Domenica 9 agosto in Bielorussia un’ex insegnante di 37 anni, Svetlana Tikhanovskaya, ha sfidato alle urne il presidente uscente Aleksandr Lukashenko, al potere da 26 anni. E il giorno dopo, quando il governo bielorusso ha annunciato l’ennesima vittoria schiacciante di Lukaschenko con l’80 per cento dei voti, il Paese è letteralmente esploso in un’onda anomala di proteste antigovernative mai vista prima. Già all’indomani del voto gli arresti erano arrivati a 6.700 e il micidiale apparato militare del governo bielorusso di Lukaschenko rispondeva con una forza sproporzionata alle proteste per lo più pacifiche dei manifestanti. Sono in molti a parlare di torture e violenze, come conferma Amnesty International.

Aleksandr Lukashenko

Lukashenko ha 65 anni e nel 1991 fu l’unico deputato bielorusso a votare contro il dissolvimento dell’Unione Sovietica. Ha vinto ogni elezione dal 1994, grazie a un saldo controllo dei media e a un’impietosa repressione di qualunque opposizione. A livello internazionale, è sempre riuscito a giustificare la sua gestione autoritaria del potere mantenendo uno strategico e ambiguo equilibrio nei rapporti diplomatici e nei legami economici con la Russia da una parte e con l’Europa dall’altra. Ma il 9 agosto 2020 qualcosa era cambiato: a gennaio la Russia aveva fatto saltare i vantaggiosi accordi per le forniture energetiche bielorusse, compromettendo la già precaria situazione economica del Paese. Inoltre Lukaschenko era stato fortemente criticato dalla popolazione, nei mesi precedenti, per aver ridicolizzato il rischio che l’epidemia di Covid-19 potesse mettere ulteriormente in ginocchio la Bielorussia.

Qualcosa dunque sembrava essersi infranto nel monolitico blocco di potere del premier bielorusso, infatti a partire da maggio i principali candidati dell’opposizione cominciano a “saltare”. Sergei Tikhanovsky, blogger e youtuber molto noto nel paese, viene arrestato per aver partecipato ad una protesta nel dicembre dello scorso anno mentre Viktor Babaryko, banchiere che alcuni sondaggi non autorizzati davano oltre il 50 per cento dei consensi, viene incarcerato a metà giugno con l’accusa di frode fiscale. A entrambi viene negata l’autorizzazione a partecipare alle elezioni. A fine luglio anche un terzo candidato, l’imprenditore Valery Tsepkalo, è costretto a lasciare il paese dopo aver saputo del suo arresto imminente.

Svetlana Tikhanovskaya

Ed è a questo punto che accade qualcosa di insolito: dopo essere stato escluso dalle elezioni, Tikhanovsky inizia a raccogliere le firme per candidare come presidente sua moglie, Svetlana Tikhanovskaya, un’ex insegnante di inglese e traduttrice. In quei giorni, la Tikhanovskaya dichiarerà al Financial Times: «Credo che mi abbiano fatto registrare per ridermi dietro. Vediamo se la gente firmerà davvero per una donna di cui nessuno sa niente». Ma Tikhanovskaya non solo raccoglie le firme necessarie, ma nel giro di qualche settimana si uniscono alla sua coalizione anche Veronika Tsepkalo, moglie del terzo candidato estromesso Valery Tsepkalo e Maria Kolesnikova, già coordinatrice della campagna elettorale di Babaryko: Svetlana Tikhanovskaya è la candidata ufficiale per l’opposizione a Lukaschenko.

Al comizio che le tre terranno nella capitale Minsk il 30 luglio, il più grande nella storia del Paese, partecipano oltre 60mila persone. Secondo la stessa Tikhanovskaya, permettendole di candidarsi Lukashenko ha creato una valvola di sfogo per il dissenso represso in tutti questi anni: «Abbiamo unito tre gruppi molto diversi in uno solo, e mi voteranno come simbolo di cambiamento e non come presidente» dichiarava alla vigilia delle elezioni. Sapeva che Lukashenko le ha permesso di candidarsi proprio perché donna e quindi, dal suo punto di vista, debole.

Ma la delegittimazione della donna come soggetto forte, sostenuta dalla retorica paternalista al potere, si è invece rivelata una grossa sottovalutazione della società bielorussa. Lukashenko non credeva che una donna potesse sfidarlo e che potesse ottenere consenso e invece la Tikhanovskaya ha suscitato nella popolazione bielorussa un entusiasmo senza precedenti, arrivando davvero a insidiarne il potere. E quella presunta debolezza è diventata la forza in cui il Paese si è riconosciuto.

Tikhanovskaya utilizza inoltre un linguaggio politico “diverso”, denunciando sì la brutalità del regime di Lukaschenko e chiedendo il rilascio di tutti i prigionieri politici, ma sostenendo anche che «l’opposizione vuole elezioni corrette e non una rivoluzione. Siamo persone pacifiche e vogliamo cambiamenti pacifici nel nostro Paese. Io non voglio il potere. Rivoglio indietro i miei bambini (che ha portato fuori dal Paese per sicurezza, nda) e mio marito e voglio continuare a friggere le mie cotolette. Quando votate per Tikhanovskaya non votate per una politica, ma per i cambiamenti che arriveranno e per delle nuove elezioni legittime». 

Foto tratta dal sito Intellinews.com

Per un Paese considerato dagli osservatori internazionali “l’ultima dittatura in Europa”, abituato allo stile autoritario di Lukaschenko, le parole scelte da Tikhanovskaya per rivolgersi al suo popolo hanno avuto l’effetto di aprire occhi terrorizzati che avevano paura di guardarsi allo specchio. E quando un popolo “apre gli occhi” è molto difficile poi ricondurlo al buio della ragione. É probabile che Lukaschenko se ne stia rendendo conto, e che questo sia il motivo per il quale ha deciso, qualche ora fa, di schierare l’esercito sul confine occidentale: sa bene che la situazione è già oltre il suo controllo, e che se nella vicenda entrassero altri governi internazionali come osservatori, non potrebbe che dimettersi.

Tikhanovskaya si trova in Lituania da martedì 11 agosto, scortata al confine dalle forze di sicurezza dopo che il livello degli scontri tra manifestanti e forze militari governative ha superato il livello di guardia. In un videomessaggio ha chiesto alle autorità bielorusse di porre fine alla violenza e “impegnarsi nel dialogo” aggiungendo che i suoi sostenitori dovrebbero firmare una petizione online per chiedere il riconteggio dei voti. In un messaggio separato il 17 agosto si è rivolta invece al popolo bielorusso, elogiando i cittadini per aver dimostrato «che questo Paese appartiene a noi, alla nazione piuttosto che a un uomo. Ammiro il vostro coraggio, la vostra organizzazione e il sostegno che mi hanno dato le vostre voci. Lo apprezzo moltissimo e comprendo perché lo avete fatto: tutti volevamo uscire dal vortice in cui siamo caduti 26 anni fa. Sono dunque pronta ad assumermi le mie responsabilità e ad agire durante questo periodo come leader nazionale, in modo che il Paese si calmi e ritorni alla normalità, così da rilasciare immediatamente i detenuti politici e preparare il quadro giuridico e le condizioni per nuove elezioni presidenziali, questa volta eque e trasparenti, che saranno accettate incondizionatamente anche dal resto della comunità mondiale.»

Forse ha vacillato, sicuramente ha avuto paura per i suoi figli. Ma grazie a lei, per la prima volta in 26 anni il popolo bielorusso ha potuto ascoltare parole che non aveva mai sentito pronunciare da chi vorrebbe governarlo: dialogo, speranza, pace, cambiamento. Parole che i governi in Europa, in Russia e negli Stati Uniti non potranno permettersi di ignorare.