Il 20 marzo 2023 è stato pubblicato l’ultimo rapporto dell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change. L’organismo nasce nel 1988 dall’unione di due programmi delle Nazioni Unite, uno riguardante la meteorologia e un altro sull’ambiente. Il gruppo si sviluppa proprio per studiare i cambiamenti climatici causati dal riscaldamento globale.

Le principali attività di ricerca del panel sono di determinare le basi scientifiche del cambiamento climatico, di definire gli impatti dei cambiamenti climatici su natura ed essere umano e, infine, di identificare i sistemi di mitigazione del rischio, proponendo soluzioni efficaci alla riduzione delle emissioni di gas che producono il famigerato effetto serra.

Sulla base di questi rapporti si sono basati i principali accordi per il clima con target da raggiungere sempre molto definiti e raggiungibili e costantemente disattesi. Dal Protocollo di Kyoto del 1997 all’Accordo di Parigi del 2015, sono tanti gli obiettivi che Europa e Onu si sono dati, ma l’unica cosa su cui gli Stati si accordano è quella di spostare il limite temporale per il raggiungimento di determinati parametri più avanti nel tempo, limitando al contempo gli obiettivi da raggiungere.

Non fa differenza da quale rapporto dell’IPCC vengano generati la maggior parte degli accordi. Forse solo l’Accordo di Parigi ha avuto un impatto mediatico sufficiente per far comprendere a tutti la portata del problema. Nell’Accordo si fa riferimento all’ormai tristemente famoso numero limite di 1,5°. Questo piccolo numero è l’aumento di temperatura media limite oltre il quale il Pianeta in cui viviamo diverrà inospitale per i più, creando una situazione insostenibile per la vita.

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Un cambiamento dalla portata enorme

Non è facile capire la portata di questo cambiamento, ma l’IPCC descrive perfettamente quali sono i rischi e a cosa porteranno. I rapporti si sono susseguiti nel tempo, monitorando il clima e l’emergenza è nata proprio dal rilievo dei dati che disegnavano nel tempo un quadro sempre più preoccupante.

Il surriscaldamento globale aumenta in maniera esponenziale portando con sé tutte quelle situazioni che già in parte conosciamo. Siccità, tempeste improvvise, ondate di grande calore che rendono già invivibili molte città. Molto più impattanti, però, saranno le conseguenze dovute all’innalzamento del livello del mare causato dallo scioglimento dei ghiacci. Milioni di persone che vivono sulle coste o sulle isole si vedranno costretti a migrare, con il rischio in qualche caso di non avere nemmeno più uno Stato, come nel caso delle isole Maldive, per fare un esempio.

Tornando al rapporto, la prima cosa che stabilisce è che questo riscaldamento anomalo è dato dall’attività umana e dall’uso delle fonti energetici fossili, nonostante anche questa affermazione sia al centro di alcune discussioni. Moltissime persone, a partire dall’ex presidente degli USA Donald Trump, non accettano tale affermazione, sostenendo che la storia della Terra ha visto nel tempo diverse glaciazioni e cambiamenti e che è “naturale” che ciò avvenga. In questo modo si esonera l’essere umano dalla responsabilità del cambiamento, esimendolo dall’agire. Un pensiero assurdo, ma che è preso per buono da tantissime persone, coloro cioè che non hanno intenzione di rinunciare al SUV, ai 25 gradi in casa d’inverno e ai 20 d’estate.

Insomma per chi se lo può permettere l’uso e l’abuso dei combustibili fossili è lecito. I governi dal canto loro cercano di imporre limitazioni, ma non sono abbastanza incisivi visto che, pandemia a parte, il consumo di questo tipo di energia è aumenta inesorabilmente insieme ai nostri problemi.

Soluzioni facili e impossibili?

Il rapporto, però, ci dice che esistono già tecnologie e soluzioni per porre una limitazione all’escalation dei danni.

“Ad esempio, l’accesso all’energia e alle tecnologie pulite migliora la salute, soprattutto di donne e bambini; l’elettrificazione a basse emissioni di carbonio, gli spostamenti a piedi e in bicicletta e i trasporti pubblici migliorano la qualità dell’aria, la salute e le opportunità di lavoro e garantiscono l’equità. I benefici economici per la salute delle persone derivanti dal solo miglioramento della qualità dell’aria sarebbero all’incirca uguali, o forse addirittura superiori, ai costi per ridurre o evitare le emissioni.”

Conosciamo tutti la qualità dell’aria che soffoca la vita di tutti noi in Pianura Padana e sembra impossibile che una piccola azione come usare la bicicletta sia di così grande efficacia.

Ma come sappiamo tutti non è certo il cittadino che può costruire la ciclabile, rendere sicure le strade per essere percorse a piedi o sviluppare un trasporto pubblico efficace.

La realtà ci dice che siamo sotterrati da pubblicità di automobili, che pochi rinuncerebbero al condizionatore e che le compagnie petrolifere fanno utili da record invece che diminuire.

In un comunicato stampa IPCC sottolinea come la trasformazione non può essere solo tecnologica o imposta come limitazione, ma deve essere culturale e condivisa. Servono anche investimenti in tal senso, giustificati dal fatto che il loro impatto è estremamente efficace soprattutto per quelle popolazioni che subiscono i danni senza nemmeno esserne la causa. Ad oggi sono quasi un miliardo le persone senza accesso all’energia che subiscono maggiormente gli effetti del cambiamento climatico. I cambiamenti, infatti, stanno causando impatti negativi tramite eventi meteorologici estremi, in particolare sulle popolazioni povere del mondo che inevitabilmente hanno contribuito meno al generarsi dell’attuale situazione.

Determinato questo quadro desolante, in cui ormai sono i governi a disattendere i loro stessi accordi, occorre concentrarsi sulle indicazioni degli scienziati (a volte costretti a scioperare pur di farsi ascoltare) che trovano il favore di ambientalisti, giovani e associazioni di vario tipo.

Il contenuto del rapporto

Le indicazioni sono strutturate in maniera da essere immediatamente applicabili per i decisori politici, con specifici rapporti di sintesi. Si inizia con il riaffermare che il riscaldamento globale è causato dall’attività umana, dovuto ad un uso non sostenibile dell’energia, dall’uso del suolo, dagli stili di vita e dai modelli di consumo fortemente disuguali all’interno dei Paesi e tra gli individui.

Le azioni di adattamento potrebbero avere effetti notevoli ma sono frenate dalla mancanza di investimenti e in particolare per i Paesi in via di sviluppo.

Il risultato di questa inerzia sta rendendo impossibile il contenimento dell’1,5° entro il 2030 e perfino limitarlo ai 2,0°, visto che l’attuale trend è di un probabile aumento di 2,5°. Ogni aumento sopra questo limite porta a una ulteriore intensificazione degli eventi estremi a breve termine, mentre la sua diminuzione porterebbe a un rallentamento degli effetti a lungo termine, visto che il presente è già in parte compromesso.

Il problema principale è questo. Ad ogni aumento rispetto al limite di 1,5° la cascata di eventi imprevedibili diventano molto più probabili, creando rischi ancora più complessi e difficili da gestire. Un evento che ora è improbabile ma possibile è il totale scioglimento dei ghiacchi polari, che hanno una funzione decisiva nella termoregolazione dell’intero Pianeta. L’aumento dei gradi rende questa possibilità da possibile a molto probabile, con tutte le conseguenze del caso, come il già citato innalzamento dei mari.

Adattarsi o soccombere

L’adattamento a un mondo diverso può avere molteplici soluzioni in previsione di un mondo inesorabilmente più caldo. Non adattarsi significa esser esposti ad un rischio inevitabile e potenzialmente mortale. I rischi, infatti, stanno correndo verso l’irreversibilità.

Le ultime indicazioni sono per una risposta a breve termine. Il cambiamento climatico è una minaccia per il benessere umano e c’è una finestra di opportunità per porvi rimedio che si sta rapidamente chiudendo. Le scelte che faremo in questo breve lasso di tempo avranno un impatto sugli esseri umani e sugli ecosistemi per migliaia di anni.

Il finanziamento massiccio di tale trasformazioni è estremamente necessario e lo è ora. Lo scopo è permettere di ottenere benefici a breve termine per tutti, come ad esempio sulla qualità dell’aria. Le soluzioni ci sono e sono anche economicamente convenienti, ma servono sinergie e compromessi da parte di tutti e non è possibile porre dei limiti solo grazie alla buona volontà di pochi. Dare priorità ai processi di equità, di giustizia climatica e sociale sono gli ingredienti fondamentali per raggiungere questo obiettivo a livello mondiale.

Il cambiamento climatico ci ha portato alla consapevolezza della dimensione globale che ormai ha pervaso qualunque aspetto della nostra esistenza. La globalizzazione ci ha portato, infatti, ad avere straordinarie opportunità ma anche enormi sfide, come la sopravvivenza al collasso climatico, causato da pochi ma che ha investito tutti.

Il rapporto conclude affermando che serve un’azione efficace che sia resa possibile da un impegno politico chiaro, leggi severe e un maggiore accesso ai finanziamenti per attuare la transizione energetica, tutti elementi che però fanno fatica a “vedere la luce”, spesso annunciati ma mai effettivamente messi in opera. Come ad esempio il fondo “loss and damage” che i Paesi del sud del mondo stanno ancora aspettando.

L’inattività dei governi e l’attivismo delle associazioni

Mentre questa finestra si chiude, i politici prendono accordi senza determinare nessun risultato degno di nota. Questa ipocrisia è sempre più evidente grazie all’attivismo di molte associazioni che sentono la necessità di smascherare questa farsa, puntando il dito direttamente contro l’inattività governativa.

In particolare Extinction Rebellion, associazione nonviolenta, porta all’estremo la rivendicazione del diritto di avere la certezza di un futuro, che a questo punto non si tratta nemmeno più di un futuro vivibile ma proprio un possibile futuro dove l’opzione estinzione umana, citata nel rapporto, sia allontanata il più possibile.

In merito alle richieste di queste associazioni, non si discostano dalle indicazioni del rapporto ma non accettano più l’inerzia dei Governi. Per Extinction Rebellion i governi mentono sulla situazione e chiedono la verità tramite la dichiarazione dell’emergenza climatica e un’attività concreta di informazione e di collaborazione con cittadini e imprese.

Per secondo contestano gli innumerevoli accordi non vincolanti che vengono sottoscritti chiedendo di raggiungere lo zero netto di emissioni di gas serra entro il 2025, arrestando al contempo la distruzione degli ecosistemi e della biodiversità. Terzo e non ultimo, mancando il tempo per formare e sostituire la classe politica, propongono e si impegnano in una costante diffusione sul territorio delle evidenze scientifiche e della trasmissione di conoscenze e anche di valori nella consapevolezza che il cambiamento può e deve essere dato dalla collaborazione di tutti.

Propongono quindi assemblee cittadine che poi vengano riconosciute dagli attuali governi per prendere decisioni efficaci e aderenti al territorio nel più breve tempo possibile. Perché il problema non è più una questione solo ambientale ma anche sociale, in un modo dove il depauperamento dell’ambiente causa un danno soprattutto per gli esseri umani che la abitano, siano essi ricchi o poveri.

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