SPRAR o CAS? Questo è il problema, avrebbe scritto Shakespeare. Senza scomodare, però, il Grande Bardo, abbiamo voluto ascoltare la parola di chi, in queste due tipologie di accoglienza, ci lavora e ci vive quotidianamente. E vivrà sulla propria pelle anche le modifiche che il Decreto Sicurezza imporrà. Abbiamo chiesto loro di raccontarci la loro esperienza e cosa pensano del provvedimento, che di fatto rivoluzionerà anche le loro attività.

Comunità Educativa La Cordata
Il centro SPRAR “Comunità Educativa La Cordata” di Corbiolo di Bosco Chiesanuova è dedicato ai minori stranieri e ha una capienza massima di dieci ospiti (secondo l’accordo stipulato dai comuni che aderiscono al Progetto SPRAR per cui deve esserci una quota di massimo 3 richiedenti asilo per 1000 abitanti, così da garantire un progetto di accoglienza sostenibile da parte della comunità ospitante). «In passato ce ne sono stati altri due, quindi in totale abbiamo ospitato 12 ragazzi – spiega Edoardo Garonzi, uno dei sei educatori che vi lavorano, oltre alla coordinatrice, lo psicologo e gli assistenti sociali –. Siamo aperti da poco più di un anno (prima che il Comune aderisse, la prefettura aveva collocato in un CAS, tramite convenzione con gestore/cooperativa, più di 40 persone in contrada Branchetto, in alta Lessinia, lontano dai centri abitati, nda). Il progetto SPRAR è costruito per raggiungere la coesione sociale: si lavora con il territorio che accoglie e con le persone ospitate affinché entrambi possano dare il proprio meglio per una vita in comune e dove ai conflitti si risponde con la mediazione. Il grande problema dei CAS, a cui verrà sempre più delegata l’accoglienza con la nuova legge, è il loro collegamento con il territorio, collegamento spesso inesistente. A rimetterci saranno ovviamente i percorsi di coesione sociale quali l’insegnamento della lingua italiana, i corsi, gli incontri, e via dicendo: senza collegamento, senza confronto, nascono le tensioni, le paure e quindi l’odio. La nuova legge, purtroppo, promuove tutto questo. E per questo si tratta di una legge di scarsa valenza politica. Fare politica in questa maniera non può far altro che danneggiare i cittadini, stranieri e residenti. Di grande valenza politica – prosegue Garonzi – sarebbe stato valorizzare ancora di più lo SPRAR, che tra l’altro era la strada che si stava prendendo negli ultimi anni: si sarebbe trattato di rispondere ad un problema con una progettualità attenta alla dignità delle persone. Invece si è preferito rimanere nell’emergenzialità che genera divisioni e che giustificherà, in futuro, provvedimenti sommari. Lavorare sul territorio per accogliere i ragazzi ospitati vuol dire – conclude Garonzi – anche dar lavoro a educatori ed esperti del territorio stesso, promuovere reti di volontari, incontri, laboratori di inclusione e contatti con aziende. In un anno abbiamo attivato svariati corsi e cinque tirocini con aziende del territorio.»

Centro di Accoglienza Straordinaria
Il Centro di Accoglienza Straordinaria di Valeggio sul Mincio ha poco più di due anni. Gli ospiti oggi sono solo una ventina, ma le persone transitate dal centro sono ben di più. «Per alcuni i centri di accoglienza sono state tappe brevi di un viaggio non ancora finito» racconta una degli addetti, Federica (nome di fantasia).

Gli ospiti sono richiedenti asilo, persone (nel caso specifico provenienti dall’Africa Occidentale) che hanno chiesto protezione internazionale. L’iter normale prevede la richiesta di protezione, l’audizione in commissione territoriale e l’esito. Qui si verificano due scenari: accoglimento o respingimento della domanda. A questo punto le strade si dividono: chi è respinto, se ci sono adeguati presupposti, può chiedere un riesame della pratica. Chi invece ha il riconoscimento ottiene un permesso soggiorno (che va dai due ai cinque anni). «Sin dai primi mesi dall’arrivo in Italia, sbrigate alcune formalità documentali, gli ospiti possono lavorare – prosegue l’operatrice –. Si creano quindi diversi percorsi di inserimento nella società perché le esperienze lavorative caratterizzano in modo forte i passi successivi, la parte comune era relativa a vitto, alloggio, insegnamento dell’italiano, controlli sanitari e accompagnamenti, supporto nelle pratiche amministrative e accompagnamenti, volontariato e altre attività, (ad esempio corsi di formazione, conoscenza della cucina italiana, delle principali leggi italiane in termini di lavoro, conoscenza del territorio, attività ludiche e culturali, informatica).» L’attività degli operatori (in  prevalenza educatori, formatori ed insegnanti), prevede l’appoggio di figure specialistiche (come quella dell’infermiere e dello psicologo), con frequenza che varia a seconda delle esigenze. «Il nuovo scenario prevede una razionalizzane dei servizi offerti convergendo verso uno sterile vitto-alloggio e poco altro – conclude –. Le preoccupazioni sono molte, ma non sarebbe nemmeno giusto guardare solo a quelle: io mi auguro che il sistema almeno per un po’ vada avanti per inerzia. Il mio giudizio sulla nuova legge è chiaramente negativo, perché interferisce in modo forte con un tipo di lavoro in cui credo. La definisco un’ingiustizia, ma se ha avuto un percorso facile per l’approvazione (anche di parte dell’opinione pubblica) evidentemente non si è fatto abbastanza per mostrare i buoni risultati che si sono avuti con il lavoro svolto fino ad ora.»