Ritorno sulla terra. Udite! Udite! Matteo Salvini ha perso. Non bastano madonne e rosari da sgranare, ha perso. Succede anche ai superuomini o presunti tali. Ingolosito in spiaggia dal vento in poppa dei sondaggi, dai bicchierozzi di mojito e dalle forme sinuose e abbondanti di avvenenti cubiste a ritmo di techno (sì, la politica italiana oggi è per taluni capipopolo diventata questo) in tracimante delirio di autostima ha aperto una crisi scellerata; quando il saggio Giancarlo Giorgetti da Cazzago Brabbia gli ha fatto notare di essersi spinto troppo in là e aver fatto il classico passo più lungo della gamba, era troppo tardi. Il Matteo è persino arrivato a ritirare la mozione di sfiducia al presidente del consiglio da lui stesso presentata: troppo tardi. Ha quindi aperto uno penoso spiraglio per trovare un rammendo e ricucire lo strappo: troppo tardi.

Ma al peggio non c’è fine, e così mentre il dibattito parlamentare faceva il suo corso nell’aula del Senato, il ministro onnivoro si è recato di fretta al Viminale (bene che ogni tanto ci vada, visto che quello sarebbe il suo lavoro pagato da noi contribuenti. Non versiamo certo oboli per sorbirci la quotidiana litania di stucchevoli twitterie) per ribadire il pugno deciso nei confronti dai pirati della Open Arms; ebbene, la Procura di Agrigento ha sconfessato il Ministro dell’Interno facendo sbarcare i migranti. E così han vinto i pirati. Giornataccia su ogni fronte per l’uomo forte osannato dal popolo italiano, l’uomo della provvidenza, il salvatore della povera patria, chiamatelo come volete. Altra botta, stavolta dura da assorbire.

Matteo Salvini bacia il rosario durante il lungo discorso di Conte

Nell’emiciclo di Palazzo Madama Giuseppe Conte non gli ha risparmiato nulla, lo ha preso a ceffoni verbali, rifilandogliene uno dopo l’altro. Lui, seduto al suo fianco, ha giocato alle faccette, la più classica delle manifestazioni di palese imbarazzo. Con chirurgica precisione, Conte il giaguaro lo ha smacchiato, come non era riuscito a Pierluigi Bersani con Silvio Berlusconi: il Presidente del Consiglio, che non dimentichiamo è un fine giurista, ha messo a nudo tutta l’ignoranza di Salvini in materia istituzionale (peccato faccia il ministro), nel senso di come il leader della Lega ignori le basilari regole del diritto pubblico. L’Italia, sebbene non piaccia a chi dalle spiagge italiane (Salvini ha in agenda un tour più fitto di Jovanotti) invoca pieni poteri e urla di piazza, è una Repubblica Parlamentare ed è quindi alla sovranità del Parlamento che spetta dibattere e decidere le sorti del paese, non agli editti del Papeete Beach.

 Si è aperta l’ennesima crisi di un sistema politico in pieno corto circuito: una nave le cui falle da tempo imbarcano acqua da tutte le parti. Che il governo gialloverde fosse un matrimonio di convenienza con scarsissime possibilità di sopravvivenza era arcinoto. Il breakdown era solo questione di tempo, e quel tempo è arrivato. Meglio sarebbe stato prima, all’indomani delle elezioni europee che avevano rovesciato gli equilibri in casa del governo.  Avremmo già votato il prossimo. Tant’è. Ora la palla, o meglio la patata bollente, passa tra le mani del Presidente della Repubblica Mattarella che prima di sciogliere le camere e indire nuove elezioni, ha il gravoso compito di vedere se in parlamento esiste una maggioranza alternativa.

All’orizzonte si prospetta un nuovo matrimonio di improbabile convenienza tra Pd e Cinque Stelle, come se quanto accaduto in queste ore non avesse insegnato nulla. Un abbraccio mortale per entrambi. Al di là degli aspetti cromatici, un ipotetico Governo giallorosso non avrebbe infatti vita più lunga di un gialloverde. Un voto sulla Tav, e tutti a casa, giusto per essere chiari. I casi allora sono due: il voto subito, e uno spread che balla in allegria la mazurka, o un Governo istituzionale (con a guida un alto profilo come ad esempio Mario Draghi) che goda di larga maggioranza in parlamento al fine di mantenere i conti in sicurezza nella manovra di fine anno, scongiurare lo sciagurato aumento dell’Iva, e traghettare il paese a nuove elezioni in primavera. La parola al Parlamento, sempre e comunque sovrano. Così sta scritto sui manuali di Diritto Costituzionale, che invitiamo Salvini a ripassare. E poi caro Matteo, il Papeete in autunno chiude.