È del 5 agosto un comunicato stampa di CGIL e FLAI (Federazione Lavoratori Agro Industria) del Veneto proprio sul tema del caporalato. Nel comunicato si afferma che in Veneto “il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento lavorativo in agricoltura nella nostra Regione non è, né marginale né isolato, come si vuol far credere.” Tuttavia questo fenomeno non ha “connotati evidenti come osservato nelle campagne del sud Italia, dove sono presenti grandi agglomerati informali, e punti di raccolta dove vengono reclutate le braccia da sfruttare. Nei nostri territori il caporalato è rappresentato in gran parte dalle cooperative spurie senza terra.” Il che significa che è molto più ambiguo e difficile da intercettare. Il dato degli occupati non regolari, stimato nel 2016 da Veneto Lavoro ammonta al 16% del totale degli occupati (fonte: Relazione sull’Economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, osservatorio Placido Rizzotto). Ne parliamo con Stefano Facci, Segretario generale della CGIL Verona.

Stefano Facci, segretario generale GGIL Verona

Segretario Facci, ci descrive com’è la situazione a Verona, in merito allo sfruttamento lavorativo? È una problematica conosciuta?

«L’irregolarità in ambito lavorativo è purtroppo molto presente nel territorio di Verona, come in tutto il Veneto. Secondo la mia esperienza si concentra maggiormente in quei comparti dell’industria meno strutturata. Ne sono toccati maggiormente i settori caratterizzati da una forte frammentazione della distribuzione, e quindi agricoltura ed edilizia, o quei settori in grande trasformazione come i trasporti e la logistica. Per otto anni mi sono occupato del settore edilizia e altri quattro di quello dell’agroindustria. La problematica dell’irregolarità in ambito lavorativo la stiamo affrontando, come sindacato, in modo articolato da circa una decina d’anni. Per esempio, abbiamo partecipato all’accesa discussione sul DURC, il Documento Unico di Regolarità Contributiva, per renderlo un documento obbligatorio per le aziende che partecipano ai cantieri edilizi. Questo strumento è stato inizialmente osteggiato dagli imprenditori, ma noi abbiamo insistito perché diventasse indispensabile. Nella lotta contro il lavoro irregolare infatti, il DURC diventa la prima ed immediata attestazione che un’impresa è sana, regolare e adatta a lavorare in un cantiere. A mio avviso, dopo anni dalla sua introduzione, è uno strumento che ha innalzato la cultura della legalità nel campo dell’edilizia. In Veneto si calcola che l’11% del PIL proviene dal lavoro irregolare. Tradotto sono 17 miliardi di euro. Se poi ci aggiungiamo l’evasione fiscale, ci si rende immediatamente conto del danno economico che porta l’illegalità. Non solo. Molto spesso l’irregolarità dell’azienda si traduce in mancanza di sicurezza per i lavoratori e incidenti sul lavoro. Quindi i danni non sono solo economici ma toccano la salute dei lavoratori.

È urgente quindi affrontare la problematica, promuovendo azioni bilaterali. Tanto più sono condivise le azioni che si promuovono, tanto più efficaci esse saranno, e realmente applicate.»

Mi può fare un esempio?

Foto di Benjamin Trosch, da unsplach.com

«La legge del 2016 contro il caporalato, istituiva la Rete del lavoro agricolo di qualità. Ebbene, in Veneto esistono 10 mila aziende agricole, ma solo 242 hanno aderito all’iniziativa. Significa che anche se l’idea era buona, non era stata condivisa con tutti gli attori del settore. Ed infatti gli imprenditori faticano ad accettare queste nuove certificazioni: in primo luogo perché non ne colgono il vantaggio, secondo perché sono talmente impegnati a lottare contro il continuo ribasso dei costi, le doppie aste, la mancanza cronica di manodopera, da non riuscire ad affrontare nuovi percorsi. È di questi giorni la discussione sull’introduzione dell’indicatore di congruità per le aziende che partecipano ad appalti pubblici. Questo indicatore mette insieme la capacità operativa di un’azienda, con la sua sia capacità finanziaria e la mole di lavoro che vuole affrontare partecipando al concorso. Diventerebbe un indicatore molto importante perché per esempio se un’azienda con pochi operai dichiarati, si propone per svolgere una grande mole di lavoro, viene subito il dubbio che si appoggi ad organizzazioni che offrono manodopera a bassissimo costo. Come per il DURC, questo strumento aiuterebbe ad abbattere la logica del maggior ribasso e a far entrare altri parametri di valutazione nella scelta dell’azienda esecutrice. Ci vorrebbe una riflessione di questo tipo anche per il settore agricolo. Introdurre un indicatore di congruità lavorativa che ci dia un’idea immediata su come lavora quell’azienda agricola. Certo rimane la grossa questione della pressione economica, e qui torniamo al perché gli imprenditori fatichino ad usare queste certificazioni, o addirittura le temano. Perché è inutile che facciamo tanti discorsi sulla qualità del lavoro se poi ci si trova nella condizione di dover vendere i prodotti agricoli a prezzi ridicoli. È inutile se poi la filiera distributiva per prima, non rispetta lo sforzo di lavorare con qualità stringendo il produttore nella morsa del ribasso di prezzo.

Con questa logica l’imprenditore si trova schiacciato dalla concorrenza e a farne le spese saranno sempre coloro che si trovano alla fine della catena: i lavoratori più vulnerabili.

Non è un caso che coloro che finiscono nelle maglie della criminalità e dello sfruttamento lavorativo, siano lavoratori stranieri, che non padroneggiano la lingua italiana, magari senza i documenti in regola. Persone in situazioni precarie che poi diventano dipendenti da organizzazioni di connazionali che si propongono come intermediarie, ma finiscono per diventare associazioni di sfruttamento. Sono problematiche ampie, che vanno affrontate da tutti gli attori e sotto molti punti di vista. Però è urgente affrontarle, perché dove non interviene la legge, subentra l’illegalità se non la vera criminalità.»

Secondo lei c’è questa volontà in Veneto? A livello politico, c’è una vera intenzione di affrontare questi temi?

Braccianti in agricoltura

«Come le dicevo sono temi complessi che toccano tanti aspetti insieme: qualità del lavoro, sicurezza, regolarità contributiva, pressione economica, legalità, norme contrattuali. Non da ultimo c’è l’aspetto della manodopera. In agricoltura il problema è drammatico: mancano operai per la raccolta imminente di settembre, per esempio.

Quando non c’è manodopera autoctona, va da sé che serve manodopera stagionale straniera. E qui la discussione politica assume caratteristiche pirotecniche. C’è assoluta necessità di lavoratori stranieri, ma i flussi immigratori sono bloccati. C’è necessità di far venire operai da altri paesi ma le leggi attuali la rendono una via impraticabile. Tanto più che con la pandemia e le norme anti covid, anche gli ingressi da paesi vicini come quelli dell’Est Europa sono diventati impossibili. Ci rendiamo conto tutti che questo è un paradosso.

I nostri politici non possono esimersi dal rivedere le norme sui flussi migratori, perché fa parte del problema. E ribadisco, dove non arriva lo Stato, arriva la criminalità.»

Quindi la CGIL non ha paura di dire che in Veneto esiste la mafia, che invece sembra essere un altro tema tabù del nostro territorio…

«Assolutamente no. Lo diciamo eccome. Anzi. Cgil Veneto e Cgil Verona hanno assunto un preciso impegno politico contro la presenza mafiosa nella nostra Regione. Infatti, abbiamo deciso di costituirci parte civile in quei processi in cui ci siano episodi di illegalità economica e violenza criminale nei luoghi di lavoro, che calpestano diritti e libertà fondamentali delle persone, compresa quella di organizzarsi sindacalmente e di lottare per la propria emancipazione. Lo abbiamo già fatto in passato e continueremo a farlo. Perché la criminalità e l’illegalità sono un danno collettivo. Un danno per la comunità tutta, a prescindere dalla classe di appartenenza.»

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