L’incontro con Calenda e Zingaretti, ospiti ieri sera della Camera di Commercio di Verona

Le primarie del Partito Democratico sono ormai alle porte (3 marzo) e i candidati (Zingaretti, Martina, Giacchetti) in queste settimane stanno girando l’Italia per confrontarsi sulle idee e sui programmi. Dopo la “scoppola” delle ultime elezioni, nel partito è necessaria una svolta, una svolta decisa, ma allo stesso tempo c’è anche bisogno di ritrovare le proprie radici e la propria identità. Ieri sera, nella nostra città, si è presentato quello che da più parti viene considerato il “favorito” per la Segreteria: Nicola Zingaretti. Qui il racconto dell’incontro.

Due ore fitte di argomenti, delucidazioni sulla scena politica attuale e buoni propositi sono quelle che hanno visto protagonisti l’ex Ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, incontro moderato dal giornalista de “L’Arena” Enrico Giardini ieri sera nell’Auditorium Domus Mercatorum della Camera di Commercio di Verona.
A fronte di una sala gremita di persone (alcune sono dovute rimanere in piedi, perché i 298 posti a sedere non sono stati sufficienti per tutti), dobbiamo purtroppo registrare una bassissima presenza di giovani, quasi che la politica concepita al di fuori di facili slogan e frasi a effetto non sia per loro di alcun interesse ed è un peccato, perché quando si parla di futuro in modo serio e concreto ci si rivolge soprattutto a loro, proprio le nuove generazioni.

Il bravo Giardini ha avuto gioco facile con due ottimi oratori come Calenda e Zingaretti: più pratico, pragmatico e diretto il primo, quanto più idealista e politico puro (nella migliore accezione del termine) il secondo. D’altronde per loro parlano i rispettivi curriculum e senza bisogno di inutili abbellimenti.

Prende subito la parola Carlo Calenda e tocca argomenti come l’Europa che «ha perso la sua missione e che dovrebbe avere una politica estera comune con una comune democrazia», esternando il timore che l’Italia possa uscirne, quindi accenna al Reddito di cittadinanza verso il quale ha una posizione netta e non certo positiva, perché «non c’è alcuna equità», ma il fulcro dell’intervento verte su quanto già espresso sul suo manifesto “Siamo europei” presentato il mese scorso: «Studio, lavoro, competenze, le basi per costruire una vera Europa». Si scalda quando ricorda che qualcuno ha detto che la laurea non serve più a nulla, «perché i populisti sono i primi alleati dell’élite. Il Manifesto serve a dare un senso di grande mobilitazione popolare al Paese, questa è la sfida».

Interviene Nicola Zingaretti ammettendo il fallimento del PD alle ultime elezioni e della conseguente emorragia di elettori, ma sembra deciso e sicuro quando parla di «un nuovo Partito Democratico che affronti i nodi che abbiamo lasciato sotto al tappeto e la parola d’ordine dev’essere “empatia”» prendendo le distanze dalla «mutazione genetica della Lega, che punta sull’odio e sullo stress della paura, una cosa questa moralmente disgustosa con effetti eticamente devastanti. Tutto ciò – sottolinea – non produce alcuna crescita all’interno del Paese ed è necessaria una politica estera sull’immigrazione degna di questo nome». Sull’argomento Calenda aggiunge che lui non è per i confini aperti in modo indiscriminato, perché questi esistono e dovranno continuare ad esistere se vogliamo definirci una nazione. «Porti aperti – dice – non significa non avere confini». Applausi, ma la curiosità di capire quale potrebbe essere la soluzione rimane, forse anche da un po’ troppo tempo a tutto beneficio di chi ora è al Governo.

Il discorso poi torna all’istruzione, alla preoccupazione di un analfabetismo funzionale in Italia che va oltre il 27% e che si manifesta quotidianamente con gli effetti che ben conosciamo. Calenda: «Metà degli italiani non sa cosa sia una percentuale e non sa come usarla. Ma come si può pensare di fare informazione senza conoscere le percentuali? Questa è una cosa che mette in serio pericolo la democrazia, perciò lo Stato deve garantire la stessa educazione a tutti», quindi auspica un investimento sulla scuola, magari anche per le ore pomeridiane e senza alcuna intrusione da parte dei genitori, sottolineando che «siamo l’unica nazione al mondo nella quale si contestano al Tar i voti dati ai propri figli». Poi conclude il discorso ribadendo che «nessuna democrazia liberale sopravvive senza fiducia e comprensione del futuro ed è questa visione che ci deve guidare».

Una considerazione personale: Salvini vorrebbe reintrodurre il Servizio di Leva e Calenda la scuola anche nel pomeriggio; il primo apparentemente ha gli applausi delle folle di ogni età ed il secondo solo di teste imbiancate. Qualcosa ci sfugge o, forse, risulta più facile accettare di prendere ordini e marciare all’alba invece che studiare? Mistero.

Tra un applauso e l’altro alla fine c’è spazio anche per le domande del pubblico, ma nessuno cita mai il nome di Matteo Renzi: per tutta la durata dell’incontro non viene nominato neppure dai due protagonisti, quasi fosse una sorta di tabù. Che l’ex premier sia diventato una figura ingombrante per il Partito Democratico è una cosa abbastanza evidente, ma solo nelle prossime settimane potremo capire quanto e come.