È giunto alla nona edizione il Rapporto sullo stato dei diritti in Italia, elaborato dall’associazione A Buon Diritto: un’opera di monitoraggio sullo stato di salute di diciassette diritti nel nostro Paese, avviata nel 2014, al fine di evidenziare le novità normative, le maggiori difficoltà e mancanze riscontrate nel riconoscimento di questi diritti e le iniziative da intraprendere per la loro tutela.

Il rapporto è stato presentato nella sua versione aggiornata lo scorso 6 dicembre alla Sala Stampa della Camera dei Deputati. Alla presentazione erano presenti Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto, la Moderatora della Tavola Valdese Alessandra Trotta e i parlamentari Ouidad Bakkali, Rachele Scarpa, Cecilia D’Elia, Susanna Camusso e Riccardo Magi.

Libertà di espressione, pluralismo religioso, salute, ambiente, istruzione, lavoro. E ancora: stato delle carceri, emergenza abitativa, LGBTQIA+, salute mentale, migranti, infortuni sul lavoro. Un racconto corale, che mostra lo stretto legame che intercorre tra tutti i diritti e ribadisce la necessità di non darli mai per scontati.

Gli infortuni sul lavoro

Come ogni anno si registra il triste dato del numero di infortuni sul lavoro denunciati all’Inail: per il 2021 sono state rilevate 555.236 denunce, con 1.221 morti: si scontano la mancanza di una cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro e l’inefficacia degli strumenti di prevenzione.
E fuori da questo spettro rimangono i lavoratori non contrattualizzati, magari senza documenti, che non hanno modo di rivolgersi all’Inail in caso di infortunio.

Un paese sempre più vecchio

Da un lato la bassa natalità, dall’altro l’aumento della sopravvivenza: è il trend dell’Italia degli ultimi quarant’anni, che sta portando il Paese a un elevato processo di decrescita e invecchiamento.

Secondo le stime Istat sull’andamento della popolazione, nel 2050 le persone con più di 65 anni potrebbero rappresentare il 34,9 per cento del totale (oggi sono 23,5 per cento). Il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non passerà da circa tre a due nel 2021 a circa uno a uno nel 2050.

Le ricadute sulla tenuta del sistema sarebbero evidenti, a cominciare dalle pensioni.
Si tratta di previsioni, che però invitano a pensare fin d’ora a politiche di protezione sociale e di welfare che tengano conto della crescente popolazione anziana e di un numero decrescente di giovani in età lavorativa.

Aumentano i poveri

Secondo il Rapporto, la pandemia ha esasperato le disparità a danno delle fasce più deboli, le cui fila si sono ingrossate. Nel 2021, la percentuale di popolazione in condizione di povertà assoluta è al livello più elevato dal 2005: 5,6 milioni di individui, il 9,4 per cento del totale. Di questi, 1,4 milioni sono minori.

Il tasso di scolarizzazione aumenta, ma l’Europa è sempre più avanti

Il livello di scolarizzazione è in continuo aumento. Nonostante ciò, l’Italia non riesce a recuperare la differenza rispetto alla maggior parte dei Paesi dell’Unione europea.
Se nel 2021 il 62,7 per cento delle persone di 25-64 anni aveva almeno il diploma superiore, la media europea rimane di 16 punti percentuali più alta.

Per quanto riguarda l’istruzione universitaria, i giovani di 30-34 anni in possesso di un titolo di studio terziario sono il 26,8 per cento, contro più del 41 per cento dei coetanei degli altri Paesi europei: peggio di noi, solo la Romania.

L’ascensore sociale si è rotto

Le prove INVALSI del 2021 hanno evidenziato la perdita di allievi resilienti, cioè quei ragazzi che pur provenendo da contesti socio-economico-culturali sfavorevoli, riescono comunque a ottenere buoni risultati.

«Dall’analisi», si legge nel Rapporto, «emerge come uno dei fattori determinanti nel rendimento scolastico sia la classe sociale di appartenenza». Queste valutazioni utilizzano l’ESC (Economic, Social and Cultural Status Index), un indicatore composto da tre elementi: lo status occupazionale dei genitori; il livello d’istruzione dei genitori; il possesso di alcuni beni materiali considerati favorevoli all’apprendimento (libri, luogo di studio, computer, etc.).
Una conferma arriva dal rapporto del 2020 sulla mobilità sociale: l’Italia si colloca al 34° posto, peggio di noi in Europa solo l’Ungheria al 37° posto.

Novità nel Codice delle pari opportunità

La Legge 162/2021 ha introdotto due importanti innovazioni all’interno del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna.

Anzitutto è stata abbassata a cinquanta dipendenti (prima era a 101) la soglia dimensionale per l’individuazione delle imprese tenute a redigere, su base biennale, il rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile. Il rapporto deve contenere informazioni, tra l’altro, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta ai dipendenti dei due generi.

L’altra novità riguarda l’istituzione della certificazione della parità di genere a decorrere dal 1° gennaio 2022, al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in azienda. Le imprese che ottengono la certificazione hanno diritto a sgravi contributivi e punteggi premiali ai fini della concessione di finanziamenti pubblici e nell’ambito della partecipazione a gare d’appalto della Pubblica Amministrazione.

Bisognerà capire se queste novità produrranno risultati concreti o si tradurranno in sterile burocrazia (nel caso del rapporto sulla situazione del personale) e strumentalizzazioni da gender washing (nel caso della certificazione della parità di genere).

Il Rapporto sottolinea comunque come il PNRR sia attraversato trasversalmente da misure dedicate alla parità di genere. Si pensi al potenziamento dei servizi educativi per l’infanzia, all’estensione del tempo pieno a scuola, al rafforzamento dei servizi di prossimità e di supporto all’assistenza domiciliare, agli investimenti in banda larga e connessioni veloci: «tutti interventi che si pongono l’obiettivo di impattare positivamente sulla conciliazione dei tempi di vita e lavoro e sulla riduzione dei carichi di cura tradizionalmente gravanti sulle donne».

La lotta ai femminicidi

I numeri sui femminicidi si confermano impietosi: secondo l’ultimo rapporto del Ministero dell’Interno, nel periodo dal 1° gennaio al 18 dicembre 2022 gli omicidi registrati sono stati 300, con 119 vittime donne, di cui 97 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 57 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex.

Sul fronte legislativo, il Rapporto cita la Risoluzione del 16 settembre 2021, con cui il Parlamento europeo ha raccomandato alla Commissione europea di inserire i reati di genere nel novero degli “euro-crimes”, ossia quei reati che, per la loro particolare gravità e dimensione transnazionale, necessitano di essere combattuti su basi comuni (è il caso, ad esempio, dei reati di terrorismo, tratta di esseri umani, traffico illecito di armi e stupefacenti, riciclaggio di denaro, corruzione, criminalità informatica). In questi casi, l’Unione può emanare direttive al fine di armonizzare le legislazioni degli Stati membri, disponendo norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni.

La libertà di espressione e il dilagare delle fake news

Sulla libertà di stampa si segnala la classifica elaborata da Reporters Sans Frontières che ogni anno misura il tasso di libertà di ogni Stato, focalizzandosi sul pluralismo informativo, sull’indipendenza dei media, sulla trasparenza e sulle infrastrutture: nel 2022 l’Italia si è collocata al 58° posto nel mondo. In una posizione ben lontana dai principali Paesi europei e persino da diversi Stati extraeuropei.

Il Rapporto si sofferma poi sulle ricadute, in termini civilistici e penalistici, della diffusione di fake news, un problema sempre più dilagante nell’epoca dei social network. Sarà sempre più importante ragionare in termini di bilanciamento, per cui l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero non può spingersi fino a turbare l’ordine pubblico.

Dal canto suo, lo scorso anno la Commissione europea ha pubblicato gli Orientamenti sul rafforzamento del codice di buone pratiche sulla disinformazione, con lo scopo di contribuire a ridurre la cosiddetta infodemia, ossia la rapida diffusione di informazioni false, esagerate o tendenziose sulla pandemia.

Prime sentenze sulle “sanzioni” dei social network

Fino a che punto il gestore può limitare la libertà di manifestazione del pensiero dell’utente, rimuovendo contenuti reputati non rispettosi delle linee guida del social o addirittura sospendendo gli account?

Il Rapporto cita la decisione con cui la Corte d’Appello dell’Aquila nel 2021 si è espressa sul caso di un utente bannato da Facebook per aver pubblicato fotografie di Benito Mussolini con annesse didascalie con scritto “W Mussolini” e alcuni post con la bandiera della Repubblica Sociale Italiana, oltre a commenti aggressivi e sprezzanti nei confronti di altri utenti. La Corte ha condannato Facebook a risarcire all’utente i danni causati dall’illegittima sospensione del suo profilo, che gli ha impedito le abituali relazioni sociali sulla piattaforma. E i post su Mussolini? Secondo i giudici si era trattato di espressioni che «non travalicano la manifestazione di un’opinione che, a prescindere dalla sua condivisibilità […], deve essere consentita ove fine a sé stessa».

I giudici d’appello hanno comunque fatto il punto sui dritti e i doveri di chi si iscrive a un social network ricordando che, al momento dell’iscrizione, tra le parti si instaura una regolamentazione contrattuale con diritti e doveri reciproci: se il social network mette a disposizione una community, il suo utilizzo può essere vincolato al rispetto di regole date dal gestore.

Il pluralismo religioso

Per quanto riguarda la libertà religiosa, il Rapporto ricorda come durante la fase emergenziale da COVID-19 le celebrazioni religiose siano state tra le pochissime attività che non sono state interrotte: il diritto di culto, infatti, si è sempre visto garantire dai provvedimenti di legge un regime particolare che ha consentito le celebrazioni in presenza. Questo, a differenza di quanto accaduto per altre situazioni cui è connesso un diritto di riunione: basti pensare alle restrizioni alle manifestazioni artistiche e culturali, o a quelle sportive, o alle limitazioni poste all’insegnamento in presenza. Anche il green pass non è mai stato richiesto come requisito per l’ingresso nei luoghi di culto.


Indice, questa scelta, del fatto che il diritto di libertà religiosa in Italia sembra godere di un forte riconoscimento da parte dello Stato. Il rapporto segnala comunque il perdurare del divario tra le confessioni religiose dotate di garanzie e (molte) altre che ne sono prive.

Tra le questioni che vengono citate vi sono le difficoltà per le comunità musulmane di reperire spazi cimiteriali sufficienti e adeguati alla sepoltura. Difficoltà aumentate durante la pandemia a causa delle maggiori necessità e del ricorso sempre minore alla consuetudine del rimpatrio delle salme.

Continua il silenzio sul fine vita

Nonostante i pressanti inviti della Corte costituzionale a legiferare, l’iter parlamentare di una legge sul fine vita è ad un binario morto. Fallito anche il tentativo di referendum, continuano le battaglie legali fuori dal Parlamento, con l’associazione Luca Coscioni e Marco Cappato in prima linea.

© RIPRODUZIONE RISERVATA