Uno dei temi legati al diritto al voto, che affiora solo da qualche anno, è quello delle barriere ai seggi elettorali: nonostante la legge vigente vorrebbe i luoghi pubblici totalmente accessibili, gli edifici scolastici sedi dei seggi elettorali, in Italia, sono ancora per un buon 60% pieni di barriere.

In pochi, però, sono a conoscenza della barriera mentale che riguarda il diritto di voto delle persone transgender per cui è stata attivata una campagna nazionale con petizione a sostegno.

Si cercano volontari per accompagnarle perché, leggiamo sul sito della campagna: “Si costringono di fatto le persone transgender a violare la propria privacy in pubblici contesti non preparati ad accogliere un coming out, con l’evidente risultato di comprometterne la partecipazione democratica alla vita pubblica.

Secondo i dati del TMM Trans Murder Monitoring di TGEU – Transgender European Network l’Italia da anni si posiziona tra i primi paesi in Europa alla pari della Turchia per il numero di crimini d’odio nei confronti delle persone transgender (….) Costringere la comunità trans a coming out forzati in ambienti non preparati ad accoglierli, significa esporre le persone alla non remota possibilità di divenire bersaglio di ostilità, discriminazioni e violenza in virtù della propria identità di genere.”

L’associazione scaligera Sat Pink ha aderito alla campagna e ne parliamo con la presidente Ilaria Ruzza: «L’iniziativa della campagna è del gruppo trans di Bologna con cui collaboriamo da anni. Abbiamo aderito, quest’anno per la prima volta, affinché le persone transgender potessero esprimere il loro voto in tranquillità: finché non vi è la rettifica anagrafica dei documenti la persona si presenta in un modo mentre il documento dice altro, quindi molto spesso queste persone sono obbligate a coming out forzati e non si sa mai chi si ha davanti e come reagisce. Questo accade sempre quando il documento va esibito (banca, posta, ospedale, uffici pubblici). Su Verona abbiamo seguito e accompagnato una decina di persone. Per noi è stato un evento molto importante.»

Che cosa significa essere una persona transgender?

«In Italia vuol dire iniziare un percorso irto di ostacoli e difficoltà: non in tutte le regioni ci sono i centri dedicati; bisogna avere una certificazione di uno psicologo o uno psichiatra per accedere al trattamento ormonale sostitutivo, dopo di che si viene seguiti da un’equipe medica e poi inizia il periodo di real life test cioè in cui si vive nel genere desiderato. Dopo di che si fa la richiesta al tribunale di residenza, per la rettifica anagrafica e per gli interventi chirurgici, poi devono essere prodotte delle perizie da parte dello psicologo nonché dall’endocrinologo, che affermano l’irreversibilità della scelta.

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Ilaria Ruzza

Purtroppo non esistono centri che seguono questi protocolli in tutte le città, non vi sono, in tutti gli ospedali, i medici endocrinologi in grado di supportare le persone nelle terapie specifiche. Tutte le spese poi, sono a carico della persona e non tutti possono permetterselo perché non hanno un lavoro e non ce l’hanno proprio perché si vive in un limbo, fintanto che non arriva la rettifica anagrafica dei documenti. Come associazione abbiamo cercato di rendere le tariffe delle nostre consulenze accessibili e di stipulare convenzioni con gli ospedali, per accedere al trattamento tramite ticket, anche perché con la delibera dell’AIFA il trattamento ormonale è gratuito, a patto che il piano terapeutico sia prescritto da una struttura pubblica. Non vi sono però luoghi di ascolto o di accoglienza degna, nel pubblico, e quindi si rimanda tutto sulle spalle e sulle forze delle associazioni di settore.»

Tutto questo dovrebbe far capire a persone come l’assessore Donazzan che non ci si può esprimere con l’espressione “era un uomo che si vestiva da donna”.

«Ciò che ha detto nel corso degli anni ha una ricaduta: il caso di Cloe è emblematico, questa persona è stata abbandonata e non si è cercato di capire quali fossero le sue esigenze e trattata come un fenomeno da baraccone. Sarebbe ora che nelle pubbliche amministrazioni fossero introdotte delle politiche di inclusione, nella scuola soprattutto, dove viene sempre utilizzato lo spauracchio della “teoria del gender” per annichilire quelle che sono le istanze della comunità LGBTQIA+.»

Federico Sboarina, all’indomani del voto del 12 giugno, ha esortato la cittadinanza a votare per lui al ballottaggio, per evitare che Verona diventi una “capitale transgender” se vincesse Damiano Tommasi. Che cosa gli direbbe?

«Direi che non ha proprio la percezione di quella che è la situazione reale a Verona. Come associazioni del mondo LGBT nel corso degli anni abbiamo accolto una valanga di richieste da parte di ragazze e ragazzi e loro familiari che avevano la necessità di essere ascoltati e accettati, in luoghi non giudicanti. Da 15 anni a questa parte Verona ha promosso delle politiche assolutamente discriminatorie nei confronti delle minoranze. Ma cosa si intende per minoranze, dato che abbiamo avuto un’impennata incredibile di accessi? Anche se fosse una minoranza, perché non dovrebbe trovare inclusione nella città in cui si va a scuola, al lavoro e si vive? Credo che questa visione sia molto miope, si cavalcano spauracchi tipo l’omosessualizzazione dei nostri figli, ma quando non si capisce che questa esigenza c’è, io la chiamo emergenza. I numeri danno uno spaccato dell’emergenza che riguarda i giovani!

O ci si fa carico di queste esigenze o si sta fallendo come amministratori. Si è sindaci di tutti e tutte e non si può ignorare una parte della cittadinanza. Il candidato Tommasi invece ha organizzato un incontro con le nostre associazioni per sapere quali sono le nostre richieste a un’eventuale amministrazione: che si possa parlare della questione LGBQTIA+ nelle scuole e che si possano organizzare dei corsi di formazione negli enti pubblici per creare ambienti inclusivi. In altre province del Veneto siamo riusciti a entrare nelle scuole superiori per fare cultura e formazione, mentre a Verona non siamo mai stati in grado di organizzare nulla, nonostante la volontà di insegnanti e studenti, a causa della risonanza mediatica che avrebbe avuto l’iniziativa, con ricadute molto negative per gli studenti che vivono male l’andare a scuola. Pensiamo alla dispersione scolastica, ai fenomeni di esclusione sociale, di hikikomori, ragazzini/e che non vogliono più uscire di casa.»

Cosa intende, secondo lei, Sboarina per “capitale transgender”?

«Non lo so, ma pensando alla sua provocazione a me verrebbe innanzitutto da dire “Ma magari!”, perché questo si tradurrebbe senz’altro nell’avere città più aperta, accogliente, non discriminatoria, che rispetta le minoranze e le sue esigenze. Poi questa è una retorica che lascia il tempo che trova e spero che tanti si rendano conto dell’assurdità: Damiano Tommasi è difficile che possa essere un novello Mario Mieli o Pier Vittorio Tondelli e non vedo dove sia il problema se anche fosse così, dato che le parole d’ordine del nostro mondo sono accettazione, inclusione, solidarietà e supporto. I tempi sono cambiati e i ragazzi ce lo chiedono a gran voce di ascoltarli: non rispondere significa fare male alla generazione del futuro che continuerà a sentirsi sbagliata, non accolta, non accettata, non voluta.»

Chi è una persona transgender?

Cloe Bianco, docente di fisica in un istituto agrario di San Donà di Piave, per esempio. Nel 2015 si presentò in classe, in corso d’anno, con abiti femminili e venne sospesa per comportamento non corretto. La vicenda finì sui giornali. Il padre di una sua alunna scrisse una lettera, resa poi pubblica dall’assessore all’istruzione del Veneto Elena Donazzan, in cui si liquidava la questione come carnevalata avvallata dalle istituzioni. L’assessore, come unica reazione, invitava a trarre ciascuno le proprie conclusioni, abdicando in toto al suo ruolo istituzionale. Bianco fece causa alla scuola ma perse e venne demansionata come ATA. Difficile  immaginarsi il contesto di scherno/emarginazione/paura del non conforme, in un luogo altamente gerarchizzato come quello di una scuola. Una ex alunna, Clara Mazzonetto, in un’intervista resa a Fanpage afferma che la gente rincorreva la signora Bianco per scattarle foto – come fosse un fenomeno da baraccone. Chissà come mai nessuno, all’epoca, parlò di discriminazione sul luogo di lavoro invece che porre solo l’accento sull’outfit.

Una vita complicata

Cloe Bianco alla fine lascia San Donà e il veneziano e si ritira a vivere in un camper, nei pressi di Auronzo di Cadore, nel Bellunese, 7 mesi fa. Il 10 giugno 2022 un passante segnala il rogo, che ha avvolto il camper distruggendolo completamente, insieme alla vita di Cloe Bianco.

Un’immagine di Cloe Bianco

Il gesto compiuto da questa persona e annunciato da un post sul suo blog, sfugge ad ogni comprensione e difficilmente può essere catalogato solo come estremo atto di disperazione o ripicca. E non può nemmeno essere liquidato o dimenticato in fretta, anzi… forse è stato compiuto proprio per dare un input per un cambiamento, un miglioramento. Si tratta evidentemente del gesto di un’attivista che ha sempre combattuto per la rivendicazione dei diritti delle persone transgender in Italia. Aveva anche scritto un libro in cui è ampiamente spiegato che non si tratta di “uomini che vestono da donna” o viceversa, ma di un processo lungo, complicato, doloroso, non facilitato dalle leggi del nostro Paese per cui succede, appunto, che spesso sia necessario inventarsi una campagna per supportare le persone transgender per andare a votare. In Italia, in questo senso, siamo particolarmente indietro nel mondo del lavoro: in base al rapporto Istat-Unar 2020-2021, una persona su tre, tra omosessuali e bisessuali, è stata discriminata sul posto di lavoro. Il 70% evita di tenersi per mano in pubblico.

Del lavoro in relazione alla propria condizione di genere  parliamo con Sebastiano Ridolfi, attivista per i diritti LGBTQIA+, imprenditore informatico, speaker radiofonico, che ci racconta come abbia partecipato pochi giorni fa a Berlino alla fiera “Sticks and Stones”, dedicata al mondo del lavoro per le persone  LGBTQIA+:

Digital — Sebastiano Ridolfi - Il sito
Sebastiano Ridolfi

«Da noi non esiste assolutamente un evento dedicato alle persone LGBTQIA+ e al mondo del lavoro. Queste persone sono spesso oggetto di discriminazioni, preclusioni di carriera e, nei casi peggiori, molestie, è più che sensato un evento specificamente dedicato a chi è esposto a queste problematiche. Soprattutto se organizzato in modo così propositivo come quello di Berlino. In secondo luogo, quello che non ho mai trovato in Italia è un’azienda che presenti tra i suoi rappresentanti persone non binary o transgender.

Già è rarissimo trovare altre minoranze (es. etniche), ma questa categoria di persone in Italia è semplicemente esclusa da posizioni rappresentative e/o dirigenziali. Credo che questo dimostri, oltre ogni ragionevole dubbio, quanto sia ancora ampio il divario da colmare prima di poterci considerare un Paese civile.» Il caso di Cloe è un esempio tragico di quanto la situazione sia diversissima qui. Quando gli chiedo di esprimere un augurio alla nostra città, dopo aver ricordato che il 16 luglio si terrà la 50esima edizione del Pride, risponde così: «Anche se non vivo più a Verona ci lavoro ancora, e non smetterò mai di amarla, è la mia città ed è tempo di una inversione di rotta non solo sui diritti civili, ma sulla sua apertura mentale. È da sempre un crocevia italiano di turisti, merci e trasporti, ma a mio giudizio non ha ancora scoperto del tutto la sua anima cosmopolita. Auguro a Verona di vederla crescere rapidamente, ne ha un gran bisogno.»

Grazie al comitato organizzatore del Pride di Verona, venerdì 17 giugno si è svolto un partecipato evento per ricordare Cloe in piazza Cittadella. Anche davanti al Miur a Roma, nella stessa giornata si è svolto un presidio per Cloe: dopo la reazione addolorata del ministro Orlando, il collega Bianchi ha avviato un’indagine per verificare se, all’epoca dei fatti, ci fu discriminazione sul luogo di lavoro.

Mentre in Veneto, da più parti, si chiedono le dimissioni dell’assessore regionale alla scuola Elena Donazzan, il presidente della Regione Luca Zaia cancella dalla sua pagina Facebook ogni commento che riguardi Cloe Bianco, come apprendiamo dal profilo dell’onorevole Alessandro Zan, il primo firmatario di quel DDL che andrebbe a colpire proprio i reati di discriminazione come quella subita da Cloe Bianco, se non fosse stato respinto in aula.

Il modo migliore per rendere giustizia a Cloe Bianco, al momento, è leggere il suo emozionante e competente blog. Per riflettere e cominciare a ragionare su questi argomenti invece è consigliabile vedere il film rivelazione, basato su una storia vera, “Girl”, del belga Lukas Dhont.

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