Lo scorso anno in Italia sono state immatricolate in totale 1.322.096 nuove auto (meno 9.6% rispetto 2021), di queste solo il  3.71% full electric BEV. Si conferma il trend di riduzione vendite di auto che, per la prima volta, coinvolge pesantemente anche le auto elettriche.

Mentre nel 2021 si sono venduti 67.264 veicoli BEV nel 2022 si è avuta una forte flessione (meno 27%) corrispondente a 49.058 veicoli. Venduta una auto elettrica ogni mille abitanti.

Un risultato deludente se lo si confronta con i maggiori Paesi europei dove le vendite delle auto BEV è stata fra il 19 e il 67%  superiore rispetto all’anno precedente. In Germania  sono state vendute circa 400 mila BEV (4.8 per mille abitanti), in Francia 200 mila (3 per mille abitanti), Regno Unito 250 mila (3.6 per mille abitanti).

Cosa non sta funzionando in Italia?

Secondo MOTUS-E , una politica incerta e contraddittoria con frequenti cambi di regole, incentivi insufficienti, prevalenza di annunci sulle effettive azioni, continua a scoraggiare il consumatore.  In tutti gli altri Paesi europei la certezza degli incentivi, con valori unitari più alti, ha permesso invece un’efficace programmazione di vendita delle case automobilistiche.

Fig. 1 Motus-E  forte disomogeneità regionale delle vendite di BEV e dei punti di ricarica.

In Italia la distribuzione geografica delle vendite BEV e dei punti di ricarica rimane fortemente disomogenea (vedi figura 1), risultato di politiche locali della mobilità ancora spontanee, scoordinate ed eterogenee, molte volte improvvisate.

Il 57% dei punti di ricarica si trovano nel Nord Italia, il 23% nel Centro mentre solo il 20% nel Sud e nelle Isole. Fortemente limitata è anche la presenza di infrastrutture nelle autostrade: un totale di 310 punti di ricarica pubblici (4,2 ogni 100 km) sono ancora fortemente insufficienti per coprire le esigenze del traffico.

L’auto nella transizione energetica: stop al 2035

Il 2022 è l’anno in cui Commissione Europea, Parlamento europeo e Consiglio europeo hanno confermato definitivamente lo stop alle vendite di autovetture con motorizzazione tradizionale a partire dal 2035.

Va ricordato che il trasporto su strada è responsabile di circa il 12% delle emissioni globali di CO2. 

Pertanto, lo stop alle vendite risulta come un passaggio epocale, necessario per rispettare il programma di lotta ai cambiamenti climatici “Fit for 55”, e ridurre del 55%, rispetto ai livelli del 2021, le emissioni di CO2 nell’Unione entro il 2030. Il concetto stesso di mobilità nel suo complesso deve evolvere.

Dodici anni quindi per trasformare l’industria dell’auto e il suo indotto, la tecnologia, il sistema di mobilità delle persone, adeguare il sistema elettrico alle nuove esigenze.

In altre parole, si può dire che  l’Italia deve prepararsi a vendere, entro il 2035, oltre 1milione veicoli elettrici all’anno, partendo dagli attuali  quasi 50 mila. Una crescita nella vendita delle BEV costante di almeno 30% all’anno.

L’Italia si sta preparando al cambiamento?

Durante la conferenza stampa di fine anno la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dopo aver rivendicato di guidare un governo «amico delle imprese», ha offerto sponda a una protesta che l’industria automobilistica italiana ed europea esprime da mesi affermando: «La scadenza del 2035 per l’addio ai motori a combustione è profondamente lesiva del nostro sistema produttivo».

Carlos Tavares, numero uno del gruppo Stellantis, Il gruppo franco-italiano di cui la famiglia Agnelli-Elkann controlla il 14,3%, criticando le normative ambientali adottate dall’Ue,  aveva precedentemente  lanciato un allarme affermando: «L’Europa sta uccidendo il futuro della mobilità».

Le case automobilistiche  mettono costantemente in evidenza anche i rischi per l’occupazione.

L’industria dell’auto si sta già trasformando.

L’industria dell’auto ha già deciso per la trasformazione. La stessa Stellantis, ad esempio, sta investendo massicciamente in nuovi impianti per la costruzione di batterie (uno stabilimento dovrebbe sorgere a Termoli, supportato da generosi sussidi pubblici) e ha annunciato che la loro produzione di motori elettrici raggiungerà oltre 1 milione di unità in Francia entro il 2024.

Volkswagen ha già pianificato sei stabilimenti per la produzione di batterie elettriche in Europa entro il 2030 e ha da poco siglato un accordo da 3 miliardi di euro con la belga Umicore, che ricicla vecchi componenti tecnologici da cui ricava metalli utili per la filiera elettrica.

Altrettanto stanno facendo tutte le altre maggiori case automobilistiche nel mondo, soprattutto in Cina e negli Stati Uniti.

«Il tema dei rischi occupazionali c’è», spiega al Fatto Quotidiano il professor Francesco Zirpoli, docente di economia e gestione d’impresa dell’università Cà Foscari. «ma non ho mai visto i produttori auto così sensibili a problemi occupazionali». Non a caso in Germania è stata creata un’apposita task force per gestire la formazione di nuove competenze tra i lavoratori.

Anche per la componentistica italiana lo scenario non sembra così fosco come lo si vorrebbe far apparire. «Su circa 2.400 fornitori italiani di componentistica per auto», ricorda il professor Zirpoli, «meno di un centinaio sono in grado di produrre esclusivamente per motori endotermici, le altre 2.300 aziende hanno già le competenze necessarie per entrare nella filiera dell’auto elettrica».

Il ritardo della politica, dubbi e sospetti.

L’impressione prevalente è che in Italia, dove manca una strategia industriale per governare la transizione energetica nella mobilità e definire il ruolo delle amministrazioni pubbliche, sia in atto in realtà una fortissima azione di lobby per ottenere dai governi quanto più denaro possibile. A questo non sono estranei neppure i fornitori di combustibili fossili.

Nel vuoto della politica si sta assistendo a un rischioso braccio di ferro fra poteri economici e amministrativi che disperde risorse, crea confusione e, come testimoniano i disastrosi dati 2022 relativi al mercato dell’auto elettrica in Italia, frena lo sviluppo del Paese a vantaggio dei concorrenti.

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