (qui il documento con tutte le città partecipanti, ndr), lanciato a inizio novembre da Palazzo Chigi per selezionare, e premiare con il finanziamento, progetti infrastrutturali cantierabili velocemente e in grado di rendere la città più attrattiva a livello nazionale e internazionale, contribuendo alla costruzione di un brand cittadino con un impatto positivo su economia e società. 

Una sfida ambiziosa, ma nemmeno troppo, specie per una città come la nostra che da anni investe poco o nulla sui caratteri di maggior forza della sua identità, si tratti dell’anima turistica, della vocazione logistica o della tradizione produttiva e commerciale. Un bando ad ampio spettro, aperto a una ricca varietà di proposte, che vanno dal recupero di aree industriali alla creazione di infrastrutture per il trasporto sostenibile, dalla messa in sicurezza del territorio contro i rischi connessi al cambiamento climatico fino allo sviluppo di nuovi poli turistici. 

Un quadro di fronte al quale non occorre volersi improvvisare esperti progettisti o urbanisti da “università della strada” per capire che Verona avrebbe potuto muoversi in cento direzioni diverse, tante sono le sue necessità impellenti cui il bando avrebbe potuto rispondere, si pensi solo – a titolo puramente esemplificativo – al collegamento veloce con l’aeroporto che la città attende da decenni, o all’urgenza di interventi per mitigare il rischio idrogeologico.

Eppure, ancora una volta, abbiamo perso il treno dei finanziamenti, preziosi in generale per Comuni perennemente in bolletta, vitali in un momento storico come questo. Solo colpa della proposta avanzata dall’amministrazione – un collegamento ciclabile fra Stazione e Fiera di cui il consigliere Bertucco, peraltro, rivendica la paternità – o c’è qualcosa di più, che va al di là della contingente inettitudine amministrativa di chi governa la città?

Probabilmente sì. Verona, infatti, non è nuova a scivoloni di questo tipo, e se gli ultimi due, in ordine di tempo, portano la firma della giunta Sboarina, non si può dimenticare che la nostra incapacità di intercettare finanziamenti nazionali o europei ha una storia ben più antica. E anche quando è accaduto che i soldi siano arrivati, come nel caso del Bando Periferie 2016 che finanzierà il recupero di Palazzo Bocca Trezza in via XX Settembre, a ben vedere la performance del nostro progetto non è stata delle migliori (90esimi su 120 comuni partecipanti). E solo la fortuna di partecipare a un concorso in cui, alla fine, vincevano tutti (un po’ come in certe gare sportive per bambini) ha garantito a Verona di intercettare quelle risorse, che avrebbero potuto essere molte di più se il progetto fosse stato migliore. Del resto, già aver considerato Veronetta come una periferia da risanare dice molto sull’approccio adottato nel partecipare.

Il problema, e il caso di “Italy city branding” non fa eccezione, è l’atavica carenza di progettazione che attanaglia la nostra città, capace di trascorrere decenni a discutere su progetti che, nei cassetti di Palazzo Barbieri, non sono nulla più di vaghi appunti su un foglio. Una patologia frutto dell’azione combinata di maggioranze incerte e litigiose, troppo appese all’umore momentaneo dell’elettorato per azzardarsi a programmare sul medio periodo, e di opposizioni tradizionalmente più inclini a dire “no” a busta chiusa piuttosto che a entrare nel merito dei progetti.

Con il risultato – preoccupante – che la città può trascorrere anni interi a scannarsi a mezzo stampa su un possibile intervento senza che esso si trasformi mai in progetto esecutivo, pronto da essere presentato alla prima occasione utile. 

Ilaria Segala, assessora all’urbanistica

Che i bandi funzionino così, a livello italiano quanto europeo, è ormai cosa nota, e che l’improvvisazione non premi non è certo una novità. Per questo le giustificazioni dell’assessora Ilaria Segala sulla necessità di presentare un progetto in fretta e furia sono irricevibili, perché una città delle dimensioni e dell’importanza di Verona non può arrivare sistematicamente impreparata alla candidatura in ragione della sua incapacità di elaborare progetti di visione.

Né può valere l’altra giustificazione buona per tutte le stagioni, abusata anche nel caso della Capitale della Cultura: “potevamo non partecipare” e nessuno se ne sarebbe accorto o adombrato. Se uno studente bocciato all’esame perché è arrivato impreparato ci rispondesse che, in fondo, dobbiamo essere già contenti che si sia presentato, come ci facesse un favore, come reagiremmo?

Ma, come detto, anche le reazioni non sono da meno, perché una classe politica seria si dovrebbe preoccupare dell’assenza totale di progettualità, non dell’orgoglio di campanile per il quale Verona “non può arrivare ultima” in una classifica. Del resto, se dall’altra parte della barricata, storicamente, si sono solo prodotte proposte-proteste minime sui buchi nel tal marciapiede, o una sequela infinita di veti a qualsivoglia iniziativa, non si può pretendere molto di più. Non si vive di sola pars destruens, potremmo dire.

Andando oltre queste misere bagatelle politiche, il nodo della questione resta sempre lo stesso: la progettualità, che Verona non ha e che deve ritrovare. Non tanto – o  non solo – per i bandi a venire, ma perché i progetti nel cassetto di una città sono lo specchio più diretto dell’idea che essa ha di sé, del proprio destino, della direzione che vuole intraprendere. E non si tratta soltanto di produrre in scala industriale masterplan faraonici per imprese che non vedranno mai la luce, ma di individuare alcune idee forti – anche poche – davvero strategiche sulle quali scommettere lo sviluppo della città, gli assi nella manica da giocare per trasformare Verona. 

Viceversa, l’assenza di progetti porta con sé una pari assenza di visione, di una rotta da intraprendere per il futuro: è incapacità di scegliere, di decidere, per non scontentare nessuno, come se la forza di indicare la via non portasse un beneficio complessivo alla città ma costituisse un favore a qualcuno. Se ci si limita a seguire il vento, però, o peggio a volerli seguire tutti, da qualsiasi parte spirino, si resta in balia delle correnti e non ci si muove.

Metafore nautiche a parte, è chiaro che anche questa volta siamo arrivati impreparati perché la città non è stata in grado di elaborare per tempo idee all’altezza delle richieste, giustamente ambiziose, del concorso. Un esito non dissimile da quello di Capitale della Cultura, non tanto per i tempi di preparazione, quanto perché in quel caso si è deciso di aspettare l’uscita del bando per iniziare a muoversi, mentre una vittoria – o almeno un buon piazzamento – non può che derivare da idee lungamente elaborate, condivise, con un solido retroterra ideale alle spalle.

Un esempio recente e positivo, in questo senso, è costituito dal progetto «Bellezza@ -Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati», che dietro al nome graficamente osceno (figlio del governo Renzi) cela invece un programma coraggioso e intelligente, elaborato dal medesimo governo per la valorizzazione di piccoli siti culturali. Grazie a questo bando, Verona ha potuto vincere un milione e quattrocentomila euro da destinare ai lavori della Torre del Mastio, unica delle torri di Castelvecchio ancora bisognosa di restauro, il cui recupero permetterà al principale museo cittadino di ampliare i suoi spazi espositivi e, tra le altre cose, di dotarsi finalmente di un ascensore decoroso aumentando la propria accessibilità.

Uno scorcio di Castelvecchio e la Torre del Mastio

Ebbene, quel progetto è frutto di una generosa donazione degli Amici dei Musei Civici di Verona, da ormai trent’anni impegnati nella tutela e nel sostegno alla rete dei musei cittadini, in primis Castelvecchio, che nel corso degli anni sono riusciti a mettere in piedi una virtuosa – e altrettanto generosa – rete di professionisti guidati dall’inesauribile energia dell’ingegner Maurizio Cossato.

Ingegneri, architetti, geologi, tecnici vari tutti disposti a lavorare gratuitamente per il nobile fine di donare alla città un progetto pronto e confezionato, perfetto per essere presentato per richiedere finanziamenti. E che ha consentito al Comune, non appena il bando è stato pubblicato, di partecipare e vincere. Una storia da tenere a mente non solo come favoletta edificante, ma come vademecum per il futuro. Se Verona fa rete, se elabora una visione comune del proprio futuro, se le istituzioni iniziano a dialogare davvero con le associazioni – invece di usarle soltanto come strumenti para-politici – la città può finalmente tornare a crescere e a sognare in grande. Altrimenti, continueremo a sederci sempre nelle ultime file delle classifiche. Mettiamoci comodi.