In un affollato Teatro Stimate, qualche giorno fa Carlo Calenda, fondatore di “Azione”, ha presentato ai cittadini veronesi la sua ricetta per un’Italia che sembra aver dimenticato, come lui stesso racconta, il vero significato di politica.
Organizzato con i rappresentati locali che hanno aderito al suo movimento tra cui Tommaso Ferrari del gruppo civico “Traguardi”, e Federico Vantini, fondatore dell’associazione “Verona Unica” allo scopo di raccogliere stimoli e idee per le elezioni amministrative 2022, l’incontro ha visto un Calenda a ruota libera: «Se oggi siamo qui – ha esordito – è perché vogliamo che la politica torni a essere “l’arte di governo della polis”. Oggi la politica è tutt’altra cosa, ossia la capacità di prendere consenso senza produrre risultati. Questa perversione arriva a un livello tale per cui le due cose sembrano diventate incompatibili.»

Calenda nomina poche volte i leader politici protagonisti dell’attuale scenario, preferendo un discorso incentrato su obiettivi e punti salienti. Ma d’altronde quale partito, anche rischiando di raccontare la migliore delle barzellette, non ha usato la bandiera della “coerenza” per cercare qualche consenso in più? Calenda, però, un passaggio l’ha fatto, ha intrapreso una nuova strada lasciando il Partito Democratico quando questo ha formato il nuovo governo in alleanza con il Movimento Cinque Stelle. «Quando mi chiedono perché me ne sono andato rispondo “Io l’avevo promesso”, “Ma si rimane fedeli al partito!, mi sento spesso rispondere”, allora aggiungo che “Io preferisco l’impegno preso con l’elettore. La politica non è un tifo per il quale stai con una squadra anche se hai valori diversi». Oggi, appare tutto più complicato. Se da un lato c’è una grossa disaffezione alla politica, dall’altro i sondaggi sembrano premiare un modo di fare orientato alla ricerca di comunicazioni basate sugli schemi sintetici tipici della pubblicità: persuasione e seduzione, tanto per fare un esempio. Ecco quindi che, da entrambi i lati, vale ogni passaggio: dal “mai con i Cinque Stelle” alla ricerca di un governo con il Movimento da parte di entrambe le parti destra-sinistra. Calenda sottolinea la necessità di riprendere i nostri valori più cari e di ricordare che alla politica dovremmo chiedere altrettanto: «Gli stessi valori della vita reale devono far parte della politica: competenza, serietà trasparenza, moderazione, affetto, bontà, onestà. Tutto questo nella politica non esiste perché non lo chiediamo!»

È questa separazione ad aver spaccato realmente l’Italia: da un lato chi non si scandalizza se un Ministro non si presenta in ufficio –prediligendo la presenza costante in altre sedi, dando adito al sospetto che sia maggiore l’interesse della ricerca di consenso rispetto alla messa in pratica delle idee e dei fatti – e dall’altro chi accetta tutto, basando le proprie intenzioni di voto sulla tradizionale separazione destra-sinistra. «Una separazione posticcia, esemplificata dai decreti sicurezza visti come un golpe e come caduta della democrazia ad opera del Governo Conte 1 – ha spiegato –, per poi essere accettati dagli stessi che lo criticavano quando facenti parte del Conte 2. Così essere di sinistra appare più per quello che dichiari che per quello che fai.» Allo stesso modo una politica di questo tipo ha abituato gli italiani all’assunto che una persona del tutto impreparata e senza idee concrete possa essere un ottimo politico, tanto vale parlare al Paese con frasi a effetto senza poi pesarne – nel bene o nel male – la realizzabilità. «Questo è un fatto che deriva da noi – ha precisato –. Siamo noi che abbiamo deciso di farci tirare dentro a un gioco che abbiamo costruito in questo modo: un gioco in cui la militarizzazione degli elettorati ha sostituito qualsiasi proposta di governo e qualsiasi elemento di coerenza. Nell’impossibilità di raggiungere certi obiettivi e risultati, una politica che ha difficoltà a soddisfare gli elettori, incolpa i “fascisti” e poi c’è un’altra politica, quella di destra, che incolpa i “comunisti”. È così da 50 anni!»

Nella definizione dei temi Calenda dà la sua idea di Stato: Sanità, Scuola e Sicurezza e spazio ai privati. È evidente che l’Italia, che ha un tasso di analfabetismo funzionale doppio rispetto alla media europea, è un Paese che dovrebbe investire sulla scuola. Le sue parole fanno breccia nel pubblico quando afferma che la cura dell’idea di comunità vada rinsaldata non a parole ma attraverso la scuola, che «deve essere fulcro della società repubblicana. Abbiamo una scuola dove i genitori fanno ricorso al TAR per un voto… i genitori devono stare fuori dalle scuole.» Dalle parole di Calenda emerge una differenza radicale tra coloro che vogliono abbattere la democrazia liberale, definendo un’identità nazionale etnica e non repubblicana, e coloro che vogliono stare nel perimetro dello stato di diritto e di un’identità nazionale di cui abbiamo bisogno. In Italia i popolari sono sottomessi ai sovranisti, i social democratici ai populisti e i liberaldemocratici sono ci sono proprio. In Europa accade l’opposto, e gli estremi sono fuori. “Azione” nasce per il liberismo sociale. Libertà dell’uomo nello Stato di Diritto e nell’economia, contemporaneo al progresso della società. È proprio il tema del progresso che sembra collidere, se non contraddirsi, a chi invece vive tutte le novità come qualcosa di negativo o, comunque, come una fonte di preoccupazione. «Il tema voglio i muri, voglio l’identità etnica” – ha sottolineato Calenda – nasce e diventa bandiera politica, per colpa dei progressisti perché fenomeni come multiculturalismo e globalizzazione non sono stati governati. Abbiamo pensato che solo con il mercato, e grazie al mercato, saremmo diventati una società saggia, aperta, inclusiva.»

L’”Azione” di Calenda appare come una ricerca di radice culturale che deve esistere e fondarsi su un socialismo liberale che vada accanto al progresso. La soluzione del fondatore del partito, per opporsi a questa crisi occorre serietà delle proposte, trovando il punto di equilibrio che permetta di spiegare e far comprendere che ci sono scelte da prendere. Come nei bilanci delle famiglie – che possono propendere per un aspetto piuttosto che per un altro – il messaggio che deve essere chiaro è la necessità di stabilire le priorità per evitare che gli italiani votino in odio agli altri. Una bella sfida, per Calenda, dati i marcati e sempre più ristretti margini per un partito di centro che sembrerebbe classificare la fascia di elettorato al quale parla e che oggi non ha ancora una struttura nazionale in grado di aggregare e identificare gli eventuali aderenti. In realtà – pur centrando tutto il suo ragionamento sulla fine delle classificazioni “destra”/“sinistra” – questi sentimenti, oggi, sono ben sentiti dall’elettorato e appare necessario darne atto per inserirsi in maniera significativa sia nell’attuale azione di governo sia nel gradimento dell’elettorato. «Voglio recuperare la rappresentanza: anche Salvini è salito da percentuali basse agli esiti di oggi. Voglio che terminino i discorsi senza senso, come “porti chiusi” e “porti aperti”. I porti non possono essere né l’uno ne l’altro ma semplicemente aperti a chi ne ha diritto. Gli italiani non possono essere coinvolti nel dualismo “accoglienza o razzismo”: ci sono infinite gradazioni. L’accoglienza deve specificare chi e come. Come chi non vuole gli immigrati non è del tutto razzista: la maggior parte degli italiani, ad esempio è per lo ius culturae. Gli italiani semplicemente si sono stancati di sentir parlare di immigrazione su criteri morali e non politici.»

È proprio sulla concretezza che Calenda definisce la nascita di “Azione” e il suo abbandono del PD. «Tutto questo si poteva affrontare nel modo facile, rimanendo nel partito, come fanno coloro che oggi si ritrovano a non parlare e a non esprimersi, come accade in Forza Italia – con coloro che parlano di valori differenti – pur rimanendovi.» Calenda salda e lega il discorso con un bell’omaggio alla politica, parlando a tutti i presenti. Un desiderio, comune a molti, che vorrebbe essere il ritrovare l’entusiasmo per una politica sentita e partecipata e non come qualcosa da subire. Vi tengono lontani dalla politica pensando che essa sia una setta che conosce arcani e quindi mischiarsi a essa sia sbagliato. Non c’è alcun arcano! Impegnarsi è importante, e ci arriveremo. Così, nell’evidente piacere di sentire concetti come «cura nella gestione delle trasformazioni», «rifiuto della certezza in tempi in cui non ci sono certezze e capacità di ricredersi anche davanti a un pensiero poi rivelato sbagliato», l’augurio è che Calenda viva la sua “Azione” con i piedi a terra, ben saldi, anche dovesse raggiungere quelle percentuali vertiginose e oscillanti a cui gli italiani sono abituati. Colpa di un popolo e di una società liquida che ama Berlusconi, poi Monti, poi Renzi e infine Salvini spesso senza un baricentro di serietà e comprensione o di leader politici che inebriati dai consensi si sono creduti onnipotenti? «Monti ha fallito per la presunzione aristocratica del “io so dove vi porto”», ha continuato Calenda. In un mondo dove le leadership carismatiche che sanno tutto dovrebbe essere finito da un pezzo – prima con l’alterigia dei cosiddetti “professoroni” e oggi con una politica dell’uomo solo al comando che parla al popolo di pieni poteri e di ogni qualsiasi argomento gli venga sollecitato senza una vera specifica competenza (o delega, per parlare di azione – Calenda dovrebbe inserirsi nel mondo della politica partecipata, senza sensazionalismi ma con fatti concreti. La convinzione c’è e, pur nella consapevolezza che oggi i sondaggi hanno evidenze a una cifra, il leader di “Azione” ha rimarcato: «A chi dice che non si può fare, che non riusciremo, dico che se i nostri trisnonni avessero detto così l’Italia non ci sarebbe. Se pensiamo così è perché abbiamo vissuto trent’anni di addomesticamento mentale. La politica può cambiare il corso delle cose. E noi vogliamo questo.»