La indicano come il momento più spaventoso in assoluto sia i parenti, angosciati dall’impossibilità di conoscere il destino dei loro cari, che i prigionieri stessi, quelli che hanno assistito alla strage dei loro compagni d’armi.

Al momento della resa, i soldati dell’Azovstal pensavano che si sarebbe trattato di una semplice extraction da manuale: avrebbero dovuto essere portati in un territorio neutro per un breve periodo, come infatti è successo più tardi con i comandi del reggimento.

La realtà fu molto diversa: portati nei territori occupati, tenuti in condizioni disumane, in violazione della Convenzione di Ginevra e lontani dalla Croce Rossa, nonostante l’organizzazione avesse garantito la propria presenza quando si stavano trattando le condizioni della resa. I prigionieri, stipati in spazi stretti, dormivano per terra su dei sacchi a pelo, per mancanza di brande. Il rancio era ridotto ad una fetta di pane e due cucchiai di cereali cotti. Fra i due pasti della giornata passavano 17 ore.

L’immagine con cui L’ambasciata ucraina in Italia ha commemorato sui social la strage di Olenivka.

Non si sollevò alcun sospetto quando il 27 luglio 2022 i militari russi separarono un gruppo di 200 prigionieri, seguendo una lista. Ogni tanto accadeva che trasferissero altrove i prigionieri a piccoli gruppi, per spezzare il legame fra loro e rendere più difficili i controlli.

Quindi spostarono i duecento prescelti in uno spazio allestito in fretta, un open space con dei letti a castello, recintato da filo spinato e circondato dalle trincee. I secondini avevano avvertito: non sistematevi, restate qui per poco tempo. Tutti pensavano ad uno scambio, così restarono chiusi dentro, ad aspettare.

La notte di Olenivka

La seconda notte però ci fu una deflagrazione violenta dall’interno. Le grida si sentivano in tutte le palazzine vicine: 53 persone morirono ustionate. Gli altri cercavano di strisciare fuori dalla baracca in fiamme, ma ad aspettarli c’erano già i secondini russi con le mitraglie in mano, pronti a sparare sui loro piedi. I prigionieri cercavano di trarre in salvo i feriti gravi e prestare primo soccorso. Persone con gravi ustioni, ferite da schegge, amputazioni traumatiche degli arti giacevano per terra e senza medicine. Alcuni di loro sono morti dissanguati.

I russi non hanno prestato cure agli ustionati: qualche ora dopo, sono arrivati i medici di Azovstal, prigionieri anch’essi e pertanto privi del materiale necessario. Alle otto di mattina, invece dell’ambulanza, arrivò un camion, sul quale sono stati accatastati gli 80 feriti gravi per portarli in ospedale, mentre il resto è rimasto senza cure. Questo ritardo ha accelerato la morte di molti prigionieri, alcuni sono tornati dall’ospedale a Olenivka già cadaveri.

Una strage senza verità

Che cosa ha causato la strage? Secondo le indagini ufficiali ucraine, granate termo-bariche sparate dall’esterno sono esplose dentro lo spazio chiuso. I russi hanno invece fatto il solito gioco di rovesciamento delle colpe: sarebbero stati gli ucraini stessi a sparare, puntando gli Himars con massima precisione sulla baracca, fino a due giorni prima vuota.

Per quale motivo si dovrebbe voler uccidere i propri soldati, considerati universalmente degli eroi? Resta il fatto che fra le persone ferite quella notte non c’era alcun secondino russo, che, a rigore di logica, avrebbe dovuto sorvegliare i prigionieri dentro la struttura.

La testimonianza di Ekaterina

Ekateryna Polishuk si trovava in servizio come paramedico, e durante l’assedio di Azovstal divennero celebri i video in cui cantava per sollevare il morale dei suoi compagni. Ha condiviso con gli altri il destino di prigionia, e si trovava ad Olenivka, nella baracca vicina a i fatti. Ekateryna si stava preparando per coricarsi. Avrebbe dormito per terra, era il suo turno. Nel silenzio della sera a un certo punto hanno risuonato delle esplosioni, senza il caratteristico fischio e il rumore che accompagna i missili in arrivo. Dopo un bagliore di fuoco si sono levate grida altissime. I secondini hanno chiuso le celle delle ragazze e se ne sono andati.

Ekateryna Polishuk, detta “Ptashka” (uccellino), canta durante l’assedio dell’Azovstal.

Dalla finestrella Kateryna riusciva, alzandosi in punte dei piedi, a osservare le alte fiamme e sentire le grida strazianti. «Le ragazze piangevano e si abbracciavano. Erano spaventate. Pensavo: arrivano i nostri? O è forse un modo per farci fuori nella confusione? Speravo che fossero i nostri. [I prigionieri] imploravano aiuto. Risuonavano le raffiche di mitragliatrice. Si sentiva il rumore di legno che brucia, fragorosamente cadevano giù le travi portanti. Al di là del muro festeggiavano un compleanno. Era mai possibile che non sentissero? Ero arrabbiata: “Dove sono i nostri? Dove? Voglio combattere, liberatemi, e andrò ad aiutarli!”. Tutto era finito in un paio d’ore. Per me, erano state lunghe come tutta la mia vita di ventunenne. C’era l’odore di metallo e di carne bruciata».

I secondini, scherzando e ridacchiando invece esultavano. «”Un centinaio di pidocchi di meno!”, – dicevano, poi se ne andarono a ubriacarsi e a festeggiare. Facevano casino, ascoltavano la musica, erano contenti»,

Le ragazze non riuscivano a dormire, cercando di costruire le ipotesi sull’accaduto: «La mattina dopo ci dissero che la colpa era dell’esercito ucraino. La solita storia, nulla di nuovo. Solo che i secondini sbronzi si sbellicavano dalle risate, felici, e si congratulavano fra loro per una notte così ben riuscita».

Il giorno seguente al rogo i prigionieri sopravvissuti ricevettero un rancio raddoppiato. Dovevano mangiare per sé stessi e per gli uccisi, così evidenziarono cinicamente i secondini.

Ricordare e cercare giustizia

L’impatto della strage di Olenivka per gli ucraini è stato enorme. Al crimine di uccisione intenzionale di massa di persone disarmate, alla promessa di incolumità tradita, si è aggiunta l’incertezza di sapere chi esattamente fosse morto e chi no. L’Onu da subito ha inviato una missione di tre persone, per accertare i fatti sul luogo della tragedia. Gli incaricati non hanno ottenuto nulla, perché non hanno avuto accesso a Olenivka, e la missione si è conclusa ingloriosamente.

Hanna Naumenko, fondatrice dell’Associazione dei parenti dei difensori di Azovstal

La Procura ucraina ha aperto un’indagine, interrogando i pochi prigionieri liberati. Per ora le stime sono di 130 feriti, di cui solo 10 sono tornati vivi in Ucraina. Dei corpi restituiti, 52 sono stati identificati, mentre sette sono ancora in analisi. I resti dei corpi carbonizzati, consegnati dai russi agli ucraini in ottobre erano in stato di decomposizione avanzata, causata dalla mancanza di conservazione corretta. Pertanto la perizia si è protratta per altri sei mesi. Hanna Naumenko, fondatrice dell’Associazione dei parenti dei difensori di Azovstal ha raccontato questo dettaglio in una recente intervista.

Il mondo è rimasto a guardare, un anno fa. Nessuno si è reso conto della gravità del crimine. Le indagini sono svanite nel nulla. Che cosa possiamo fare? Come minimo, ricordare la strage di Olenivka, denunciando il crimine che testimonia sia la crudeltà dei criminali sia l’impotenza dell’Onu.

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