Si parla continuamente di come verranno spesi tutti i miliardi in arrivo dall’Unione Europea sotto l’ombrello del programma di rilancio dell’economia, il cosiddetto Next Generation EU. Ma come funziona veramente questa Europa per la prossima generazione? Dopo gli anticipi già ricevuti dall’Italia (e da altri Paesi con urgenze pressanti come le nostre, tipo pagare la cassa integrazione), ci saranno nuove erogazioni ma quando e come saranno? Proviamo a rispondere a un paio di queste domande.

Ne parliamo da tempo: la UE si è dotata di una legislazione chiamata “Own Resources Decision” (cioè decisione sulle risorse proprie) che permette di raccogliere sui mercati internazionali debito europeo comune, a fronte delle garanzie di rimborso fornite dagli Stati membri, che conferiscono alle emissioni europee il rating massimo di AAA. Ma questo è solo l’inizio di una serie di adempimenti importanti su cui si gioca il presente ma anche molto del futuro della UE. Qualsiasi cosa diversa da un successo del piano di ripresa sarebbe terribile per la fiducia nelle istituzioni europee ma anche per le conseguenze sul prossimo step evolutivo dell’Europa: l’integrazione fiscale.

La ratifica della “Own Resources Decision”

Come ogni legge europea, tutti i 27 Stati devono procedere alla ratifica, per innestarla negli ordinamenti nazionali, autorizzando quella garanzia al debito comune che è alla base di tutto il giochino. Ci sono ancora sette Stati che non hanno ottemperato, vuoi per problemi a trovare una maggioranza (Olanda e Finlandia) vuoi perché non l’hanno ancora calendarizzata (Ungheria). Sia in Germania, con il tentativo di dichiarare la legge incostituzionale, che in Polonia, dove è servito un accordo extra-parlamentare capestro, si è andati vicino a far saltare il banco. E non siamo ancora alla fine, con i Paesi nordici che stanno “barattando” la ratifica con altre sovvenzioni. La speranza è che si arrivi tutti entro giugno, per poter iniziare a fare debito da luglio e iniziare le erogazioni agli Stati membri.

I piani di spesa nazionali

Ogni Stato doveva presentare il proprio piano di investimento entro il 30 aprile (e l’Italia per una volta non è stata in ritardo, speriamo sia di buon auspicio). La Commissione europea ha tempo due mesi per approvare il piano nel suo dettaglio e la domanda che ci poniamo è fino a che punto si mostrerà puntigliosa. Da un lato, è evidente che ci sono regole e raccomandazioni da seguire nella suddivisione dei capitoli di spesa, ma dall’altro c’è l’enorme importanza di far girare tutto bene dall’inizio, per dare l’impressione di essere una macchina ben oliata e attrarre gli investitori internazionali. Riteniamo ci saranno poche correzioni e probabilmente nessun rigetto, a meno di gravi violazioni, per mantenere un’apparenza di unitarietà verso l’esterno. Se poi a forza di fingere ci si trovasse davvero uniti, sarebbe tutto di guadagnato.

Il freno d’emergenza

Ricordate i “Paesi frugali”? Sono quelli che fin dall’inizio hanno cercato di osteggiare il piano di rilancio, sostenendo di non voler dare altri soldi agli spendaccioni (si legge Italia) e di non voler essere responsabili del debito comune e quindi di un fallimento potenziale di uno Stato. Hanno ottenuto di poter dare un parere sul piano di ciascuna nazione, nell’ambito del Consiglio europeo ma hanno dovuto cedere sul metodo: basterà infatti una maggioranza semplice per approvare il piano, neutralizzando di fatto le “scalmane” dei troppo rigidi. È ipotizzabile che non tutti i piani riceveranno lo stesso tipo di esame, anche se potremmo cadere nelle illazioni senza fondamento. Eppure, non riusicamo a immaginare il Consiglio fare le pulci alla Germania o alla Svezia, mentre numeri e motivazioni di Italia e Spagna ad esempio potrebbero essere osservati al microscopio. Ma è per il nostro bene, dicono, per aiutarci a maturare.

Il controllo del Parlamento europeo

Impossibile evitarlo, nonostante i fulgidi tentativi: anche in Parlamento avranno luogo “dialoghi strutturati” con la Commissione, che dovrà tener conto delle questioni sollevate in tale sede. Anche se ha un ruolo di controllo esterno, il Parlamento si sta già dotando di un organismo per verificare a cadenza regolare l’effettivo utilizzo dei fondi da parte degli Stati, nel tentativo di cogliere tempestivamente abusi o errori e sollecitare correzioni o addirittura il blocco delle erogazioni.

Se tutto questo andrà in porto, l’Italia potrebbe ricevere una buona parte di quanto destinato già a luglio. Facciamo un ulteriore distinguo, necessario vista l’abitudine della stampa italiana di riferirsi al programma di rilancio come al Recovery Fund. In inglese un fund (fondo) è cosa diversa da una facility (linea di credito), così come – anche in italiano – c’è sostanziale differenza tra una erogazione liberale e un finanziamento. A parte i grant che ci vengono regalati proprio, per le erogazioni sotto forma di prestito esistono delle regole non solo sull’utilizzo puntuale dei fondi stessi, ma anche per il comportamento generale dell’azienda Italia. Si applicano a qualsiasi finanziamento, dal mutuo casa al prestito per la macchina: nel quadro allargato della macroeconomia di un Paese, si traducono in riforme strutturali, che portino maggior efficienza al sistema produttivo, giuridico e fiscale italiano.

Altro che fondo, questi sono prestiti e siamo certi che la UE si farà carico di spronare la politica italiana verso quelle riforme impopolari, sempre rimandate perché lesive in ottica elettorale. Come si diceva sopra, lo fanno per noi, per portare anche la recalcitrante Italia nel ventunesimo secolo. Speriamo solo che ci sia, per la prima volta forse nella nostra storia, una coesione politica che ci permetta di superare gli interessi di partito allargando l’orizzonte e portando saldamente nella realtà lo slogan più abusato di sempre, il mitologico “bene del Paese”.

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