L’attacco terroristico a Mosca, durante un concerto alla Crocus City Hall, in cui sono morte più di 130 persone e il doppio sono rimaste ferite, ha riportato l’attenzione su un’area del mondo che, per quanto si cerchi di dimenticare, sembra non trovare alcuna pace: l’Afghanistan abbandonato dagli USA e dall’occidente al suo destino talebano.

Dopo le prime elucubrazioni complottiste da parte degli attentissimi osservatori con bias cognitivi, pronti a scovare incoerenze, prove, financo responsabilità nei più minuti dettagli di fotografie e video, appare ormai condiviso da tutti, inclusa la stessa Russia, che il massacro sia avvenuto ad opera di ISIS Khorasan.

La reazione russa

Lo ammette perfino Vladimir Putin, seppur ammiccando in modo piuttosto esplicito a complicità da parte dell’Ucraina, che avrebbe messo a disposizione dei fuggitivi una “finestra” sul proprio confine. In effetti, meglio spostare l’attenzione fuori confine, aizzare l’opinione pubblica contro il nemico ovvio, piuttosto che ammettere le lacune dell’impeccabile FSB, quell’organismo di sicurezza e intelligence ormai più concentrato nel picchiare e “suicidare” oppositori che ad ascoltare gli avvertimenti dei suoi pari internazionali.

Se tutti ti dicono da mesi che ISIS sta preparando un attacco, se te lo dicono da più parti, forse sarebbe il caso di fare almeno una piccola verifica. L’autarchia che viene spacciata come il Sacro Graal ai poveri russi ignari si potrà anche applicare alle merci che mancano, alle industrie che si convertono; ma trascurare e addirittura definire “tentativi di destabilizzazione” gli avvertimenti esterni sembra poco intelligente, specie se di lavoro fai l’intelligence.

Nei discorsi di Putin una colpa del Paese che ha invaso non può mancare, specie ora che non trova più nessuno che voglia combattere l’assurda guerra: finiti gli ergastolani a basso costo, deve ricorrere a rapimenti e truffe ai danni di ignari disperati dal sub-continente indiano, convinti di firmare un contratto di lavoro in fabbrica e spediti a morire dopo pochi giorni di addestramento.

Non si può ovviamente escludere un “aiutino” esterno, che venga da Zelenskyi oppure dall’occidente, in forza del principio transitivo del nemico del mio nemico. Intanto, però, le ben più pragmatiche autorità russe hanno già catturato e processato, rinviandole a giudizio, diverse persone accusate del massacro, che sembrano di origini tajike e centro-asiatiche.

La rivendicazione

Lo Stato Islamico ha rivendicato la responsabilità dell’attacco, inizialmente attraverso il suo canale Amaq, che ha pubblicato video e fotografie, poi anche direttamente. Lo stesso modus operandi ricalca quanto già visto in attacchi simili in diversi Paesi del mondo. Come ormai acclarato, o almeno accettato oltre ragionevole dubbio, l’attacco è l’opera dello Stato islamico e in particolare del ramo afghano.

ISIS-K si è formato nel 2015 in Afghanistan e negli anni si è reso responsabile di numerosi attentati terroristici. Sono stimati in 21 gli attacchi pianificati e, in qualche caso, portati a termine in nove nazioni dell’Europa (e Russia) solo nel 2023, in aumento dagli otto dell’anno precedente.

Dopo gli anni della dura repressione da parte delle forze speciali afghane e delle truppe americane sul campo, con il ritiro di queste nel 2021, ha acquistato sempre maggior forza e influenza nel Paese e ormai conta migliaia di combattenti operativi. Oltre ai foreign fighters radicalizzati all’estero. Se davvero, come sembra evidente, c’è ISIS-K dietro la strage alla sala concerti, non si fermeranno certo a questo.

Le connessioni Russia-ISIS

Ricercando nel passato, emergono molti motivi validi per l’inimicizia tra Stato Islamico e Russia. Basti pensare all’occupazione militare dell’Afghanistan negli anni Ottanta, al ruolo determinante nel sostegno al regime brutale di Bashar al-Assad in Siria, o alla lunga storia russa di repressione violenta e cruenta delle comunità musulmane su suolo russo, in particolare nel Caucaso settentrionale.

Quest’ultimo attacco segue sulla scia di numerosi eventi simili tra il 2016 e il 2019, mentre numerosi tentativi sono stati sventati negli anni più recenti. È un fatto che molti dei terroristi e militanti di ISIS-K arrestati in Europa e Russia negli ultimi due anni sono di nazionalità russa oppure provenienti dall’Asia centrale ma con forti connessioni famigliari o lavorative nel Paese. I casi più recenti riguardano un attacco sventato contro una sinagoga di Mosca e gli arresti di due cittadini russi affiliati a ISIS, uno in Polonia l’altro in Turchia.

Negli anni più recenti la maggioranza di attentati è avvenuta in Afghanistan, spesso diretti contro la minoranza Hazara (anche loro musulmani, ma sciiti). Si ricorderà il terribile massacro all’aeroporto di Kabul nell’agosto 2021, nel mezzo della confusionaria evacuazione degli stranieri dalla città seguita alla decisione assurda e improvvisa degli USA di abbandonare il Paese. 170 civili e diversi militari uccisi. Oppure l’attacco all’ambasciata russa di Kabul nel settembre 2022, con altri morti e feriti. E ovviamente non dimentichiamo l’attentato suicida coordinato dello scorso gennaio, a Kerman (Iran) durante la cerimonia per l’anniversario dell’uccisione del generale Soleimani.

Un attacco, molti bersagli

Ci sono molti osservatori che si chiedono come mai ISIS-K abbia attaccato la Russia proprio in questo momento, che sembrano stupiti. Abbiamo detto degli uomini sul campo, abbiamo ricordato la lunga serie di eventi tragici e di agguati sventati dalle forze di sicurezza; manca solo un tassello a un puzzle fin troppo facile: l’opportunità. Quale momento migliore per colpire il nemico giurato di quello in cui sta festeggiando una nuova vittoria elettorale, un nuovo mandato plebiscitario a continuare nel suo percorso. Un bel modo di rovinare la festa, di creare caos approfittando anche dell’attenzione delle intelligence, tutta rivolta verso occidente dove si annida il nemico.

ISIS Khorasan ha colpito la Russia con una durezza inattesa, ha colpito un centinaio abbondante di persone inermi di cui non sappiamo nulla perché i media le considerano morti di seconda categoria, senza una vita, una famiglia, un’identità. Come se vivere in Russia fosse una sorta di peccato originale, senza possibilità di espiazione. Non proprio lo stesso approccio riservato alle vittime di Londra, Parigi o Madrid.

Ma ISIS-K ha inviato un messaggio con molti destinatari: dice chiaro e forte che l’Afghanistan non va dimenticato, che la scelta di abbandonare il Paese è stata scellerata e controproducente. Racconta di una compagine rafforzata, che ha grande fiducia nei suoi mezzi e grande fede nella sua missione. Parla di una minaccia che torna a presentarsi fuori dai confini, in Europa. Riporta tutti noi alla nostra piccola dimensione di uomini, in balìa della decisione se andare o meno al concerto stasera.

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