Il 2 dicembre 1973 fu per gli italiani la prima “domenica a piedi” con il divieto di circolazione per automobili e motociclette, una delle più appariscenti misure prese dal consiglio dei Ministri presieduto da Mariano Rumor per fronteggiare la prima emergenza energetica vissuta dal nostro Paese.

Emergenza provocata dalla decisione degli Stati arabi, allora i maggiori produttori di petrolio, di tagliare del 25% le esportazioni del greggio verso i paesi occidentali, colpevoli di aver sostenuto lo Stato d’Israele durante la guerra del Kippur. In tutta Europa si ebbe un forte, inaspettato,vertiginoso aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi con un impatto negativo su tutta l’economia. Nel 1974 l’inflazione salì al 19,1%.

I Paesi europei, per rispondere alla crisi, vararono provvedimenti che dovevano far diminuire il consumo del petrolio ed evitare sprechi. Il governo italiano decise un piano nazionale di austerità con il divieto di circolare la domenica con l’auto, e poi circolazione a targhe alterne nei giorni della settimana, la fine anticipata dei programmi televisivi e la limitazione dell’illuminazione stradale e commerciale.

La “domenica a piedi” è diventata simbolo della fragilità del “boom  economico” italiano costruito nel dopoguerra, sfruttando la disponibilità di petrolio che allora sembrava infinita e a basso prezzo, rendendola essenziale per far funzionare le nostre industrie e i trasporti.

Quel momento è stato poi superato cercando di diversificare le fonti di approvvigionamento e i prodotti (la Norvegia divenne uno dei principali fornitori europei). Iniziò in quel periodo il boom del gas naturale e si sviluppò l’uso civile dell’energia nucleare. Senza cambiare però la dipendenza dai combustibili fossili e dai Paesi esteri.

Il nucleare ebbe la sua massima espansione negli anni ’80 ma i problemi di sicurezza e di costo ne bloccarono la crescita mantenendo la sua incidenza nel mix energetico mondiale sotto il 10%.

Il Gas naturale fu invece considerato l’alternativa sicura. Sicura sino al 24 febbraio 2022 quando la Russia decise di invadere l’Ucraina.

Si ripete la situazione vissuta nel 1973

La Russia, sapendo di essere il maggiore insostituibile fornitore di gas all’Europa, sta usando il gas naturale come arma di ricatto verso i Paesi colpevoli di sostenere l’Ucraina e opponendosi così ai suoi programmi di espansione geopolitica.

L’Italia sta affannosamente cercando alternative nel breve periodo soprattutto per scongiurare misure restrittive a ottobre quando, con l’avvio del riscaldamento domestico, il consumo giornaliero raddoppierà.

I metanodotti sono quelli che sono e più di tanto non possono trasportare, la disponibilità di nuovi rigasificatori ma anche di gas liquefatto non è immediata, l’estrazione dai giacimenti nazionali è limitata e poco significativa, il carbone si può usare ma solo in alcune centrali e i prezzi elevati del gas sconsigliano gli operatori di stoccarlo per la stagione invernale, la crisi idrica blocca l’operatività delle centrali elettriche.

I viaggi di Luigi Di Maio, Roberto Cingolani, Mario Draghi in giro per il mondo a incontrare nuovi potenziali fornitori hanno generato solamente promesse non immediatamente concretizzabili.

A rendere il tutto ancora più difficile, nei giorni scorsi Putin ha annunciato da subito una riduzione unilaterale del 25% dei flussi di gas verso l’Europa.

In una recente intervista al Financial Times, il numero uno dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, Fatih Birol, ha lanciato l’allarme rosso: «L’Europa dovrebbe farsi trovare pronta nel caso in cui il gas russo venga interrotto completamente» ha dichiarato. Un messaggio forte e  condivisibile.

Ci stiamo avviando rapidamente verso una nuova stagione di restrizioni. Utilizziamo il 50% del gas per riscaldare gli edifici mentre l’industria e la produzione di energia elettrica ne consumano circa il 25% ognuno.

Non dovremmo aspettarci delle  “domeniche a piedi” ma più verosimilmente  delle “domeniche al freddo”.

Come uscire dall’emergenza

Dicendo la verità ai cittadini, abbattendo i consumi di energia responsabilizzandoci tutti e soprattutto incentivare un salto di qualità e quantità nello sviluppo delle energie rinnovabili. Queste sono le sfide che ci attendono per i prossimi mesi.

A differenza del 1973 disponiamo di una tecnologia arternativa affidabile e competitiva sganciata dai combustibili fossili.
Basta con bizantinismi, reticenze e opposizioni. Le rinnovabili sono le fonti di energia che ci possono dare indipendenza ed economicità evitandoci contemporaneamente la terza crisi energetica e l’emergenza climatica.

Come ha più volte ribadito il vice commissario europeo Frans Timmermans la transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili deve correre ancora più rapidamente di quanto era stato previsto.

Il Superbonus, malgrado le critiche, sta consentendo di riqualificare energeticamente molti edifici con il risultato di ridurre significativamente i consumi di gas. Dovrebbe essere esteso e migliorato.

Bisognerebbe smettere di incentivare le caldaie a gas e puntare sulle pompe di calore. La Germania  prevede di installare mezzo milione di pompe di calore  ogni anno fino al 2024 e 800.000 l’anno dopo, quando le pompe di calore diventeranno obbligatorie.

E poi va avviato un deciso salto di qualità nell’istallazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile. Dal fotovoltaico da mettere sull balcone, ai grandi parchi eolici galleggianti in mare aperto. Tuttavia la proposta di Elettricità Futura, l’associazione degli industriali elettrici di Confindustria, di realizzare 60 GW (Gigawatt) di rinnovabili equivalenti a 15 Miliardi di metri cubi di gas, la metà dell’import russo, è guardata con sospetto.

Sempre dalla Germania ci sono esempi interessanti. Il nuovo governo “semaforo” ha alzato l’obiettivo delle rinnovabili al 2030 portandolo dal 65% all’80% della domanda elettrica e, dopo l’aggressione all’Ucraina, ha deciso di puntare al 100% di rinnovabili elettriche al 2035. Traguardi ambiziosi con obiettivi annui intermedi ben definiti.

E a Verona?

I cittadini veronesi, completamente dipendenti dei combustibili fossili con il gas che incide per il 40% dei loro consumi, saranno particolarmente esposti alle molto probabili misure restrittive. Solo il 2,3% dell’energia totale consumata è prodotta localmente in modo rinnovabile e non si hanno notizie di nuovi interventi che cambieranno la situazione nei prossimi anni.

Ora la campagna elettorale è finalmente finita e a breve sapremo chi guiderà la città nei prossimi anni.

C’è da aspettarsi che il dibattito sulla transizione ecologica ed energetica, finora praticamente assente fra le forze politiche, si imponga a costo di decisioni impopolari.

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