Scade domani l’opportunità di inviare le domande di partecipazione al Premio Natale Ucsi – Unione cattolica stampa italiana (qui le informazioni per aderire), giunto quest’anno alla ventiseiesima edizione. Un riconoscimento longevo al giornalismo che valorizza “la dignità della persona e l’operosità collettiva a favore del bene“, come descritto nel comunicato stampa, e che quest’anno ha come particolare accento l’impatto del Covid-19 nella vita delle persone.

In un mondo informativo che si è tarato sull’alta tensione, valorizzare le cosiddette “buone notizie” sembra un’opzione coraggiosa. In questi cinque lustri e poco più dalla nascita del premio – voluto da alcuni protagonisti del giornalismo veronese, quali Giuseppe Brugnoli, Giuseppe Faccincani, Gianfranco Tommasi – il mondo dell’informazione è radicalmente cambiato e la sua trasformazione non ha ancora preso una strada chiara. La prossima assegnazione del premio, prevista sabato 19 dicembre, è stata occasione per approfondire con il presidente di Ucsi Verona, Stefano Filippi, firma storica de L’Arena, Il Giornale e oggi de La Verità, per cercare di capire di quale giornalismo ci sia bisogno.

Il giornalismo italiano sembra oggi arrancare davanti alla cronaca e molta parte dell’opinione pubblica si lamenta della pressione percepita dai media, specie sulla questione Covid-19. A cosa serve un premio come questo in uno scenario in cui la stampa è accusata di fare terrorismo mediatico?

«Questo premio nasce per dare un contributo di realismo, ci aiuta a guardare le cose in un modo diverso. In piena pandemia abbiamo scoperto storie di medici che lavoravano oltre gli orari normali, infermieri che dormivano in ospedale, il volontariato che portava aiuti a famiglie improvvisamente senza reddito. Persino in luoghi di solito teatro di conflittualità come i condomìni sono emerse storie di chi faceva la spesa per il vicino malato. Tutte vicende meno evidenti rispetto ai bollettini medici e alle parole dei virologi, però aiutano realmente nella vita normale e senza di esse la gente fatica ad andare avanti. Anche fatti di solito considerati minori hanno valore di notizia, sebbene oggi, in queste settimane, si faccia una fatica maggiore. Credevamo che tutto sarebbe rapidamente tornato come prima, invece abbiamo davanti uno scenario ancora più incerto.»

E raccontare dei sanitari come angeli non ha più presa. Adesso sono pure destinatari di espressioni di odio…

«I giornali vanno sulla notizia e la realtà di oggi è molto lacerata. Raccontare il bene poi non è semplice. Capisco anche che sotto queste manifestazioni di avversione ci possa essere anche per qualcuno del dolore. Se perdi un caro che non puoi assistere montano risentimenti che non tutti sanno gestire e si può perdere la stima verso i medici. È anche vero che talvolta le buone notizie sono difficili da raccontare, vengono edulcorate, ridotte a buoni sentimenti. E non è sempre scontato riuscire a pubblicarle. In Italia il mondo dell’informazione è molto orientato su notizie scandalistiche, più che raccontare la realtà a tutto tondo. Eppure l’inserto del Corriere della Sera, “Buone notizie”, non ha problemi a riempire le sue pagine ogni settimana, perché c’è tutta una realtà, niente affatto di serie B, che agisce ogni giorno, tra mondo profit e non profit.»

I premiati all’edizione 2019

Quest’anno l’Online Journalism Award, che da venti anni è un po’ l’Oscar del giornalismo digitale, è stato vinto da un progetto realizzato da un giornale canadese con quasi due secoli di storia, The Globe and Mail. Il sito internet da qualche tempo è diretto da una intelligenza artificiale, impostata dal lavoro dei giornalisti per gestire e selezionare i contenuti, in modo da capire quali argomenti siano rilevanti per i lettori. Lo scopo resta sempre quello di inseguire il lettore: ma non si dovrebbe portarlo ad aprire la mente e formarsi un’opinione articolata? Non è che così ci si fa condizionare da cosa il pubblico vuole leggere?

«È una cosa complessa: assistiamo al conformismo delle notizie ma anche alla corsa a delegittimare chi se ne tiene distante. Siamo in un clima molto conflittuale anche nel giornalismo, chi esce dal mainstream è subito bollato. C’è un’eccessiva preoccupazione del politicamente corretto: chi ha le redini del pensiero delegittima gli altri, toglie quasi il diritto di parola. Temo che l’intelligenza artificiale contribuisca a consolidare questo processo e a selezionare le notizie, scartando tutto il resto. Però a me non è mai capitato di scrivere un pezzo di cronaca uguale a quello di altri colleghi:

la notizia non è solo il rispetto delle 5 W, ma anche la personalità del giornalista, con la sua capacità di cogliere sfumature. Tante volte non cerchiamo solo le informazioni, la fredda cronaca, ma anche la penna. Consegnare tutto a un algoritmo non solo è la morte di questo mestiere ma anche del lettore.»

La crisi economica influenza il giornalismo di qualità, che ha dei costi. Siamo immersi in flussi di fake news, che indirizzano il “rumore” delle notizie e possono condizionare l’opinione pubblica. Mentre anni fa ci si fidava dei media, oggi i giornalisti sono percepiti al soldo di qualcuno. Ma se si perde la fiducia del lettore, come si fa a informare?

«La perdita di fiducia non è del tutto ingiustificata: ogni giornalista vive in qualche modo della pubblicità, degli sponsor, dell’editore. Non esiste chi lavora in modo totalmente dedito alla missione dell’informare. Se c’è però un compito fondamentale che distingue chi il giornalista da chi scrive sui social o in un blog è il dovere primario di verificare la notizia. Se lo si fa questo mestiere ha ancora un futuro: se si cala l’asticella allora crolla anche la fiducia. C’è sicuramente una campagna di delegittimazione a danno del giornalismo, però oggi se si dice che si tratta di una casta i giovani stessi lo smentiscono. Ne conosco molti che fanno questo lavoro con competenza, una capacità di lettura nuova, oltre che a saper essere multimediali. Eppure lo fanno senza avere garanzie. Con la scrematura che c’è stata, il calo delle copie vendute, il moltiplicarsi fonti di informazione, siamo di fronte a un mondo in trasformazione, di cui non capiamo il futuro per la professione.»

Sembriamo vivere in una società tutta interconnessa, invece le periferie dell’informazione ci sono. Mondi di cui non si tiene conto eppure sono così vicini. Quali notizie dovrebbero comparire più spesso e animare il confronto civile?

«Ci sono testate che seguono alcuni ambiti sociali, come ad esempio il carcere. Servirebbe far conoscere di più queste realtà. Però anche il Terzo settore, il volontariato, l’impresa sociale hanno bisogno di valorizzare meglio la propria identità. Capire meglio il valore delle loro azioni in chiave di notizia. E soprattutto far conoscere da vicino ai giornalisti come lavorano, aprirsi all’informazione e favorire l’incontro. Personalmente ho conosciuto alcune realtà che mi hanno aperto gli occhi sulla loro complessità e ricchezza. Ci sono imprese che ogni giorno costruiscono opportunità perché si prendono la responsabilità di agire. E queste sono notizie.»