Le democrazie liberali da secoli si basano sul concetto che un ristretto gruppo di persone possa rappresentarne milioni, tentando di trovare la soluzione migliore e soprattutto di valutare con onestà. Si tratta di un vero atto di fede e per secoli ha retto benissimo, con qualche scossone ma senza gravi conseguenze. Nei tempi moderni invece si assiste alla ininterrotta erosione del patto di fiducia sotto la spinta del populismo.

La “scoperta” della élite

L’inzio della fine sta in questa semplice parola il cui significato originario di eccellenza viene stravolto. È un fatto che per secoli la politica l’hanno sempre fatta persone molto simili tra loro, tutti maschi, bianchi e ricchi. L’omogeneità fisica, sociale e culturale si è trasformata in connotazione identitaria e da lì il passo è breve.

Se il politico standard ricalca sempre le stesse caratteristiche, si crea la percezione che un gruppo di persone uguali tra loro perpetui il potere quasi in senso dinastico. E finisca prima o poi per fare l’interesse del proprio gruppo a discapito della collettività.

Impossibile poi sfuggire al paradigma per cui qualsiasi sistema che si basi sulla fiducia reciproca è soggetto al rischio che tale fiducia venga tradita. Che sia una relazione amorosa, lavorativa o di chi guida un Paese, si trova sempre il furbetto che approfitta per trarne un vantaggio personale.

L’ascesa del populismo

La dinamica calante del patto di fiducia non sfugge alla politica e compaiono le prime idee populiste, complice anche l’apatia delle formazioni storiche, talmente concentrate sul proprio ombelico da non accorgersi del cambiamento. Si sente dire che il populismo è la causa primaria del declino delle democrazie liberali ma la questione potrebbe essere vista anche al contrario, come semplice sintomo di un degrado già in atto.

Il populismo ha la peculiarità di non basarsi più sulla fede ma sui fatti. Le sue pur banali intuizioni – tipo che nell’animo umano ci sia la disonestà – vengono ripetutamente validate dalla realtà in una spirale che si autoalimenta fino a scadere nella post-verità.

Nemmeno il più fervente dei populisti aveva però immaginato uno scenario in cui la fiducia del popolo nelle istituzioni scendesse a tal punto da metterle in discussione. Che a un certo punto, insomma, perdesse di significato l’onestà dell’individuo rispetto alla disonestà della sua élite di appartenenza.

Nel calderone finiscono i politici, rei di perseguire interessi personali e favorire gli amici, ma anche gli scienziati, affamati di notorietà, e anche i mass media, asserviti a fornire solo la parte della verità che fa comodo ad alcuni. La fiducia negli eletti (in ogni senso) scende a tal punto che la verità si trova sui social media, mentre l’informazione mainstream diventa parte attiva nella bugia.

La mela è marcia ma non puzza

Omettere parte della verità capita in ogni ambito lavorativo, ci sono informazioni che devono restare all’interno, che possono essere fraintese da chi non è del mestiere. Quindi un politico è forse l’ultimo a cui si può chiedere la verità, insita nel suo ruolo è una visione di realtà imperfetta, che punta all’obiettivo.

Se la totale sincerità è inarrivabile, il popolo deve però poter contare almeno sull’integrità dei suoi rappresentanti, deve credere che anche in caso di una piccola bugia, questa venga detta nell’interesse della collettività.

Nel web non si butta via niente

Impossibile avere prova provata della moralità di una persona o che una notizia al telegiornale sia aderente alla verità assoluta, mentre distruggere e smentire è facile, specie dell’era dell’internet. La rete immagazzina enormi quantità di dati, che rimangono a disposizione di chiunque un giorno decidesse di ordinarli e analizzarli. Facile quindi smentire un politico utilizzando un suo stesso tweet di pochi anni prima, confutare teorie scientifiche trovando la tesi opposta in rete.

Per assurdo, la separazione dei poteri, altro pilastro fondante delle democrazie, viene ora usato per smontare l’impalcatura liberale. Checks and balances, si dice. Un meccanismo di controlli tra poteri indipendenti che dovrebbe garantire correttezza. Ma sono i controlli a scoprire le bugie e finiscono per mettere in dubbio l’operato del singolo e lo spessore morale della categoria a cui appartiene.

Populismo e paradossi

Altra caratteristica del populismo è che i suoi sostenitori più mediatici sono spesso figure che, di per sé, non sembrano innocenti: un politico viene accusato di arricchirsi da un populista che si è arricchito molto più di lui, di essere un ladro da qualcuno con precedenti penali, in una sorta di assurdo riconoscimento tra simili.

La crescente influenza del populismo sembra dimostrare come al popolo non interessi tanto il profilo morale di chi denuncia o scoperchia gli scandali, quanto il fatto che sia l’unico a raccontare una verità che altrimenti resterebbe insabbiata.

Pensiamo poi al “milione di posti di lavoro” di Berlusconi, al “non ho fatto sesso con lei” di Clinton o al più recente “abbiamo abolito la povertà” del governo gialloverde. Sono bugie che non provano nemmeno a camuffarsi da verità, talmente candide da far sorridere. Eppure, diventano anch’esse verità.

Il duplice ruolo del giornalismo

Il giornalismo è, in un altro paradosso, il miglior amico del populismo. Nella sua presunta (e talvolta accertata) connivenza con i poteri precostituiti, viene percepito come parte della grande bugia, come complice in un travisamento dei fatti ai danni della popolazione.

È però anche vero che è stato proprio il giornalismo a far emergere i più importanti scandali in tutto il mondo, a fornirne le prove concrete. WikiLeaks o i Panama Papers confermano i sospetti di sempre con prove tangibili, email, documenti e registrazioni. Col risultato a doppio taglio che ora i “fatti” sono quelli che vengono da dossier trafugati, dalla furbizia più che dalla moralità.

La dittatura della verità

La società attuale appare orientata a un modello nuovo, in cui la denuncia di un insider diventa la forma dominante di verità, la divulgazione di documenti segreti il modo più autorevole per raccontarla. È sempre più radicato il sospetto che la vera verità venga tenuta nascosta dall’élite al comando e i nuovi eroi sono quelli che rivelano il marcio presente nel resto dell’ambiente a cui appartengono, che si tratti di aziende private o pubbliche, giornali oppure partiti politici.

Un primo problema consiste nella capacità o desiderio di distinguere quale tra i possessori della verità sia in buona fede rispetto a chi invece pensa a un proprio tornaconto, o addirittura da chi butta là una “cagata pazzesca” (fantozzianamente parlando, ndr) e conta sull’intrepido popolo dei social per rimbalzarla senza verifiche.

Un altro aspetto, più profondo, riguarda il fatto che la verità diventa fluida, che anche i dati più oggettivi sono messi in dubbio e la sfiducia arriva a colpire ogni aspetto della vita sociale, in una deriva individualista. E così una teoria nata per il popolo e la collettività, arriva a minarne le fondamenta dall’interno.

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